Tatuaggi e tumori, che relazione c'è? Che cosa dice uno studio svedese

Un nuovo studio ipotizza un aumento del rischio di sviluppare linfomi. L'indagine, a causa di diversi limiti, è da prendere con cautela. Ma si collega a una serie di analisi che, nonostante i divieti europei, continuano a individuare troppe sostanze chimiche potenzialmente cancerogene nei pigmenti usati dai tatuatori
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I tatuaggi aumentano il rischio di linfoma maligno? Sembrerebbe di sì. Ma è un risultato da prendere con le pinze: è infatti una delle risultanze del primo studio su ampia scala dedicato a questo rapporto, nel quale questo rischio è stato stimato nel 20% in più rispetto a chi non ha tattoo. Gli inchiostri adoperati, nonostante alcuni miglioramenti introdotti nel gennaio 2022 dalle normative europee, contengono ancora troppe sostanze potenzialmente cancerogene che possono innescare reazioni immunitarie.

Un’indagine dello scorso anno dell’Agenzia svedese per i prodotti medici aveva per esempio riscontrato nel 96% dei test concentrazioni proibite, spesso legate al processo di produzione e la cui degradazione potrebbe causare tumori o altri problemi di salute. Da quell’analisi era infatti emerso che quasi la metà dei 46 inchiostri testati conteneva livelli superiori al consentito di contaminanti come idrocarburi policiclici aromatici (Ipa) e/o metalli pesanti come arsenico, antimonio, cobalto, piombo e nichel.

Il nuovo studio di caso-controllo (cioè uno studio retrospettivo che prende in considerazione due gruppi omogenei che differiscono solo per la presenza o meno di un esito) pubblicato su eClinicalMedicine e con autrice principale Christel Nielsen, professoressa associata alla Divisione di medicina del lavoro e ambientale dell’università di Lund, in Svezia, ha analizzato tutti i casi di linfoma maligno segnalati nel registro svedese nazionale dei cancri fra 2007 e 2017 (11.905 nella fascia 20-60 anni). Mentre la presenza di tatuaggi è stata rilevata tramite un questionario strutturato in entrambi i casi e in tre controlli casuali abbinati per età e sesso, senza linfoma. L’obiettivo primario era appunto valutare il rapporto del tasso di incidenza di una qualche forma di linfoma maligno negli individui tatuati rispetto a quelli non tatuati.

Delle oltre 11mila persone considerate, 2.938 persone aveva avuto tra i 20 e i 60 anni. Tra questi, hanno risposto al questionario - che teneva in considerazione anche lo stile di vita complessivo, dal fumo all'alcol all'attività fisica, 1.398 persone, mentre il numero dei partecipanti al gruppo di controllo è stato di 4.193. Nel gruppo con linfoma, il 21% era tatuato (289 individui), mentre il 18% era tatuato nel gruppo di controllo senza diagnosi di linfoma (735 individui).

La prevalenza dei tatuaggi era del 21% tra i casi e del 18% tra i controlli. Dopo l'aggiustamento per i fattori confondenti, i partecipanti tatuati hanno mostrato un rischio di linfoma complessivo più alto del 21% rispetto ai partecipanti non tatuati (rapporto del tasso di incidenza = 1,21; IC al 95%, 0,99-1,48). Nell'analisi del sottogruppo dei tipi di linfoma, i rischi più elevati di circa il 30% sono stati riscontrati per il linfoma diffuso a grandi cellule B (rapporto del tasso di incidenza = 1,30; IC al 95%, 0,99-1,71) e il linfoma follicolare (rapporto del tasso di incidenza = 1,29; IC al 95%, 0,92-1,82) negli individui tatuati rispetto a quelli non tatuati. «Il nostro studio non evidenzia il meccanismo che possa spiegare il risultato, però sappiamo dalla letteratura scientifica che l'inchiostro dei tatuaggi può contenere sostanze cancerogene - come metalli (in particolare arsenico, cromo, cobalto, piombo e nickel), ammine aromatiche primarie (PAA), idrocarburi policiclici aromatici (IPA) - che una volta iniettate non rimangono a lungo sottopelle, ma vengono trasportate, perlomeno nelle loro componenti solide, ovvero le particelle di pigmento  - come tutti gli "invasori" che il nostro sistema immunitario identifica - fino ai linfonodi, e lì restano» ha aggiunto la ricercatrice svedese.

Un aspetto interessante è che non stata trovata alcuna prova che il rischio di linfoma aumentasse con un'area maggiore della superficie corporea totale tatuata, che pure era uno dei punti di partenza del gruppo di ricerca.

«I nostri risultati suggeriscono che l'esposizione ai tatuaggi è associata a un rischio aumentato di linfoma maligno. Sono urgentemente necessarie ulteriori ricerche epidemiologiche per stabilire la causalità» spiegano gli autori. Nel frattempo, hanno anche concluso, «lo studio sottolinea l'importanza di misure normative per controllare la composizione chimica dell'inchiostro per tatuaggi». Quanto deciso da Bruxelles appena due anni fa, a quanto pare, non basta. Ciononostante va detto che tra i limiti dello studio rientravano l’impostazione caso-controllo osservazionale, uno dei tipi di metodologia di studio più deboli per stabilire i nessi di causalità, e il suo basso tasso di risposta al questionario, pari al 47%-54%. «È importante ricordare che il linfoma è una malattia rara e che i nostri risultati si applicano a livello di gruppo - ha aggiunto Nielsens - i risultati devono ora essere verificati e approfonditi in altri studi e tale ricerca è in corso».