Intervista

Hacks, la serie di successo in streaming su Netflix è firmata da un'italiana

Si chiama Lucia Aniello, è italianissima, e ha creato la serie - dopo il Golden Globe vinto per la seconda stagione, è ora giunta alla terza - insieme al marito Paul W Downs
Hawks serie Netflix
Ethan Lovell

Hacks, la serie è un successo clamoroso che fa rima con Lucia Aniello: in streaming su Netflix le prime due stagioni (la terza è invece su MAX)

Lucia Aniello, questo nome magari non è mainstream, ma gli addetti ai lavori lo conoscono molto bene. Negli ultimi anni, Aniello ha collezionato una marea di premi e l’applauso di critica e pubblico per Hacks, la serie creata con suo marito, Paul W Downs (con cui ha scritto anche Crazy Night - Festa col Morto, del 2017) e l’amica Jen Statsky, con protagoniste Jean Smart e Hannah Einbinder, arrivata ora alla terza stagione e la quarta è in lavorazione.  Le prime 2 stagioni - disponibili in streaming su Netflix - hanno ricevuto il 100% di recensioni positive (la 3 il 97%) perché l’Aniello ha co-creato un prodotto assolutamente brillante, che si colloca nella società in cui viviamo creando dei parallelismi geniali. E nel 2022, dopo la seconda stagione, è arrivato anche il Golden Globe per la Miglior Serie Commedia.

È la storia di una comica, Deborah Vance (Jean Smart), che dopo una battuta d’arresto in una carriera stellare che va avanti da oltre 50 anni, decide di avvalersi di una sceneggiatrice, una ragazza di 25 anni, Ava (Hannah Einbinder), che fatica a trovare dei lavori per via di un tweet che l’ha “cancellata”.

Jean Smart e Hannah Eindbinder in “Hacks”

Photo by Karen Ballard

Intervista a Lucia Aniello

Con questi presupposti, Aniello è riuscita a co-creare una dinamica, un contrasto generazionale, che fa tanto ridere, ma fa anche tanto riflettere perché tramite la commedia tocca con coraggio gli argomenti più attuali e divisivi, senza però la presunzione di giudicare giusto o sbagliato. L'abbiamo incontrata a Los Angeles.

Ha sempre desiderato lavorare nell’industria dell’intrattenimento?

Non esattamente. Sono nata in Italia, ma sono cresciuta in Massachusetts. I miei genitori hanno dei ristoranti, mio padre è chef, quindi non sono stata in alcun modo esposta all’industria o al fatto che potesse essere una possibilità. Sono sempre però stata un’amante del processo creativo di video musicali, di prodotti per la tv.

Riguardo alla sua esperienza a Hollywood ha detto una cosa che mi ha molto incuriosito, che il suo lavoro da cameriera l’ha preparata per lo show business, cosa intende?

Sono cresciuta nel settore della ristorazione.  Mia madre e mio padre avevano ruoli diversi ma entrambi si occupavano della gestione dell’attività e guardarli essere responsabili di altre persone era molto interessante. Io ho fatto la cameriera a New York per diversi anni ed è un lavoro in cui succedono tantissime cose contemporaneamente. Devi avere a che fare con diversi tipi di persone e allo stesso tempo devi essere anche tu una persona diversa per ognuno di loro, che si tratti di clienti che vogliono solo ordinare o che vogliono intavolare discorsi, o i cuochi, qualsiasi cosa sia è un’esperienza intensa, come un set. La professione di cameriera mi ha aiutato a concentrarmi su ogni step quando mi trovo in situazioni di grande stress.

Lucia Aniello

Corey Nickols/Getty Images

Poi come è arrivata a Hollywood?

All’università ho scelto un major in studi cinematografici senza però essere sicura di cosa volessi fare. Ho iniziato ad interessarmi all’improvvisazione e alla commedia, quindi dopo il college mi sono iscritta a una classe di improvvisazione comica. Mi piaceva talmente, che per un po’ ho pensato di voler essere in scena, di seguire le orme di uno dei miei idoli, Amy Poehler, ma sono una persona che tende a prendere il comando quindi naturalmente ho iniziato a dirigere cortometraggi, sketch divertenti, qualsiasi cosa funzionasse per me, la scrivevo e la dirigevo.

E la recitazione?

Mi piace ancora, anche se non recito più tanto, ma penso che la creatività colleghi diverse forme d’arte, la scrittura, la regia, la recitazione, la produzione, sono tutti mezzi per raccontare una storia, per raccontare una barzelletta.

Diverse forme d’arte che lei adotta tutte in Hacks. Come le è venuta l’idea di questo show?

Nel 2015, io, mio marito Paul W Downs e la nostra amica Jen Statsky eravamo in viaggio per girare alcuni speciali comici per Netflix fatti da Paul. Parlavamo, dopo aver visto il necrologio di un’attrice comica appena morta, delle cose interessanti che aveva fatto durante la sua carriera non avendo però mai raggiunto lo stesso successo della sua controparte maschile. Ci sembrava un peccato perché è grazie a quelle donne se noi oggi possiamo fare quello che facciamo. Parlavamo della mancata comprensione di ciò che quelle donne alla loro epoca hanno passato e poi abbiamo pensato: se lo vedessimo tramite gli occhi di una comica più giovane e di una veterana del settore che ha fatto esperienza proprio di quelle cose, che tipo di relazione potrebbero instaurare queste due donne? La più giovane penserebbe che l’altra è solo fuffa o capirebbe che magari è stata costretta in alcuni casi ad adattarsi per sopravvivere? Quindi l’idea di arte, creatività, commercio, sopravvivenza e psicologia sono stati l’ispirazione per la creazione del personaggio di Deborah Vance, una donna che ha sopportato un atteggiamento sessista da parte dei suoi colleghi e ha interiorizzato parecchia misoginia.

Jean Smart

Courtesy of HBO Max

Queste due donne sono un po’ nemesi l’una dell’altra: Ava, venticinquenne cancellata per un Tweet e Deborah che assurge alla commedia in un periodo in cui questa non aveva regole e si trova, 20 anni dopo, a doversi scusare per battute fatte all’epoca. La Cancel Culture è molto presente nello show, ma è trattata attraverso la commedia. Questo genere in che modo aiuta a toccare gli argomenti più scottanti?

La commedia è un mezzo potentissimo per avviare una conversazione. Quando ridiamo a un battuta, lo facciamo perché pensiamo sia vera o ci sentiamo in sintonia con quanto detto e questo crea una prima relazione col pubblico mettendoci sullo stesso piano, trasmettendo una visione del mondo simile e a quel punto penso diventi più facile per le persone voler continuare ad ascoltare. La commedia fa abbassare la guardia. In questo show abbiamo cercato di non essere detentori della verità assoluta. Non è nostra intenzione dire cosa è giusto o sbagliato, ma desideriamo mostrare diverse prospettive, quella di Ava e quella di Deborah perché, si spera, guardare diverse prospettive magari può aiutare a cambiarne altre. Quando affrontiamo certi topic non lo facciamo mai in modo eccessivamente accondiscendente o inquisitorio, non vogliamo che gli spettatori si sentano giudicati e penso che il motivo per il quale riusciamo a parlare di certe cose è che creiamo una sorta di zona grigia, lasciando domande aperte da riempire con le risposte di chi guarda.

Uno dei grandi fili conduttori di Hacks è un conflitto generazionale che, in certe occasioni, ritroviamo anche nella società odierna. Credo che però Ave e Deborah si scontrino nelle parole ma si ritrovino spesso nelle intenzioni. Pensa che questo possa tradursi anche nella società in cui viviamo oggi, ascoltiamo le parole alcune volte perdendo di vista le intenzioni?

Penso che sia assolutamente così. Secondo me la società sta diventando provocatoria, netta sull’idea di giusto o sbagliato, competitiva, soprattutto in America. La cultura della competizione credo porti alcune volte le persone a percepire una discussione, un commento online, come una sconfitta o una vittoria, piuttosto che come una semplice opinione da ascoltare e rispettare. Sarebbe secondo me un modo migliore di vivere che mi auspico venga adottato. Spero che ascoltare le intenzioni dietro le parole possa diventare un punto d’incontro.

Jake Giles Netter

Nel caso di Hacks qual è stato l’argomento che ha sollevato maggiori sfide durante la scrittura?

C’è un episodio, nella terza stagione, in cui Deborah deve fare i conti con del suo materiale che non è invecchiato bene, diciamo così. E’ stato un episodio molto delicato da scrivere perché non riguarda principalmente la ‘cancellazione’ o quanto le perone ne siano risentite, ma come Deborah si sente realmente rispetto a quel materiale. Tanti comici portano avanti l’idea che non bisogna scusarsi per una battuta, c’è chi ne ride e chi no e va bene così, non si può far ridere tutti. Questa è l’impostazione della comicità di Deborah da decenni ormai. Quando è in corso questa ‘cancellazione’, Ava insistentemente la invoglia a scusarsi, a riflettere. Lo scopo di quell’episodio è portare il personaggio di una convinta impenitente a riguardare la sua materia prima con un punto di vista e in un contesto che si è evoluto. La difficoltà maggiore è stata nel trovare l’equilibrio, nel non prendere necessariamente parti nette.

Se non le avesse create e le incontrasse, cosa direbbe ad Ava e a Deborah?

A questo punto del loro viaggio, dopo la terza stagione, ad Ava direi che capisco quello che ha fatto e il perché, ma le direi di non lasciare che questo infetti la sua anima. A Deborah direi di dare una tregua a questa ragazza che dopotutto sta cercando di dare una mano.

David Livingston/Getty Images
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