Nelle tradizionali comunità italiane ci sono i semi del futuro

Prendila con filosofia, di Andrea Colamedici e Maura Gancitano
estate 2023

Questo articolo è pubblicato sul numero 25-26 di Vanity Fair in edicola fino al 4 luglio 2023

protect me from what I want è uno splendido verso dell’artista statunitense Jenny Holzer, che invita a guardarsi bene dal desiderare ciò che non si conosce.

È valido anche per quelli che rivendicano in Italia la necessità di un ritorno alla «famiglia tradizionale», ignorando il fatto che la famiglia, nel corso della storia italiana, per lungo tempo non è stata affatto mononucleare. Al contrario, sono stati molti i modi con cui gli italiani hanno dato vita a unità sociali legandosi insieme allo scopo di creare ambienti di sicurezza, affetto e supporto. I più comuni hanno incluso una vasta rete di parenti e affiliati tessuta stretta da vincoli di solidarietà e cooperazione.

Nelle strutture familiari allargate dell’Italia rurale preindustriale era comune, per esempio, vivere all’interno di corti al Nord o di masserie al Sud, dove più famiglie condividevano lo stesso spazio, lavorando e convivendo. Queste strutture non erano esclusivamente economiche; piuttosto, erano fondate su un sistema di solidarietà e mutuo soccorso attraverso cui – insieme – si provvedeva alla sicurezza e al sostentamento della comunità.

In regioni come il Veneto, l’Emilia-Romagna e la Lombardia, per esempio, dove l’agricoltura era caratterizzata da piccole proprietà contadine, dal Medioevo fino all’Ottocento si è praticato il parentado: le famiglie estese vivevano spesso insieme, lavorando la stessa terra e condividendo risorse e responsabilità. Allo stesso modo, le strutture di (buon) vicinato e di comunità locali nel Sud hanno influenzato profondamente la struttura sociale e ancora oggi rimangono, in molti piccoli paesi, forti e attive. I confini della famiglia mononucleare sono stati, a lungo, sfumati.

Soltanto con l’arrivo della società industriale nel XX secolo la struttura della famiglia italiana ha subito un cambiamento radicale. L’industrializzazione ha portato a un’urbanizzazione rapida, spostando l’attenzione dal lavoro agricolo e comunitario a quello di fabbrica e individuale. Questo ha contribuito alla formazione della famiglia nucleare, composta esclusivamente da genitori e figli.

Nonostante questo passaggio, oggi le radici comunitarie stanno riemergendo in nuove forme di vita cooperativa. Di fronte all’alienazione e al senso di abbandono di una società che ci chiede di dimostrare che siamo in grado di fare tutto da soli, tanti di noi stanno scegliendo di coltivare una cura comune, al di là delle barriere di genere e identità.

Mentre navighiamo nella complessità della vita moderna, possiamo guardare al passato per ricavare lezioni preziose. Il fatto è che, a imparare davvero dal passato, c’è il serio rischio che le lezioni da apprendere siano ben diverse da quelle che ci si potrebbe aspettare. L’importanza della comunità e della cooperazione, così evidente nelle antiche strutture familiari italiane, può servire da guida mentre esploriamo nuovi concetti di famiglia che vanno oltre il nucleo biologico. Riprendendo le migliori parti delle nostre tradizioni – l’amore, il sostegno reciproco, la cooperazione – possiamo costruire famiglie capaci di riflettere la ricchezza e la diversità della vita moderna.

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