Che cosa può garantire una lunga vita a tutti?

L’urgenza di una ricerca scientifica di genere e di farmaci su misura, le scoperte sulla metformina, gli studi sul sonno. Su questo e altro si concentrano gli esperti della longevità: la scommessa non è solo quella di aggiungere candeline ai nostri compleanni, ma di garantirci un tempo di alta qualità
clessidra longevità
Conceptual illustration showing scenes of social care within a large hourglass.SAM FALCONER, DEBUT ART/SCIENCE PHOTO LIBRARY

Questo articolo è pubblicato sul numero 14 di Vanity Fair in edicola fino al 3 aprile 2024.

Bello vivere fino a 100 anni, ma come arrivarci preservando al meglio la salute psicofisica? Se da un lato le aspettative di vita si allungano, dall’altro c’è il rischio di ritrovarsi a convivere con una malattia o una scarsa forma fisica. Sempre più la ricerca medica si sta concentrando sullo studio dei meccanismi del declino cognitivo, di terapie per rallentare l’invecchiamento, di farmaci per il rinnovamento cellulare. Il tutto da associare a uno stile di vita più sano. Ci stiamo riuscendo? È presto per una risposta definitiva, considerato che gli studi più sofisticati sono iniziati da poco. Di certo, siamo però in tempo per cominciare a ragionare su come prolungare il nostro benessere. Ecco a quale domani si sta già guardando.

Medicina «bikini»: è ora di cambiare

Le donne vivono più a lungo degli uomini, ma in età avanzata si ammalano di più. «Osteoporosi, artrite reumatoide, depressione, Alzheimer: a partire dalla menopausa le donne sono statisticamente più soggette a patologie croniche e debilitanti che spesso attaccano il cervello, il centro motore del corpo», spiega Antonella Santuccione Chadha, neuroscienziata, co-fondatrice e Ceo del Women’s Brain Project di Zurigo, fondazione che si occupa dell’influenza del sesso e del genere sulle malattie mentali e cerebrali. Al recente Longevity Summit di Milano, ha messo in luce le ragioni per cui la vita lunga delle donne ha più criticità: «La scienza ha condotto pochissimi studi sulla salute femminile, limitandosi alla cosiddetta “medicina bikini”, concentrata sull’apparato riproduttivo: utero, ovaie e seno. Si è sempre pensato che la donna fosse “un piccolo uomo” e che il resto fosse uguale, solo in taglia ridotta. In realtà, le donne sono un organismo a parte, e la differenza è che gli uomini sono stati maggiormente inclusi nella ricerca clinica e nella sperimentazione dei farmaci, il che non è avvenuto per le donne, che hanno un maggior rischio di sviluppare il declino cognitivo, a prescindere dall’età». Peraltro, «la capacità verbale femminile, molto sviluppata, permette di mascherare meglio i sintomi della neurodegenerazione. Con l’aggravante che, quando viene diagnosticata, le donne hanno una progressione della malattia due volte più veloce rispetto a un uomo». Ma perché succede? «Non sappiamo ancora se la causa sia o meno legata al multitasking su cui è impostata la vita femminile. Di certo, la deprivazione del sonno è un rischio specifico per la demenza e le donne dormono malissimo», aggiunge la neuroscienziata.

Conceptual illustration showing a woman's profile containing a nature scene with various plants, animals and objects.SAM FALCONER, DEBUT ART/SCIENCE PHOTO LIBRARY

«Poiché il sonno pulisce il cervello dalle proteine tossiche che vi si depositano, rappresenta un elemento importante della prevenzione. Durante la menopausa, inoltre, la qualità del sonno declina in maniera considerevole, e qui scatta subito una domanda: questo aspetto è stato studiato? No. Lo stiamo tenendo in considerazione? Iniziamo. È un problema? Sì. Le donne vivono di più ma hanno una qualità di vita peggiore anche perché manca una ricerca clinica proprio sulla menopausa. È vero che è una cosa fisiologicamente accettata, ma è anche vero che quando consideriamo cure, dosaggi ed effetti collaterali non esiste uno studio che, a corredo dell’azione terapeutica di un farmaco, prenda in conto i cambiamenti ormonali lungo l’arco dei 5 o 6 anni menopausali», rimarca l’esperta.
Inoltre, numerosi studi hanno evidenziato anche un rischio maggiore di depressione per le donne. Tra le cause, il fatto che il cervello femminile sia più empatico e quindi più soggetto a un sovraccarico emotivo, e il peso del lavoro di cura, che ancora oggi ricade sulle donne nell’80% dei casi. «La medicina è una scienza in evoluzione, però nel mondo dei Big Data e dell’Intelligenza Artificiale non è più possibile ignorare le differenze biologiche», sottolinea Santuccione Chadha, lanciando una proposta per colmare il gap: «Se fino a ora, negli studi clinici, ci siamo concentrati prevalentemente sul corpo maschile, nei prossimi cinque anni concentriamoci sulle donne».

Nutrizione consapevole

Alcuni studi confermano con sempre maggiore incisività il danno che provoca a livello di invecchiamento cellulare un’alimentazione esageratamente calorica: in pratica, mangiamo troppo rispetto a quello che consumiamo. Sappiamo pure che le esigenze nutrizionali e i rischi per la salute possono variare significativamente tra uomini e donne a causa delle loro differenze biologiche, ormonali e metaboliche. Nel caso delle donne, ci sono cibi e nutrienti la cui carenza in certe fasi della vita può influire negativamente.
«In età giovanile, una dieta ricca di calcio e vitamina D è fondamentale per la salute ossea», spiega Hellas Cena, prorettore e docente di Dietetica e Nutrizione Clinica dell’Università di Pavia - Unità di Nutrizione Clinica e Dietetica, Ics Maugeri I.R.C.C.S., e componente del Comitato Scientifico di SoLongevity, che al Longevity Summit di Milano ha parlato proprio della nutrizione di genere con un focus sulla donna. «Durante la gravidanza e l’allattamento è cruciale un’integrazione di acido folico e ferro per il corretto sviluppo del feto e la prevenzione dell’anemia, mentre in fase di menopausa è l’assunzione di alimenti ricchi di isoflavoni a diventare importante: può aiutare a ridurre i sintomi e a mantenere la densità minerale ossea».
Uno tra gli errori più comuni che spesso commettiamo durante i pasti? «Non essere consapevoli delle proprie porzioni e non ascoltare i segnali di sazietà del corpo. Questo succede perché, complice anche lo stile di vita, si tende a mangiare troppo velocemente, non si mastica a sufficienza, ci si alimenta in modo distratto e ciò porta spesso a un eccesso di cibo consumato rispetto al reale bisogno del corpo», chiarisce Cena.
Anche il peso corporeo è un parametro importante per valutare la salute nel tempo, sebbene non sia l’unico indicatore. «Da considerare ci sono tra gli altri fattori come la composizione corporea, il livello di attività fisica, la dieta, la genetica e lo stato di salute generale. Un peso corporeo ritenuto “sano” dipende dalla distribuzione del grasso e dalla quantità di massa muscolare: una persona potrebbe avere un peso più elevato di un’altra a causa della maggiore massa muscolare, ma essere in salute e in forma. Al contrario, un’elevata percentuale di grasso corporeo rispetto alla massa magra può essere associata a un aumentato rischio di malattie croniche come il diabete, le malattie cardiache e l’obesità».

La notte, i sogni, quanti ricordi

Alla base della salute psicofisica c’è anche la qualità del sonno. Solo per fare un esempio, in Italia sono oltre 4 milioni le persone che soffrono di insonnia, e sei su dieci sono donne. Sappiamo che un buon riposo preserva dal declino cognitivo, che quando dormiamo il cervello rielabora i ricordi, li riorganizza e li conserva meglio, e che anche i sogni hanno delle funzioni precise associate al benessere. A spiegarlo è il neuroscienziato Giulio Bernardi, ricercatore della Scuola IMT Alti Studi di Lucca e direttore del progetto Tweak Dreams, che analizza i profondi meccanismi che regolano il sonno e l’attività onirica. «I nostri studi hanno rilevato che il sonno è più profondo e più consolidato quando si sogna. Dormire e sognare indicano quindi un riposo notturno migliore. Ma un sonno con sogni sregolati, limitati o eccessivi porta ad alterazioni del benessere e questo dimostra la loro importanza per la salute», precisa il ricercatore.
Ulteriori analisi collegano i sogni anche alle condizioni che possono predire un eventuale sviluppo della demenza. «Si tratta di studi in pazienti che soffrono del cosiddetto “disturbo comportamentale del sonno Rem”, una condizione in cui le persone eseguono i movimenti del sogno che stanno facendo. Si è visto infatti che questa condizione, nell’arco di 10 anni, ha il 50 per cento di possibilità di sfociare nella malattia di Parkinson», precisa l’esperto. Anche il legame con la memoria appare molto forte: «Sembra che i sogni abbiano una funzione nei processi creativi. Sarebbero utili non solo per memorizzare ma anche per stimolare nuove associazioni neuronali e favorire la soluzione di problemi». E c’è di più: la stretta relazione con il tono dell’umore. «Quando i sogni riorganizzano i ricordi, in particolare quelli associati a un’emozione, i ricordi vengono in pratica “separati” dalla loro componente emotiva: se ci succede qualcosa di negativo durante la giornata, dopo aver dormito e sognato, avremo il ricordo di ciò che ci avrà resi tristi o arrabbiati ma non avremo più quello stesso peso sul nostro stato emotivo. Sognare, in pratica, “pulisce” le nostre emozioni».
A fronte dei benefici, esistono tuttavia alcuni rischi legati a un’attività onirica troppo intensa. «Nei casi dei cosiddetti epic dreaming, le persone hanno l’impressione di sognare tutta la notte. Fanno sogni ripetitivi in cui lavorano, camminano o corrono tutto il tempo e al mattino si sentono stanche come se avessero realmente svolto queste attività», spiega Bernardi. Anche alcune forme di insonnia possono dipendere da un eccesso di sogno: «Nell’insonnia cosiddetta paradossale la persona dorme tutta la notte, l’impressione però è quella di essere rimasti svegli a pensare. In questi sogni, infatti, il cervello rimane in parte attivo, determinando un sonno tutt’altro che riposante». La causa? «Non è certo, ma è possibile che a favorire questa condizione contribuiscano alcune forme di ansia e di stress».

Conceptual illustration showing scientists working on various aspects of regenerative medicine inside a giant heart shaped lab.SAM FALCONER, DEBUT ART/SCIENCE PHOTO LIBRARY

Basta una pillola. Anzi no

Tra le sostanze farmacologiche potenzialmente legate alla longevitИ e attualmente allo studio c’è anche la metformina, comunemente utilizzata per il diabete mellito di tipo 2. A questa molecola – versione sintetica di un estratto derivato dalla Galega officinalis, già nota nel Medioevo per la sua azione curativa del diabete – sono stati attribuiti anche effetti antietà, antitumorali e neuroprotettivi. Proprietà tutte scientificamente da avvalorare, ma che hanno iniziato a diffondersi in modo virale negli ultimi anni, quando i magnati della tecnologia della Silicon Valley hanno raccontato di farne un uso off label per rallentare il processo di invecchiamento. Ad attrarre il loro interesse sarebbero stati i risultati preliminari di alcuni studi clinici incompleti ed eseguiti su animali. Il meccanismo sottostante resta poco chiaro, sembra perШ che possa creare cambiamenti cellulari che migliorano la risposta del corpo all’insulina, aumentando la salute dei vasi sanguigni. Peccato che a oggi non vi siano evidenze scientifiche conclamate: «Sono molti anni che la metformina viene considerata un farmaco anti-aging e con potenziali azioni antitumorali», spiega Filippo Ongaro, già medico degli astronauti presso l’Agenzia Spaziale Europea ed esperto di riferimento per la medicina antietà. «Il centro dell’azione è il miglioramento della sensibilità insulinica, ed esistono molti studi – ma non ancora del tutto conclusivi – per un suo utilizzo pro-longevity. Ovviamente è necessario che a prescriverlo sia sempre un medico perché possono esistere effetti collaterali e controindicazioni».
Non si sa quando (e se) riceveremo solide prove scientifiche sui benefici pro-longevity della metformina o di altre sostanze, sappiamo però che da qui a dieci anni la ricerca farmacologica può riservarci interessanti novità sul fronte delle cure anti-age: gli scienziati biotech stanno studiando nuove sostanze protettive per l’invecchiamento tra cui i senolitici, farmaci definiti «distruttori della senescenza», e i senoblocker, tecnologie in grado di riattivare la rigenerazione fisiologica delle cellule.