Johnny Depp: «Vanessa Paradis? L'ho vista ed ero fritto»

Vanity Fair compie 20 anni. Vent'anni di incontri, di emozioni, di avventure e scoperte. Per questo straordinario anniversario ripubblicheremo dal nostro archivio, ogni giorno, alcuni pezzi indimenticabili. Questa è un’intervista all'attore del 2010, ai tempi dell'amore con Vanessa Paradis
Johnny Depp «Vanessa Paradis L'ho vista ed ero fritto»

Anelli? Ci sono. Con i teschi? Sì. Bracciali? Ci sono, compreso uno da preghiera, parecchio vistoso, d’oro bianco e brillanti. La giacca di pelle? C’è anche quella, finto effetto rovinato, praticamente perfetta. Ci sono anche gli occhiali, i capelli lunghetti e scuri (un sospetto: troppo scuri, forse, per uno nato nel 1963?). E ci sono i baffi, il pizzetto, il dente d’oro. E, naturalmente, ecco gli zigomi, quegli zigomi così esotici e intriganti, la parte migliore, quella parte che fa di Johnny Depp Johnny Depp, l’uomo con una faccia che – hai voglia mascherarsi da Jack Sparrow, Cappellaio Matto, Willy Wonka – ha sempre qualcosa di ipnotico e inafferrabile. L’ho incontrato all’Hotel Le Meurice di Parigi, una delle città che ama di più e che ama raccontare con tono sognante, da americano incantato e forse anche culturalmente intimidito. Fa un sospiro profondo e dice: «C’è roba seria qui. Cammini nelle strade in cui camminavano Baudelaire e Gérard de Nerval e Hemingway. Vai a Montparnasse, alla brasserie La Closerie des Lilas, e non puoi fare a meno di immaginare il giorno in cui lì, al posto tuo, c’era seduto James Joyce, a scrivere La veglia per Finnegan».

Johnny da Owensboro, Kentucky, europeizzato per cultura e per amore di una compagna francese, Vanessa Paradis, da 13 anni insieme, con due figli e una casa in Provenza. Johnny che potrebbe presto, addirittura, con la sua Vanessa, girare un film su Simone de Beauvoir e lo scrittore americano Nelson Algren, protagonisti di una delle più belle storie di passione e letteratura.
Ma quel film è ancora solo tutto chiacchiere e prime bozze di sceneggiature, mentre oggi siamo qui a parlare di The Tourist (uscita il 17 dicembre in Italia). La regia è di Florian Henckel von Don- nersmarck (tedesco, premio Oscar per Le vite degli altri). Remake di un film francese intitolato Anthony Zimmer (lì c’erano Yvan Attal e Sophie Marceau), The Tourist arriva in sala dopo una vi- cenda produttiva complicatissima. Ha cambiato quattro registi: Lasse Hallström, Bharat Nalluri, Alfonso Cuarón, finché è arrivato Florian. È cambiata anche parte del cast. Fin dall’inizio era prevista Angelina Jolie, nel ruolo femminile. Per quello maschile si è andati da Tom Cruise a Sam Worthington (Avatar) per finire a Johnny Depp. Il ruolo è quello di un tizio qualsiasi, un turista americano, per la prima volta a Venezia, uno che pensa di cavarsela a parlare con gli italiani, dicendo «gracias» e «por favor» in uno spagnolo raffazzonato. Incontra in treno Elise, una donna che ha lo splendore sofisticato di Angelina Jolie, lei lo punta come per sedurlo e lui, che si chiama Frank Tupelo e fa il professore di matematica nel Wisconsin, si trova, stupitissimo, apparentemente suo malgrado, a seguirla per poi finire in una sarabanda di inseguimenti e sparatorie di criminali internazionali cattivissimi e corrotti, una roba alla James Bond, situazione per la quale non ha né il physique du rôle né la preparazione mentale. La scena madre del film: Johnny Depp in pigiama azzurro e piedi nudi che corre, goffo come un’oca, sui tetti di Venezia.

Scusi se glielo dico. Nel film non appare proprio come un sex symbol: è anche grassoccio.
«L’ho voluto io e, le dirò, all’inizio la produzione non era affatto d’accordo. Ma io ci tenevo: essere grasso rendeva i movimenti ancora più imbranati. Non è stato difficile: piatti di pasta e molta birra. La birra, in particolare, aiuta parecchio».

Il grassoccio Frank è un ex fumatore che, per smettere, ricorre alla sigaretta elettronica. Lei che cosa pensa di certi surrogati?
«Mi fanno un po’ ridere. Tante storie per il tabacco e poi ti metti a fumare questa cosa di plastica e metallo dove puoi ingerire qualsiasi sostanza chimica».

Ma Frank è così: un uomo qualsiasi, che più qualsiasi non si può. Interpretarlo dev’essere stato strano per lei, il Grande Eccentrico del cinema contemporaneo.
«Lo so. Era proprio questa la sfida. Fare un uomo normale, per una volta».

Lei che ha avuto e conduce una vita abbastanza eccezionale, è stato amico di Marlon Brando e ha avuto un’ex fidanzata di nome Kate Moss: come fa a immaginarsi nei panni di un uomo comune?
«Per mettermi nei panni di questo turi- sta che finisce in una storia più grande di lui, mi sono ricordato di me stesso quando, per la prima volta in vita mia, andai fuori dagli Stati Uniti, per girare Platoon di Oliver Stone. Doveva essere il 1987: arrivammo a Manila, nelle Filippine, e la città era in rivolta, con la gente che girava armata per le strade e io, poco più che un ragazzo, non capivo niente».

Non era mai stato fuori dagli Stati Uniti, ma aveva già viaggiato parecchio.
«Da bambino ho cambiato casa, città e Stato tante volte, non saprei contarle. E poi, quando ho cominciato con la mu- sica (prima di diventare attore, Depp ha fatto il chitarrista rock, ndr), ci sono state continue altre trasferte. Poi è arrivato il cinema, con i suoi set sempre lontani. Passo molto tempo in Francia, ma anche altrove, per lavoro e per piacere. Non saprei dire se questa vita da zingaro io me la sia scelta. So che è l’unico modo di vivere che conosco».

Oggi lei è arrivato in ritardo all’intervista. Un caso?
«No, io sono in ritardo da una vita! Non so perché ma per me è impossibile essere puntuale. Non ce la fanno né il mio corpo né il mio cervello».

Come è stato lavorare con Angelina che, a Venezia, si era portata tutta la tribù? «Non la conoscevo, mi ha piacevolmente sorpreso. Non so come facciano lei e Brad a vivere con addosso questa enorme lente d’ingrandimento globale, con i fotografi e la gente che li segue e che vuole sapere tutto di loro. Angelina riesce in qualche modo ad avere un distacco da tutto questo e a non farsi stressare. Ed era dura, a Venezia. Giravamo di giorno, in mezzo alla gente. C’erano barche piene di paparazzi ovunque ci trovassimo. Io non sono abituato a tutta questa attenzione. Ogni tanto, la mattina prima di iniziare a lavorare, le domandavo: “Quanti ce ne sono fuori, oggi?”. E lei rispondeva: “35. Ce la possiamo fare”. Ci abbiamo riso molto sopra. Era surreale».

Non si sarà goduto Venezia, vista la folla curiosa.
«Di giorno era impossibile. Però me la sono goduta moltissimo di notte. Ho vagabondato spesso, tra le dieci di sera e le due del mattino. Sono andato dove viveva George Byron: mi incanta seguire le tracce dei poeti».

Nel film ci sono parecchi attori italiani, in piccoli ruoli. Ha fatto amicizia con qualcuno?
«Sì, con Christian De Sica, ottimo attore e uomo simpaticissimo. Mi ha raccontato tante storie meravigliose su suo padre, è un pezzo di storia del cinema ambulante. Ho conosciuto anche suo figlio, Brando, che studia per diventare regista. Spero di rivederli presto, quando capito a Roma».

Nel film, Elise/Angelina Jolie porta Frank, il suo personaggio, nella sua suite all’Hotel Danieli. Ma lo fa dormire sul divano. Le è mai capitato, nella vita?
«Mi sta chiedendo se mi è mai capitato che una donna mi spedisse a dormire sul divano? Purtroppo sì. E molte più volte di quante io sia disposto ad ammettere».

Difficile da credere, diranno ora le mie lettrici. Comunque: nel film, tra i due personaggi, c’è un evidente colpo di fulmine. È una modalità sentimentale credibile?
«Altroché. Ne sono stato io stesso vittima tredici anni fa, qui a Parigi, mentre giravo La nona porta di Roman Polanski. Ero all’Hotel Costes, a pochi metri da dove ci troviamo adesso. Seduto al bar, vedo una schiena e alla schiena c’è attaccato un collo e io resto folgorato da questa immagine bellissima, statuaria. Poi il collo si gira ed è Vanessa. Si avvicina, mi dice: “Ciao, ti ricordi di me?”. Ci avevano presentati anni prima, ma di fretta. E io, imbambolato, prima ancora di rispondere: “Ah, sì, certo, mi ricordo, come stai?”, ero fritto. Vanessa mi ha steso in pochi secondi».

Ci sono stati dei rumors, a proposito di una scena sexy nella doccia con Angelina, che poi sarebbe stata tagliata. «Non l’abbiamo mai girata. Pare fosse in una precedente versione della sceneggiatura, ma poi, al momento di girare, non c’era più. Quindi io non ne so nulla».

Comunque, ci sono un paio di baci tra lei e Angelina.
«Già. Baciarsi sul set è sempre una cosa un po’ imbarazzante».

E correre in pigiama sui tetti di Venezia?
«Pure. Soprattutto per il pigiama. Io non sono proprio un tipo da pigiama».

Potrebbe fondare un partito anti-pigiama con un altro suo amico: Keith Richards. È vero che state preparando un documentario insieme?
«Sì, è vero. Materiale di repertorio, io che racconto, non so ancora esattamente che cosa ne verrà fuori, se un vero documentario, un film o un oggetto in cerca di definizione. Comunque, lavorare con Keith è fantastico. È un uomo saggio, dolce e divertente. È sopravvissuto a tutto: parli con lui mezz’ora e ti ammalia. Per me è un po’ un amico e un po’ un eroe. Se penso che è un uomo che ha conosciuto il successo prima ancora di cominciare a farsi la barba, è incredibile quanto sia con i piedi per terra».

Ma lei come si vede per quando avrà l’età di Keith Richards?
«Non è che manchi molto tempo...».

Finita l’intervista, mentre le assistenti microfonate lo spingono fuori dalla stanza, io riesco a consegnare a Johnny un dono che mi era stato affidato da un amico italiano, un artista. Johnny apre il pacchetto. Gli zigomi salgono su su su, in un grande sorriso. Mi chiede di ringraziare l’amico-ammiratore che non conosce, mi mette una mano sulla spalla e mi bacia sulle guance. Non so se è un Grande Eccentrico o un Uomo Qualsiasi. Però Johnny Depp è una persona gentile.