Massimo Ammaniti: «Gli smartphone stanno divorando il tempo degli adolescenti. Rischiamo di avere nuove generazioni senza fantasia»

Nel suo nuovo libro, il docente di Psicopatologia dello Sviluppo pone l'accento sull'adolescenza, definendola un'età «paradossale», attraversata da un malessere indefinibile. Dall'avvento degli smartphone - che hanno radicalmente cambiato e impoverito la vita dei ragazzi - al ruolo dei genitori, che seppur «nelle retrovie» non devono far mancare la propria autorevolezza: ecco che cosa ci ha spiegato
adolescente con smartphone
MoMo Productions

Adolescenti che si isolano, che non vogliono andare a scuola, che diventano vittime silenziose oppure bulli. Ragazzini volubili, aggrappati alle loro convinzioni ma che al tempo stesso vivono per l’approvazione dei coetanei. In un contesto sociale in cui sono sempre più indipendenti e anche più viziati rispetto al passato.
Nel suo nuovo saggio I paradossi degli adolescenti (Raffaello Cortina Editore, 14 €) lo psicanalista Massimo Ammaniti, professore onorario di Psicopatologia dello sviluppo presso la Facoltà di Medicina e Psicologia della Sapienza Università di Roma, racconta e analizza alcuni casi emblematici di adolescenti che mostrano comportamenti «paradossali» determinati da un malessere indefinibile che è tipico della loro età. «Un malaise existentiel di cui avevano parlato i filosofi esistenzialisti», sottolinea lo psicanalista, in cui questi ragazzi vivono immersi, sebbene oggi siano molto più liberi che in passato: «escono fino a tardi, si muovono e viaggiano con la scuola e con gli amici, schivano e intimoriscono genitori accondiscendenti con facilità, vivono le loro prime esperienze sessuali senza essere ostacolati da pregiudizi e dai freni inibitori e navigano in modo spericolato sui social network».

«I paradossi degli adolescenti» di Massimo Ammaniti


Ciò che nelle vite degli adolescenti contemporanei appare prioritario è però il rispecchiamento e il riconoscimento del gruppo. Spiega Ammaniti: «L’immagine di sé viene rafforzata dalle valutazioni e dalle conferme degli amici e dei coetanei, come è documentato anche dagli studi neurobiologici, che hanno evidenziato la particolare sensibilità del cervello degli adolescenti alle influenze sociali e culturali».
Ma la difficile età adolescenziale è scandita anche da una maggiore possibilità di scelta rispetto a un passato in cui erano spesso i genitori a decidere per i figli. E se da un lato la famiglia rimane un punto di riferimento fondamentale, dall’altro c’è uno scenario in cui i giovani si muovono che è profondamente nuovo rispetto al passato: quello determinato dalla diffusione dei social network.

Professore, varie indagini sui disturbi degli adolescenti hanno rivelato che la condizione dei giovani è peggiorata dopo il 2012. Che cosa è successo?
«C’è stata l’introduzione degli smartphone. In un libro uscito da poco negli Stati Uniti, The anxious generation, si è parlato proprio dell'impatto dei cellulari sulle nuove generazioni. Hanno sottratto agli adolescenti molte esperienze, soprattutto le relazioni, gli scambi di persona fondamentali per la maturazione del cervello (che negli adolescenti è particolarmente sensibile agli stimoli sociali) e anche per la costruzione del carattere, della loro identità. L'attaccamento agli smartphone sta divorando molto del tempo che gli adolescenti dovrebbero riservare all'interazione con gli altri, a incontrarsi con gli amici, fare sport, interessarsi alle cose. Connettersi non vuol dire avere una relazione. Avere una relazione significa confrontarsi, guardare l’altro, rispecchiarsi in un'altra persona ed essere rispecchiato. Questo processo aiuta anche a regolare le emozioni, mentre online abbiamo le emoji, delle caricature… Ecco, direi che con tutto quello che sta venendo a mancare, rischiamo di avere delle nuove generazioni che giocano di meno, si confrontano di meno e sviluppano meno fantasia e immaginazione».

Gli adolescenti di oggi si differenziano da tutte le precedenti generazioni?
«Ci sono elementi in comune, come i grandi temi dello sviluppo del corpo nella pubertà e della sessualità. La cosa che però li differenzia dai precedenti è che molti ragazzini, quando arrivano all’adolescenza, hanno già navigato nei siti pornografici e possiedono una serie di immagini e idee pre-costruite, che condizionano anche certi scambi virtuali, per esempio attraverso il sexting. Sotto questo aspetto è un'adolescenza diversa rispetto al passato, ma rimane il fatto che la sessualità è una tappa importante, così come il cambiamento del corpo. Tuttavia, come sappiamo, il corpo non è soltanto “il corpo dell’adolescente”».

In che senso?
«Si confronta anche con le immagini della pubblicità, del cinema, delle serie tv e quello che si vede ad esempio sui siti. Non c'è soltanto il corpo “personale”, ma anche un corpo “sociale” che riflette certe immagini: bisogna essere filiformi nel caso delle ragazze e muscolosi nel caso dei ragazzi. Esistono una serie di stereotipi sempre più pervasivi, per cui il tema del corpo è sempre esistito, ma adesso i ragazzi si devono confrontare con questi feticci. Quello che invece è molto diverso oggi è il gruppo dei coetanei, che in passato esisteva fino a un certo punto. Prima la vita sociale si sviluppava molto di più a livello familiare e parafamiliare».

Come mai il gruppo è così importante?
«È diventato importante negli ultimi decenni perché aiuta ad affrontare il distacco dalla famiglia verso il mondo adolescenziale. Il gruppo però, da una parte ha una funzione di scambio, attraverso la collaborazione e l'amicizia, ma è anche uno spazio molto complicato, dove domina il confronto e può essere implacabile. L'adolescente si chiede Sarò accolto?, Non sarò accolto?, Mi rifiuteranno?, Mi criticheranno?, Mi considereranno uno che non è capace di fare niente?, perché nel gruppo c’è una forte competizione. Rappresenta - volendo usare un termine psicoanalitico - una specie di «super-io» molto lucido, molto giudicante, che non fa sconti a nessuno, che critica e con cui bisogna confrontarsi. In più, è diventato tutto molto complesso e pericoloso, soprattutto con l'avvento dei social network e dei gruppi online».

Di fronte al gruppo i genitori «scompaiono» del tutto?
«Stanno un po’ nelle retrovie, ma per la lunga storia che si è avuta insieme - anche se un adolescente non lo ammetterebbe mai - i genitori sono rassicuranti e nei momenti di difficoltà ci si può rivolgere a loro».

Quanto è complicato oggi il rapporto genitori-figli?
«Uno dei punti focali della relazione è che i figli ripetono ai genitori “Tu non hai fiducia in me”. Succede, per esempio, quando escono la sera e vogliono tornare più tardi oppure quando desiderano andare in viaggio con gli amici. Di fronte a queste nuove richieste degli adolescenti i genitori spesso hanno difficoltà a confrontarsi, diventano ansiosi, dubbiosi, cercano di capire dove va il figlio e che cosa fa. Si comportano a volte in maniera molto apprensiva, mentre sarebbe importante che fossero in grado di imporre dei limiti dicendo ai figli “A quest’ora si ritorna a casa”. Naturalmente su questo si aprirà un confronto, nel quale dovranno far sentire la loro presenza e la loro autorevolezza. I genitori non devono temere, bensì mantenere il loro ruolo».

Quali sono gli strumenti a disposizione dei genitori per far fronte sia al malessere e all’atteggiamento dei figli?
«Più che strumenti, risorse. Un genitore attento dovrebbe essere in grado di ascoltare i figli. L’adolescenza è un periodo complesso: ci sono ansie, dubbi, in un periodo - lo racconto nel libro - in cui il malessere deriva anche dal fatto che gli adolescenti hanno molte più opportunità rispetto al passato. E queste maggiori opportunità creano anche il problema della scelta, il dubbio di cosa fare. A volte, i ragazzi vivono come in una prateria: sono pervasi da troppe ansie, per loro è difficile riuscire a trovare una direzione. Credo che da parte dei genitori serva confrontarsi con i figli, mediare, accettare il loro parere e se si è in disaccordo - senza imporre in modo autoritario la propria visione - avere la forza di dire “questo è il mio punto di vista e ti spiego perché dico queste cose: non per partito preso, ma perché ritengo che fare determinate cose ti possa mettere in difficoltà”.
A volte, però, mi trovo di fronte a tavolate dove tutti stanno al cellulare. I genitori per primi danno il peggior esempio possibile: quando si sta a tavola è l’occasione per avere un confronto, per guardarsi, invece troppo spesso gli adulti sono come rapiti dallo smartphone. Anche fare un viaggio con i figli è “più facile” se li metti sul retro della macchina e dai loro un tablet in mano, piuttosto che parlare e stimolarli a guardarsi intorno. Il problema è che avere dei figli significa anche avere una tensione e non lasciarsi andare. Stare attenti ai segnali è fondamentale. Credo che una risorsa importante per i genitori sia anche non dimenticare la loro esperienza come adolescenti».

Dovrebbero condividere il racconto della propria adolescenza con i figli?
«Penso che non dovrebbero limitarsi a ripensare alla propria adolescenza in modo romantico, dicendo “tu non sai che quando io ero adolescente…", oppure ricordarla cercando però di coprire le sofferenze. Perché è certo che molti adolescenti, se non tutti, nei momenti più brutti, di forte disperazione hanno pensato al suicidio e si sono detti: “Io di questa vita non ne posso più!”. Era un’insofferenza rispetto a certi momenti in cui si perdeva la speranza, e quello è difficile da ricordare, perché si tende a riportare alla memoria gli aspetti di superficie, non i sentimenti che si provavano».

Con quali occhi dobbiamo guardare al futuro?
«Bisognerebbe riuscire a regolare gli sviluppi tecnologici e non farsi sopraffare. Social network come TikTok e altre piattaforme sono tali da suscitare dipendenza e se non ci interroghiamo sul possibile effetto di tutto questo rischiamo di diventare succubi dalla tecnologia. Invece la dobbiamo guidare, soprattutto per il bene dei bambini e dei ragazzi.
Credo poi che il problema degli adolescenti sia legato soprattutto agli adulti: devono fare uno sforzo, capire quali sono le loro motivazioni, i loro problemi, rendersene conto e dare delle risposte. Essere adolescenti oggi non è facile, perché il futuro è abbastanza nebuloso, il mondo del lavoro non assorbe adeguatamente i ragazzi e se li assorbe è per lavori sottopagati, soprattutto quando sono molto giovani. Questo da una parte, mentre dall’altra hanno una serie di preoccupazioni anche rispetto al mondo che gli stiamo lasciando. Dovremmo capire la condizione delle nuove generazioni tenendo presente che loro sono il nostro futuro e occorre investire in tutti i sensi: non soltanto sul piano economico ma anche in termini di dialogo e nei provvedimenti».