Julianne Moore, May December e l'eterna fatica di mantenere l'equilibrio

L'ultima è la donna che ha sfidato un tabù sociale nel film candidato all'Oscar per la sceneggiatura. Ma la carriera della diva è da sempre costellata di ruoli femminili che faticano per restare in piedi. Una scrittrice ci racconta l'attrice dagli occhi «che paiono pozzi»
julianne moore cover digitale

Julianne Moore è molto bionda, sorride poco, prende le birre dal frigo e, come al solito, è molto bella. Nell’ultimo film di Todd Haynes, May December (al cinema dal 21 marzo) è Gracie Atherton. Gracie Atherton è molto bionda, sorride poco e prende le birre dal frigo. May December racconta la storia di Gracie e di Elizabeth Berry (Natalie Portman) attrice che interpreterà Gracie nel film sulla sua vita.

Chi è Gracie e perché una star di Hollywood arriva fino a Savannah per intervistarla e interpretarla meglio bambina mia? Nel 1992, Gracie ha fatto sesso con Joe Yoo, compagno di classe di Georgie, suo figlio. Gracie aveva trentasei anni e Joe tredici. Hanno fatto sesso su un gradino nel retro del negozio di animali dove entrambi lavoravano. È andata così, un pomeriggio, prima si scrivevano delle lettere. Anche dopo se ne sono scritte. Elizabeth vuole parlare con Gracie, conoscerla meglio, così Gracie la invita a casa e Elizabeth arriva mentre Joe prepara il barbecue, Gracie tira le birre fuori dal frigo e i loro figli, che stanno per andare al college – il diploma è lì a poco, – parlano, giocano e sogguardano Elizabeth Berry, l’attrice famosa, chiamatemi Elizabeth, certo. Sono passati quasi venti anni da quel 1992 e la coppia dello scandalo non solo non è andata via da Savannah, ma è sbocciata. Joe fa l’assistente in uno studio medico, Gracie fa le torte. Un solo tipo di torta per vero, ma alle persone piace, insomma, la comprano. Il negozio di animali c’è ancora. Georgie canta in un bar.

Elizabeth vorrebbe parlare con tutti e dopo poco, pochissimo, si accorge che in effetti può farlo ma che tutti – l’ex marito di Gracie, i suoi fratelli, Georgie, il vicino di casa, Joe – prima e dopo averla incontrata, parlano con Gracie. Gracie è la casa, la stanza, i muri, gli angoli, la tela e il ragno, è tutto il mondo. Interpretare una persona è una prova d’attore, ma interpretare il mondo è la prova di una vita e così Elizabeth, più curiosa che spaventata, comincia a vivere la vita di Gracie e nella vita di Gracie non si sta comodi perché non esiste felicità ma solo equilibrio. L’equilibrio, la fatica per mantenerlo, sembra essere la caratteristica di molte donne interpretate da Julianne Moore e lo si capisce per sempre guardando May December.

Natalie Portman e Julianne Moore in May December.

Francois Duhamel

Si pensi a Laura Brown che legge La signora Dalloway di Virginia Woolf ne Le ore (Stephen Daldry, 2002) e immagina che il letto sul quale sta stesa improvvisamente si metta a galleggiare nelle acque che hanno inondato la stanza e, ciò nonostante, torna a casa con suo figlio bambino a festeggiare il marito che non ama. Si pensi a Far From Heaven (Todd Haynes, 2002) dove Cathy Whitaker che è donna, madre e casalinga perfetta si ritrova in una quotidianità dove il marito cerca di sfuggire, con poca fortuna, alla propria omosessualità e lei frequenta e a ride con un uomo nero nell’America della segregazione razziale, chi ha più colpa tra lei e lui agli occhi degli altri? Si pensi a Maude Lebowski de Il Grande Lebowski (Joel Coen, 1998) innamorata di Dude e che vuole un figlio da un uomo col quale non desidera avere niente a che fare. Si pensi a The Kids Are All Right (Lisa Chodolenko, 2010) dove Moore interpreta Jules, casalinga (ancora una volta), sposata a una donna però. Jules incontra il padre biologico di uno dei figli, e comincia a temere che ciò che le è mancato nella vita è stato il sostegno della compagna con cui ha cresciuto i ragazzi e per la quale ha abdicato a lavoro, curiosità aspirazioni. Si pensi a Magnolia (Paul Thomas Anderson, 1999) quando Linda Partridge entra in farmacia con un blocchetto di ricette per morfina, Prozac, calmanti o eccitanti vari, il giovane e il vecchio farmacista prima la guardano con sospetto, poi scherzano su una possibile festa lisergica con amici e Linda che fino a quel momento ha mantenuto una calma tesa urla «Sono malata e tutto ciò che ho di più caro al mondo è malato, non chiamatemi signora, cosa ne sapete della mia vita». L’impressione è che nessuno sappia niente delle donne che Julianne Moore interpreta, nessuno possa sapere niente. Si pensi a Boogie Nights (Paul Thomas Anderson, 1996) dove interpreta Amber Waves, una delle grandi attrici dell’industria del porno statunitense che beccheggia tra la cocaina e la battaglia legale per avere in affido il figlio avuto dall’uomo sposato prima di intraprendere la sua carriera artistica. Equilibrio, la fatica dell’equilibrio.

Julianne Moore e Natalie Portman in May December.

Julianne Moore sorride sghemba affacciata alle finestre delle sue interpretazioni, fissa un orizzonte che sta sempre molto oltre la testa di chi la osserva, la sua voce è sottile ma piena, i suoi occhi paiono pozzi, talvolta d’acqua limpida, talvolta senza apparente fondo, talvolta pozzi neri nei quali la vita non ha né un bell’aspetto né un buon odore, ma brulica. Sono buone le donne di Julianne Moore o non lo sono, sono innamorate o non lo sono, si accontentano della vita che conducono o vogliono altro, e quando vogliono altro perché spesso tornano in dietro, nascondo, occultano. Tutto è apparentemente uguale ma il pozzo dei loro occhi cambia natura e destinazione. Acque bianche, acque nere.

Julianne Moore in Far From Heaven.

Julianne Moore in Magnolia.

C’è tuttavia in Gracie Atherton qualcosa che Julianne Moore ha aggiunto al flabello dei suoi sorrisi e dei suoi equilibri, ed è una sfumatura forse indotta dalla ripetuta ossessione di Todd Haynes di mettere in scena una storia di attrazione – si chiarirà il senso nelle righe successive (o almeno spero) – tra due donne in età da poter essere madre e figlia, o quasi. Nel 2015, Haynes gira Carol, il film che aveva in testa da molti anni tratto dal romanzo omonimo di Patricia Highsmith (in Italia l’editore è Bompiani, la traduzione è di Hilia Brinis). Il film – e prima il romanzo – racconta la storia di Carol, donna altoborghese, sposata e con una figlia. Carol incontra in un grande magazzino Therese, una ragazza lì impiegata come commessa, le due si innamorano. L’amore tra Carol (Cate Blanchett) e Therese (Rooney Mara), è un amore romantico, sensuale, fisico e forte dell’immaginazione del futuro che potrebbe esser loro impedito. Quello tra Gracie ed Elizabeth, in May December, non ha niente di esplicitamente sessuale, tuttavia, all’ovvio gioco di specchi dovuto al fatto che Elizabeth è un’attrice e deve interpretare Gracie nel film biografico, si aggiunge la meno ovvia e assai più cupa sovrapposizione, sia nell’amore e nel possesso senza amore, tra voler essere l’altra e voler avere l’altra. E così, la scena in cui Elizabeth e Gracie (la macchina da presa è dietro lo specchio nel quale entrambe si stanno guardando), diventa l’occasione per Julianne Moore di sperimentare un altro sorriso, una eco di sorriso. Sorridere e fissare qualcosa e qualcuno dal suo volto e dal volto di un’altra che segue le sue espressioni e movenze per ripeterle, contemporaneamente. Julianne Moore che fa Gracie non è solo uno spazio, è un tempo che non segue cronologie ma analogie. Un corpo di donna che somiglia a un altro corpo di donna che somiglia a un altro corpo di donna. Ad libitum. Avere l’altra, essere l’altra.

Julianne Moore in The Hours.

Foto di Jason Armond/Los Angeles Times via Contour RA by Getty Images.