"La solita storia americana: mettevi piede nel polveroso piattume di questa derelitta utopia e all'istante cominciavi a morire per la mancanza di ossi"La solita storia americana: mettevi piede nel polveroso piattume di questa derelitta utopia e all'istante cominciavi a morire per la mancanza di ossigeno mentale".
I giardini dei dissidenti è un titolo che richiama tanto altro. A un livello letterale, indica l'ambientazione in cui il romanzo è centrato: Sunnyside Gardens, quartiere del Queens costruito su influsso dell'architettura socialista tedesca, con l'idea di creare una comunità multietnica di buon vicinato, un'enclave pacifica e solidale all'interno della caotica e multiforme New York. A livello simbolico, si rifà non solo alla Vecchia Europa (Dresda, Lubecca e tutti i paesi dell'Est da cui vengono gli ebrei immigrati degli USA) ma anche al Giardino dell'Eden, quello che tutti cerchiamo di ricreare nelle nostre vite. Tutti noi infatti - in maniera imperfetta quando non proprio boriosa - cerchiamo di dar vita alle nostre utopie, di animare le credenze dentro di noi, di incarnarle nella nostra quotidianità, di adattare l'Ideale al Reale, creando purtroppo soltanto dei golem, delle creature mostruose e incontrollabili. L'ambizione di Lethem è ricostruire, a partire da due figure titaniche come una comunista ebrea, Rose Zimmer, e sua figlia Miriam, una beatnik del Greenwich Village che vive in una comune, la storia esplosiva dei "dissidenti" statunitensi, dagli antifascisti alla controcultura fino al movimento di Occupy Wall Street. Il romanzo, però, è tutt'altro che storico. L'intreccio si basa sullo studio dei caratteri (per dirla in un altro modo, è un classico novel character driven) e sono gli avvenimenti ad essere riflesso del carisma e della personalità dei personaggi, piuttosto che il contrario. Un romanzo affollato di personalità eccentriche, eccedenti come la scrittura di Lethem che è verboso fino al limite del logorroico ("i neri hanno il silenzio, gli ebrei la chiacchera"), sempre alla ricerca del guizzo geniale, del giro di frase brillante, purtroppo a scapito di una coesione e di una compattezza, in mancanza delle quali il lettore è quasi obbligato a distrarsi. La scrittura troppo convoluta e iper intellettualistica è però giustificata dai personaggi che sono effettivamente cerebrali, auto compiaciuti e riflessivi fino alla nausea. Il giardino dei dissidenti, nonostante la mole e la scrittura assediante, rimane un Grande Romanzo Americano, sulla scia di Franzen e Roth, che racconta del crollo di tutte le illusioni, come gran parte della Letteratura. Ma lo fa attraverso un tessuto narrativo unico, con personaggi strabilianti e paradossali. In letteratura preferisco il troppo al troppo poco. Una portata esagerata piuttosto che un pasto striminzito. More is more. ...more