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Miu Miu Women's Tales: intervista a Laura Citarella, regista di un giallo dove gli abiti sono al centro di un inquietante mistero

La regista argentina parla di El Affaire Miu Miu, il cortometraggio che ha girato per Miu Miu Women's Tales. E poi della sua passione per il mistero e di belle storie che richiedono tempo per essere raccontate. Anche quattro ore e mezza
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Photo: Sebastian Arpesella/ Courtesy of Miu Miu

Miu Miu Women's Tales: intervista a Laura Citarella, la regista di El Affaire Miu Miu. «Le donne tendono a gestire l'ambiguità e i misteri della vita meglio degli uomini»

Emma Corrin, Olivia Rodrigo, Joe Alwyn… Sono solo alcune delle star del cinema che hanno partecipato alla proiezione di El Affaire Miu Miu (oltre che alla successiva cena), ma il progetto Women's Tales della maison non si limita alle foto delle celebrità. Questa serie antologica di corti a uscite semestrali (un film a collezione) ha preso il via nel 2011 su iniziativa di Miuccia Prada con l'obiettivo di presentare cortometraggi firmati da registi donna dallo sguardo unico e diverso. Il nuovo capitolo di Miu Miu Women's Tales è stato diretto da Laura Citarella, regista e produttrice argentina. Il suo cortometraggio è stato presentato in anteprima il 31 agosto al Festival del Cinema di Venezia 2024, durante le Giornate degli Autori, accompagnato da un intenso programma di dibattiti che, dipanatisi nell'arco di due giorni, hanno avuto per moderatrice la direttrice del magazine The Gentlewoman, Penny Martin. Le discussioni hanno spaziato dagli alti e bassi della produzione cinematografica indipendente alle complessità del mestiere di attore e hanno visto gli interventi, tra le altre, delle attrici Molly Gordon, Jasmin Savoy Brown, Marisa Abela, Cailee Spaeny e Raffey Cassidy.

El Affaire Miu Miu, ovvero il caso della modella scomparsa nella pampa argentina

El Affaire Miu Miu rivela il talento di Citarella nel creare atmosfere tanto inquietanti quanto ipnotiche. La storia ruota attorno a una troupe di moda italiana in viaggio in Argentina per un servizio fotografico con abiti Miu Miu, i quali vengono indossati da una modella che appare magnificamente aliena sullo sfondo della pampa. Dopo qualche giorno, la modella scompare misteriosamente. La locale squadra investigativa, composta da sole donne, inizia le indagini e, mentre ripercorre i passi della modella, rimane sempre più affascinata dagli abiti da lei indossati, tanto da trattarli come se fossero artefatti esotici provenienti da un mondo lontano e sconosciuto.

Trenque Lauquen, miglior film del 2023 secondo Cahiers du Cinéma

Nata nel 1981 e originaria di Buenos Aires, Citarella è una voce emergente del Movimento del Nuovo Cinema Argentino ed è anche produttrice presso la casa di produzione indie El Pampero Cine. Nel 2022, il suo film d'esordio, Trenque Lauquen, è stato nominato come miglior film nella sezione Orizzonti della Mostra del Cinema di Venezia. Il fatto che sia lungo quattro ore e mezza non ha impedito alla prestigiosa rivista cinematografica francese Cahiers du Cinéma, notoriamente molto esigente, di proclamarlo miglior film del 2023.

In vista della proiezione a Venezia, abbiamo incontrato Citarella per saperne di più sulla sua profonda passione per il mistero, la sua decisione di girare un film di quattro ore e mezza e la sua convinzione che la pazienza sia una virtù essenziale per un artista.

Un frame dal corto El Affaire Miu Miu, diretto da Laura Citarella.

Photo: Sebastian Arpesella/ Courtesy of Miu Miu

Un altro fotogramma dal film.

Photo: Sebastian Arpesella/ Courtesy of Miu Miu

I film della serie Women's Tales di Miu Miu nascono dalla volontà provocatoria della signora Prada di esplorare i temi della vanità e della femminilità utilizzando gli abiti della più recente collezione Miu Miu. Tuttavia, il suo stile visivo e la sua cinematografia sembrano divergere in modo significativo dal linguaggio della moda. Come ha risposto all'invito della signora Prada a partecipare alla serie?

All'inizio, ero molto sorpresa. Avevo appena finito di girare Trenque Lauquen, un film di quattro ore e mezza che aveva richiesto quasi sei anni di lavorazione e non prevedeva cambi di costume: tutti indossavano la stessa “uniforme” per l'intera durata della pellicola. È stata quindi la prima volta che i costumi sono diventati un punto focale della mia narrazione, ed è stata una rivelazione rendersi conto che gli abiti potevano fungere da personaggi. Tuttavia, non volevo girare un film in cui la moda fosse solo estetica. In El Affaire Miu Miu, gli abiti fungono da prove forensi, sono come indizi che guidano la narrazione verso la sua conclusione e, allo stesso tempo, servono come elementi fantastici di un universo diverso. Il film è un giallo, ma è molto di più. Mentre le poliziotte cercano la modella scomparsa, scoprono i suoi vestiti abbandonati, sparsi per le distese della pampa o appesi agli alberi. Rimangono affascinate, quasi ossessionate dagli abiti e dai loro complessi dettagli, come se si trattasse di creature aliene provenienti da un altro mondo. A poco a poco, iniziano a indossarli, finendo per "miumiuizzarsi". In un certo senso, è successo anche a me. Nella mia vita di ogni giorno, la moda non riveste un ruolo significativo. In Argentina, non ci sono marchi di moda e io non ho legami con alcun brand, quindi l'incontro con Miu Miu è stato molto divertente e spontaneo. È stato incredibile: quando i vestiti sono arrivati sul set dall'Italia, tutti hanno pensato: “Wow!”. La finzione ha in qualche modo rispecchiato il nostro genuino senso di meraviglia nei confronti dei vestiti, come se fossero giunti da un altro pianeta. Mi sembravano quasi alieni. Quando, prima di iniziare a girare il film, avevo visto le immagini della collezione Miu Miu, le avevo trovate piuttosto misteriose: i dettagli, i colori, le forme…

È chiaro che il suo legame con il mondo della moda è piuttosto atipico e che lei guarda a quest'ultimo da una prospettiva diversa da quella abituale. Potrebbe parlarci di come questo peculiare rapporto con la moda influenza il suo lavoro e il suo processo creativo, se effettivamente lo fa?

Mi piacerebbe avere più tempo e denaro da investire in questo rapporto e approfondire la mia conoscenza della moda, ma, a volte, bisogna darsi delle priorità. Anche se non sono legata al mondo della moda, come ogni donna dedico del tempo a pensare a come apparire e a cosa indossare. La moda è così radicata nelle nostre vite che a volte ci dimentichiamo della sua presenza. Ma, sapete, sono una regista, una produttrice, una madre, una moglie e un'insegnante: tanti ruoli. Prendo innumerevoli decisioni ogni giorno, e trovo la cosa stancante. Ma, ovviamente, la scelta di cosa indossare è una decisione che si deve affrontare ogni giorno. Questo film ha suscitato in me una nuova curiosità nei confronti della moda.

Ha detto che gli abiti di Miu Miu possiedono una qualità misteriosa: cosa c'è di enigmatico o ultraterreno nei modelli o nel modo in cui sono presentati? Può dirci come questo senso di mistero ha influenzato il suo approccio all'introduzione degli abiti nella narrazione del film?

L'Argentina è molto lontana dal mondo della moda. Nel nostro Paese, non abbiamo Miu Miu. C'è una vera e propria distanza geografica, che aumenta il senso di mistero. A differenza di qui, non c'è lo stesso rapporto con la moda, che da noi è qualcosa di sconosciuto. Ma tutto ciò che non si comprende appieno diventa magnetico, perché il mistero inizia quando non si può spiegare o capire facilmente ciò che sta accadendo. Abbiamo provato questa sensazione con la collezione Miu Miu, perché toccare capi e tessuti di questo tipo non è qualcosa a cui siamo abituati, in Argentina. È un Paese povero, molto lontano dall'Europa, e i costi di importazione delle merci sono astronomici, con una dogana quasi impossibile da attraversare. Per noi non è facile accedere a capi di questo livello.

I suoi film esplorano spesso i temi dell'ignoto, attirando gli spettatori in mondi densi di intrighi e domande senza risposta. Cosa c'è nel mistero che la affascina come regista? Perché sente un impulso così forte a introdurre questi elementi enigmatici nei suoi film e come pensa che influenzino l'esperienza del pubblico?

Le donne tendono a gestire l'ambiguità e i misteri della vita meglio degli uomini. Non di rado, siamo più a nostro agio con l'idea che non tutto abbia un significato chiaro o definitivo e troviamo persino un certo piacere in questa incertezza. Al contrario, gli uomini cercano spesso la logica e le risposte univoche, ma, a volte, non esiste un'unica risposta. Questa prospettiva si riflette anche nel modo in cui vedo gli abiti di Miu Miu: ogni pezzo ha una sua qualità unica, con i suoi dettagli, il suo carattere, e una sua peculiarità che tuttavia non domina o mette in ombra l'insieme. La stilista di Miu Miu è una donna e condivide l'idea che il mondo non abbia sempre bisogno di una spiegazione univoca per tutto. Come donne, comprendiamo la necessità di una maggiore democrazia e apertura mentale, rispettiamo quelli che, per noi, sono i tempi necessari per comprendere appieno le cose, e abbiamo la pazienza per farlo. La pazienza è qualcosa di intrinseco in noi: è evidente nelle donne dei miei film, e credo che lo sia anche nella vita. Non sentiamo il bisogno di metterci al centro di ogni situazione, non siamo affatto ansiose di farlo. Per me era importante realizzare un film che non avesse un unico personaggio principale. Le tre poliziotte sono le protagoniste: il loro è un lavoro collettivo. La detective, Verónica, è una nota attrice argentina – e un'amica – che spesso interpreta il ruolo principale nei film. Ma in questo progetto fa parte di un gruppo. Volevo che tutte e tre le donne avessero lo stesso grado di importanza e suscitassero la medesima attenzione, per trasmettere un senso di democrazia e di libero scambio di idee. In questo film, le idee appartengono al gruppo, qualcosa che può essere difficile da capire per gli uomini. Ho fatto leggere la sceneggiatura a un amico e la sua reazione è stata: «Laura, dov'è il personaggio principale? Devi avere un personaggio principale!».

Questa idea di pazienza è legata alla scelta di girare un film di quattro ore e mezza? In che modo pensa che una maggiore durata permetta di esplorare i temi più a fondo?

Trenque Lauquen è in realtà un film divertente. Ci sono voluti sei anni per realizzarlo e, durante questo periodo, la lavorazione della pellicola si è intrecciata con le vite degli attori, oltre che con la mia e quella dei miei familiari e amici. Il lungo processo di produzione ha permesso al film di evolversi in modo naturale, incorporando esperienze e cambiamenti avvenuti nella vita reale. Questa profonda connessione con il passare del tempo e la fusione di finzione e realtà hanno fatto sì che il film sembrasse un'entità viva e pulsante, che riflette i ritmi e l'imprevedibilità della vita stessa. C'è un'interazione tra tempo e ritmo che crea un'esperienza unica. Quando si legge un romanzo, si accumulano immagini, ci si immerge gradualmente nel personaggio e nel suo universo e si inizia a voler vivere in quel mondo. La letteratura invita ad abitare il libro. Quando leggevo delle storie a mia figlia piccola, lei diceva: «Mamma, voglio vivere in quel libro!». Credo che il cinema sia cambiato, negli ultimi anni. Non invita più a vivere nel film, perché le immagini scorrono così velocemente che non si riesce a creare un rapporto personale con la storia. I film non devono necessariamente durare quattro ore, ma credo che il cinema abbia il potere di coinvolgerti in qualcosa di magnetico e ipnotico attraverso l'uso del tempo, un approccio molto femminile. Per le donne, il tempo è spesso un concetto più fluido e più ampio, e c'è un valore nell'uso non produttivo del tempo, che può essere edificante. Come donne, stiamo finalmente accettando il fatto che abbiamo il nostro ritmo, il nostro respiro. Raccontiamo le storie in modo diverso, e le belle storie hanno bisogno di tempo per essere raccontate e di pazienza per essere apprezzate davvero.

La regista argentina Laura Citarella.

Photo: Sebastian Arpesella/ Courtesy of Miu Miu

Le attrici Cailee Spaeny, Valentina Romani e Marisa Abela.

Photo: Courtesy of Miu Miu