Tlon: «Il marchio dell'empatia divide la società in buoni e cattivi, ma quali sono i limiti etici?»

Nel romanzo d'esordio della scrittrice islandese Fríða Ísberg i reati vengono prevenuti con un test che misura i disturbi della moralità, isolando le persone che non lo passano. E così ricorda le pagine più buie della Storia dell'umanità
Tlon «Il marchio dell'empatia divide la società in buoni e cattivi ma quali sono i limiti etici»

Questo articolo sul marchio dell'empatia è pubblicato sul numero 30-31 di Vanity Fair in edicola fino al 30 luglio 2024.

Esistono sempre più strumenti per raccogliere e misurare dati allo scopo di prevedere fattori di rischio. Anche quando è mosso dalle migliori intenzioni, questo tentativo di determinare chi siamo e cosa potremmo diventare genera inquietudine e profondi interrogativi etici.

È quello che ci si chiede leggendo** Il marchio** (La nave di Teseo), romanzo d’esordio della scrittrice islandese Fríða Ísberg, che descrive una società in cui l’empatia viene misurata e valutata attraverso test obbligatori. Chi non riesce a superare il test – cioè si rivela una persona con «disturbo della moralità» – non riceve il marchio e di conseguenza viene escluso dalla società. È chiaro che il marchio faccia tornare in mente molte pagine orrende della storia dell’umanità, e del resto questa pratica richiama alla mente il concetto foucaultiano di biopolitica, dove il potere non solo regola i corpi, ma anche la psiche. L’interrogativo è dunque chiaro: la devianza deve essere individuata e segnalata per il bene collettivo? Può esistere un controllo sulle persone che abbia davvero a che fare con la giustizia sociale?

Nel Marchio chi popola il romanzo si interroga di continuo sulle implicazioni etiche della marchiatura, si domanda se sia possibile usarla in senso positivo e se si tratti di uno strumento più utile o più dannoso: «Lei gli aveva chiesto di non marchiare l’azienda. Anche Alli e Fjölnir. Nemmeno loro volevano marchiare. Ma no. Le aziende verdi volevano investitori marchiati».

Per questa ragione, il romanzo di Ísberg mostra quanto sia difficile guardare un sistema mentre ci si vive dentro e quanto tendiamo a giustificare gli strumenti di controllo. In fondo, il marchio permette di sapere chi si ha davanti, chi si assumerà, chi potrà raggiungere il potere politico. Come possiamo mettere in dubbio che sia utile? Eppure, chi legge assiste in ogni pagina a un dominio che diventa sempre più asfissiante, che finisce con il determinare sempre di più i destini delle persone, e sul quale si costruiscono discorsi, storie, stereotipi, e ci ricorda che il vero «disturbo della moralità» è il dividere nettamente i buoni dai cattivi, individuare una caratteristica, un gruppo, una comunità per escluderla, nella convinzione che il suo destino sia definito e immutabile.

Nel saggio Tecnologia della rivoluzione, Diletta Huyskes racconta un progetto di prevenzione della criminalità lanciato dal Comune di Amsterdam nel 2015, che portò a individuare 400 bambini e ragazzi che, secondo l’algoritmo ProKid+, anche se non erano mai stati condannati per un reato, lo sarebbero stati presto. La previsione derivava da una serie di fattori di rischio analizzati dal sistema, che portavano a considerare una lunga serie di dati come elementi determinanti del destino di quelle persone.

La letteratura e la ricerca scientifica ci invitano, in un mondo sempre più ossessionato dalla misurazione e dalla classificazione, a non cercare scorciatoie e a ricordare l’importanza della comprensione e della compassione.

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