Emma Galeotti: «Sono stata dipendente dai social. Mi faceva male la mandibola e mi sentivo svuotata»

La content creator Emma Galeotti oggi ha un rapporto sano con i suoi follower: «Non devo essere una presenza costante nel feed di qualcuno, ma una creator che pubblica solo video di cui va veramente fiera». L'intervista
Emma Galeotti «Sono stata dipendente dai social. Mi faceva male la mandibola e mi sentivo svuotata»
Press Office. Maria Grazia Scaccia per Feelstudio.

Se dovessimo associare una parola a Emma Galeotti, content creator e attrice da 267 mila follower su Instagram e oltre 938 mila su TikTok, quella sarebbe creatività. Infatti, il filo comune del suo lavoro è proprio questo: sia che si parli dei suoi reel o dei suoi TikTok, del suo lavoro come attrice o di quello come scrittrice (dal 18 giugno, è disponibile il suo libro dal titolo Questo libro non esiste). Quando sogna in grande, parlando con noi al telefono, lo fa proprio pensando al modo migliore in cui vorrebbe veicolare questa sua creatività: magari scrivendo ancora un altro libro o sceneggiando e ideando una serie tv tutta sua per una grande piattaforma. È il modo, per lei, non solo per esprimere le sue idee, ma anche per sentirsi a suo agio con se stessa: «La cosa più importante che ho capito facendo questo lavoro è che sono sì tanto strana, fuori dagli schemi, ma che va bene così perché mi permette di intrattenere, ideare, scrivere, girare quello che mi viene in mente. Mi fa sentire libera», ci dice.

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Quando ha scoperto questa sua vocazione?

«Ho sempre fatto recitazione e teatro, ma mi sono sempre nascosta: tendevo a rimanere in disparte. Poi mi sono detta: “buttati, provaci”, ma quando è successo c'è stato il Covid, il lockdown e tutto quello che sappiamo. Quindi, mi sono trovata con tanta energia e voglia di fare e TikTok mi è sembrato il mezzo più vicino a me, alle mie idee e alla voglia che avevo di recitare».

Dal teatro ai social, il passo è molto grande: sembrano due mondi che non hanno molto in comune

«Nel mio caso, però, uno ha sempre aiutato l'altro. Quando è stato possibile, io ho subito iniziato un percorso accademico in teatro, ma ovviamente non ho smesso di fare video sui social. Iniziare a produrre contenuti per TikTok e Instagram mi aiutato ad aprirmi, a liberarmi e questo è stato fondamentale in teatro. Dall'altro lato, il teatro mi ha spinto a rendere i miei video più belli, più tecnici, più artistici. Per me, c'è una totale commistione tra i due mondi».

Questo nonostante, o almeno così sembra emergere un po' dal suo libro, il mondo social e influencer sia un po' vuoto?

«All'inizio della narrazione può sembrare così, poi le cose si fanno più complesse. Io ho voluto proprio che il mio personaggio principale fosse “un'influencer basic” proprio perché è molto lontana da ciò che propongo io sui miei canali. Però, non c'è una mia volontà di giudizio in questo: voglio mostrare semplicemente che ognuno ha il suo ruolo sui social. Ci sono le Caterina, come la protagonista del mio libro, che si mostrano e mostrano quello che fanno. Poi ci sono persone come me che ideano monologhi e sketch. Il bello dei social è che, oltre a essere molto facili da usare e alla portata di tutti, danno la possibilità a ognuno di esprimersi nella maniera che ritengono migliore per loro e le proprie inclinazioni».

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I lati negativi di essere sui social, invece, quali sono?

«Ho sempre avuto un approccio molto lucido sulla questione e, infatti, sin da subito ho cercato di proteggermi evitando di parlare di me, del mio privato e questo mi permette di rimanere un personaggio. Comportandoti in questo modo, eviti quell'effetto idolatria che, in alcuni casi, può rivoltarsi contro di te. Il problema maggiore per me è stata la dipendenza».

Ovvero?

«Vedere tutte quelle persone che interagiscono con te, mettono like, rilascia dopamina nel tuo cervello. Ha un effetto positivo che non ti fa ragionare sul fatto che stare sette, otto, dieci ore sui social può farti male. Però, poi cominci a notare che, a fine giornata, stai male, ti senti svuotata, frustrata, inizi a sviluppare automatisti, come selezionare l'app di Instagram sul cellulare senza neanche pensarci, o ad avere dolore alla mandibola come se fossi stata in tensione tutto il giorno».

E, ora, ha cambiato atteggiamento?

«Ho limitato le ore di utilizzo e ho iniziato a farmi domande. Ad esempio sul mio ruolo, mi sono chiesta se io, con la mia presenza sui social, contribuissi a sviluppare la dipendenza di qualcun altro. Quindi, per ora, la soluzione che ho trovato è puntare sulla qualità e meno sulla quantità: non devo essere una presenza costante nel feed di qualcuno, ma una creator che pubblica solo video di cui va veramente fiera, senza avere più la paura che, se non produce contenuti di continuo, possa finire nel dimenticatoio».

A proposito di qualità, hai partecipato a campagne contro disinformazione e fake news o sull'importanza della Costituzione. Si riflette tanto sulla disaffezione dei più giovani al voto e alla politica in generale, però questo genere di video, pensati per il pubblico che ti segue, dimostrano il contrario.

«Credo che riflessioni del genere, sinceramente, non abbiano nulla a che fare con la realtà. La questione, secondo il mio punto di vista, è più di sfiducia che di disinteressamento. Veniamo bombardati da un flusso talmente ampio di informazioni, vediamo realtà, circostanze anche lontanissime da noi che, di sicuro, non ci invogliano ad avere fiducia nel futuro. Siamo cinici, non crediamo più ai miti, siamo disillusi, di certo non disinteressati o ignari di quello che accade attorno a noi».

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Ci sono altri temi, di portata un po' più generazionale, che le piacerebbe affrontare nei suoi video?

«Mi piacerebbe mettere la comicità e l'ironia a servizio della salute mentale, dell'educazione emotiva e dell'empatia. Vorrei creare una sit-com, una mini serie in cui si parli di emozioni che, se ci riflettiamo, è il grande tema della nostra generazione».

Psicologia e comicità quindi?

«Il comico o chi usa l'ironia per descrivere le situazioni deve avere inevitabilmente una buona lettura della mente umana. Per prenderti in giro, devo capire chi sei, empatizzare con la tua condizione e, poi, cercare di tirare fuori un sorriso. Se non ti capisco e ti prendo in giro, invece, sono solo un bullo».

E con quale obiettivo girerebbe le puntate di questa serie?

«Il messaggio, quasi subliminale, di ogni puntata sarebbe imparare a capire come leggere e affrontare le proprie emozioni. Quando ci sono riuscita io, mi si è aperto un mondo, ma se sei da sola ad avere queste consapevolezze, non è molto utile. Invece, se tutti avessimo più conoscenza su questi argomenti, gli effetti benefici si ripercuoterebbero su di noi, come società».

Certo, richiede molto lavoro…

«Ma dovremmo provarci. Cosa ci potrebbe accadere di male? Che finalmente ci capiamo e riusciamo a essere felici? È una prospettiva così spaventosa?».