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La felicità è una questione di allenamento. Intervista allo psicologo Rick Hanson

Altro che destino. La neuroscienza insegna che il nostro cervello, pur più sensibile alle esperienze negative, è riprogrammabile per cercare quelle positive
“Unidentified WomanHypercolor” opera di Matthieu Bourel. Francese artista visuale lavora con la tecnica del collage ed...
“Unidentified Woman/Hypercolor”, opera di Matthieu Bourel. Francese, artista visuale, lavora con la tecnica del collage ed è anche musicista, dj e sound designer con il nome di Electric Kettle.

E se la felicità fosse un’abitudine come un’altra, una routine, il semplice risultato di un allenamento, proprio come la palestra o lo yoga? Lo sostiene Rick Hanson, psicologo, Senior Fellow del Greater Good Science Center all’Università di Berkley e autore, tra gli altri, di Neurodharma, Hardwiring Happiness e La forza della resilienza (Giunti editore). Ma non solo: lo dimostra la neuroscienza, che Hanson combina con le pratiche di meditazione e consapevolezza della tradizione orientale per aiutarci a trovare e consolidare quello stato di benessere che spesso attribuiamo al caso, o agli eventi esterni.

Rick Hanson studia la felicità da oltre trent’anni, e la prima domanda è d’obbligo, soprattutto in momenti critici come quelli che oggi il mondo sta attraversando: dottor Hanson, ma lei è davvero felice? «Sì, e a volte mi stupisco anche io, sembra strano stare così bene. Ma voglio dire subito che la mia felicità comprende anche molta tristezza. E credo sia importante dirlo, perché in un vero stato di benessere, di completezza, in quella che io definisco la green zone, ci può essere preoccupazione e profonda tristezza per gli eventi della vita. Quando si assiste a una morte ingiusta e terribile come quella di George Floyd non si può che reagire con dolore e scoramento, altrimenti si rischia di cadere in quella sorta di pseudo pensiero positivo che invece è una vera disgrazia per la ricerca dell’autentica felicità. È uno stato di benessere di fondo, irreale, davanti al quale si svolgono gli eventi della vita».

Secondo gli studi più recenti delle neuroscienze il nostro cervello è programmato per la paura, l’ansia, l’esagerazione delle esperienze negative: insomma a quanto pare siamo stati hardwired non per essere sereni e appagati, ma per vivere in un costante stato di allerta. La buona notizia è che il cervello è dotato di una grande neuroplasticità, ed è riprogrammabile in una direzione diversa, cosa che in tempi difficili come questi potrebbe tornare utile. «Sì, il nostro cervello a quanto pare è come velcro per le esperienze negative, e teflon per quelle positive. È il risultato dell’evoluzione, perché il cervello non è una massa immobile, ma il risultato di migliaia di anni di sfide e pericoli affrontati. E di conseguenza ha sviluppato quello che chiamiamo un negative bias, una preferenza verso la conservazione delle esperienze negative. Per cominciare, è sempre attento a identificare possibili pericoli: anche perché gli Homo sapiens più nervosi e all’erta avevano più possibilità di sopravvivere, quindi sono i loro geni a essersi tramandati fino al Dna odierno».

(Continua)

In apertura: “Unidentified Woman/Hypercolor”, opera di Matthieu Bourel. Francese, artista visuale, lavora con la tecnica del collage ed è anche musicista, dj e sound designer con il nome di Electric Kettle.

Leggete l'intervista integrale a Rick Hanson sul numero di luglio/agosto di Vogue Italia, in edicola dal 23 luglio