Siamo Già Domani - The Extreme Self: Age of You

Internet ha cambiato non solo le nostre società, ma anche le nostre identità. Lo sostengono Shumon Basar, Douglas Coupland and Hans Ulrich Obrist in un libro. Che è breviario e terapia dell’ansia esistenziale contemporanea.
Siamo Già Domani  The Extreme Self Age of You

Shumon Basar la chiama “vertigine del cambiamento”. È la sensazione di andare a dormire e svegliarsi ogni giorno in un mondo nuovo, di cui nulla sappiamo. Un mondo in cui la realtà è sempre più rarefatta, e la fantascienza sembra ormai un sottogenere realista; dove il paradosso è la norma, e le contraddizioni si ramificano in una specie di labirinto pluridimensionale. Questo universo, che somiglia più a un racconto di Borges - o a un film di Nolan - che a un qualsiasi derivato della logica classica, è il mondo descritto da Basar, assieme a Douglas Coupland, e a Hans Ulrich Obrist nel libro The Extreme Self: Age of You.

Ispirata a Il Secolo Breve di Eric Hobsbawm (e, per i lettori attenti, anche a Massa e Potere di Elias Canetti), la nuova opera dello strano terzetto trasla il conflitto tra massa e individuo dal XX al XXI secolo: se prima erano due ideologie a confrontarsi, ora il conflitto è dentro di noi. La tesi di fondo è che il concetto di individualità si sta trasformando in qualcosa di radicalmente diverso. Non per tutti allo stesso modo, naturalmente. Sono soprattutto i nativi digitali a vivere in un mondo in cui il sé si duplica e si trasforma, nel cloud, tendenzialmente all’infinito; e a muoversi in un’economia dove la risorsa principale non è più un prodotto tangibile, bensì l’utente - materiale, ma in un senso molto diverso - di un device: la sua attenzione, i suoi dati, i suoi desideri - purché classificabili da un algoritmo. «Chiunque, dai 40 anni in su, sa cosa voglia dire essere un individuo nel senso classico del termine. E sa che oggi è quasi uno svantaggio» recita una delle pagine.

The Extreme Self: Age of You

«Non sono mai stato in grado di leggere articoli o recensioni che parlassero di me», racconta Coupland, richiesto di definire il proprio “Sé Estremo”. «Quando accade - in genere perché un amico o un familiare mi intimano di farlo - il mio cervello entra subito in uno stato di iper-attenzione: mi sembra di essere nel futuro, già morto, a leggere di un me stesso passato. Ecco, ogni tanto mi chiedo se chi vive curando ossessivamente la propria esistenza online si senta così».

The Age of Earthquakes, il precedente libro dei tre autori, si rifaceva come impianto grafico e teorico a “Il medium è il massaggio” di Marshall McLuhan e Quentin Fiore, e raccontava il quinquennio 2010-15 definendolo un “presente estremo” in cui la tecnologia post internet aveva completamente alterato il senso del tempo e dello spazio.

Il nuovo libro parte invece dal 2016 (l’anno di Brexit, della vittoria di Trump e della morte di David Bowie, che con i suoi avatar si può considerare un precursore dell’Extreme Self contemporaneo) e arriva fino alla pandemia, secondo Basar «la prima peste globale nell'era dei social media, dove abbiamo potuto vedere il sé estremo in tutta la sua gloria e in tutta la sua tragedia».

Hobsbawm poteva permettersi di dedicare un libro a un intero secolo, seppur breve, sembrano dire gli autori; ma ormai la velocità dei cambiamenti è tale che un ciclo - un’epoca - può durare anche cinque, dieci anni.

The Extreme Self: Age of You

Scritto in un linguaggio accessibile a un pubblico molto vasto, il libro vuole discutere in modo chiaro concetti estremamente complessi, ma prima ancora tenta di dare un nome a sentimenti, paure, incertezze condivise che un nome non l’hanno ancora trovato, fornendo così, insieme a una specie di enciclopedia dell'ansia esistenziale contemporanea, almeno l’inizio di una terapia: «Dare un nome al mostro è sempre il primo passo», come spiega Coupland. «McLuhan diceva che uno dei modi più efficaci per fraintendere il futuro è descriverlo col linguaggio del passato. Per descrivere i cambiamenti che stiamo attraversando, e ove possibile per dirigerli, o contrastarli, o controllarli, dobbiamo trovare le parole giuste. È l’unico modo per agire e non subire», aggiunge Basar.

The Extreme Self riflette molto bene l’assunto mcluhaniano sull’identità di forma e contenuto, e nulla irrita più gli autori che chiedere loro chi ha scritto cosa. Il libro mima infatti la mente alveare della rete e lo stile aforistico da social, e li riflette anche nell’estetica, che rimanda alle interfacce grafiche contemporanee. L'impressione, sfogliandolo, è un po’ quella di leggere un libro di memi scritti da Cioran. Chissà se il nervosissimo filosofo rumeno avrebbe gradito, ma in effetti, dovendo descrivere in una frase di cosa parla questo libro, citarlo è quasi automatico: «I nostri sogni sull'avvenire sono ormai inseparabili dai nostri terrori». Anche se forse sarebbe più coerente usare semplicemente un emoji, come quello a matrioska creato ad hoc per il libro, e finito in copertina.

The Extreme Self: Age of You

L’altro giorno», racconta Basar «parlavo del libro con un’amica ventenne, che mi dice: “Che fortuna, voi tre [autori ndr] siete così vecchi da aver vissuto il XX secolo. Dev’essere stata una figata”. La mia amica è molto pessimista, sul futuro. Pensa che non ce ne sarà uno, che con la crisi climatica e tutto il resto siamo alla resa dei conti. Però devo dire che la reazione dei suoi coetanei al libro, e soprattutto alla mostra tratta da Age of You è stata entusiasta. Per gli over 60 lo scenario che disegnano è affascinante, ma lontanissimo, e tutto sommato incomprensibile. La reazione peggiore - turbata, angosciata, o peggio - però ce l’hanno quelli della Generazione X che, come me, hanno vissuto nel mondo prima di internet. Poi ci sono i teenager. L'altro giorno, per esempio, un ragazzo mi ha detto che è la prima volta che vede una mostra riflettere quanto sente accadere nella sua testa. Sull'ansia prevale il senso di riconoscimento, il sollievo di essere visti».

Insomma, The Extreme Self non è un pamphlet scritto da boomer per spiegare il mondo ad altri boomer. E anche se è sicuramente una sirena d'allarme, non si può dire sia un libro luddista. «La radio ci ha dato sia Hitler che i Beatles. Le nuove tecnologie non ci arrivano magicamente dagli UFO, sono state create da esseri umani, e sono espressione della nostra umanità anche quando a operarle è un algoritmo glaciale», conclude Coupland. «Se le associamo a qualcosa di catastrofico o apocalittico, stiamo semplicemente guardandoci allo specchio. Siamo sempre noi. La cosa interessante è che oggi, forse per la prima volta nella storia, abbiamo una sensibilità comune globale, plasmata dagli stessi media. Dieci anni fa quando parlavo dell'idea di un “cervello da internet”, la gente mi mandava a fare in culo. Ora mi chiedono: e adesso?».

Da Vogue Italia Settembre 2021, p. 100-101

The Extreme Self: Age of You