Buona fede

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La buona fede (dal latino bona fides) comporta la convinzione genuina del soggetto di agire in maniera corretta: cioè senza malizia e nel sostanziale rispetto delle regole (anche non scritte) e degli altri soggetti. La buona fede implica quindi l'assenza della consapevolezza del danno che eventualmente si sta procurando ad altri o del fatto che si sta contravvenendo a delle regole o che le si sta nei fatti aggirandole.

Il principio di buona fede è un topos ricorrente nella tradizione giuridica occidentale, per cui i rapporti fra soggetti giuridici non devono essere fondati solo sul timore della sanzione ma anche sulla correttezza.

La buona fede dunque corrisponde all'agire di un soggetto che non intende ledere nessuno, né ha un minimo sospetto che il suo comportamento possa essere lesivo.

Il contrario di buona fede è malafede.

La buona fede in ambito contrattualistico italiano

«È possessore di buona fede chi possiede ignorando di ledere l'altrui diritto (535). La buona fede non giova se l'ignoranza dipende da colpa grave. La buona fede è presunta e basta che vi sia stata al tempo dell'acquisto.»

La dottrina pone la distinzione tra due categorie autonome di buona fede:

  • buona fede soggettiva: ignoranza di ledere una situazione giuridica altrui (per esempio, art. 1147: Possesso di buona fede)
  • buona fede oggettiva (o correttezza): è il generale dovere di correttezza e di reciproca lealtà di condotta nei rapporti tra i soggetti. Consiste nello sforzo che ogni contraente deve compiere, senza che ciò non comporti un apprezzabile sacrificio, affinché l'altro contraente possa adempiere correttamente.

Si sostanzia nell'obbligo per i contraenti di mantenere un comportamento, oggettivamente ispirato a lealtà e correttezza, in tutti i momenti fisiologici dell'atto negoziale:

  1. nella fase delle trattative (art. 1337). Esempio di mancanza di buona fede nelle trattative è l'improvvisa e immotivata rottura delle stesse quando la controparte aveva ormai motivo di credere che queste sarebbero giunte al termine. La violazione del dovere di buona fede comporta di regola l'obbligazione di risarcire il danno causato alla controparte.
  2. nella fase di esecuzione del contratto (art. 1375 c.c.)
  3. nella fase eventuale dell'interpretazione del contratto (art.1366).

Ai sensi dell'art. 1324 queste disposizioni si applicano ai negozi a contenuto patrimoniale tra vivi; è discussa in dottrina se la buona fede operi solamente laddove espressamente richiamata dal Codice civile, ovvero si possa rintracciare un generale obbligo per i consociati di comportarsi correttamente, la cui violazione rilevi come responsabilità contrattuale. Intesa come clausola generale di buona fede, che intercorre in tutta la disciplina codicistica, esplica in materia contrattuale il principio di solidarietà enucleato dall'articolo 3 della Costituzione.

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