Le teste di moro transgender di Cori Amenta

Alla galleria Spazionoto vanno in mostra le sculture dell'artista di Noto che rilegge la tradizione in chiave lgbtq+.
LGBTQ Le teste di moro transgender di Cori Amenta

Lgbtq+: in Sicilia le sculture della tradizione diventano queer

La testa di moro in ceramica di Caltagirone è senza dubbio uno dei simboli della Sicilia entrato nella cultura pop e nel linguaggio dell’arredo contemporaneo: viene utilizzato come vaso, come souvenir di viaggio, come elemento decorativo e colorato che riproduce elementi formali sostanzialmente immutati nei secoli.

Cori Amenta tra le sue opere. Foto di Ilenia Modica

Nell’immagine smaltata dei baffi, della barba e del turbante, il maschio è maschio e la femmina è femmina. Poi arriva Cori Amenta, e un divertente turbine cambia le carte in tavola. La stylist e artista siciliana transgender, che da tempo vive a Milano, ha realizzato infatti una serie di sorprendenti “teste di moro queer” – come la galleria in cui le espone fino al 30 settembre, Spazionoto, uno spazio dedicato agli artisti lgbtq+ aperto nella città siciliana da Paolo Perelli. 

Foto di Ilenia Modica

L’arte, così come l’essere queer” spiega il gallerista, “serve a scardinare il carattere precario e artificiale delle nostre consapevolezze, mettendoci a disposizione infinite sfumature dell’essere, ritornando a ognuno di noi non con delle certezze, ma con delle possibilità, dei dubbi, delle variabili”. 

Foto di Ilenia Modica

Detto fatto: le undici sculture sono realizzate con le tecniche tradizionali siciliane da Ligama, i ceramisti che hanno collaborato a questo progetto iconoclasta fin dall’inizio; sono decorate a olio come si fa con le statue religiose; ma invece di raccontare la leggenda del moro decapitato da una vergine, riproducono il volto di Cori Amenta in tante fogge quanti sono i racconti interiori a cui l’artista dà vita

Foto di Ilenia Modica

C’è la versione Frida Kahlo, che indossa gli ex-voto e i cornetti portafortuna tipici dell’immaginario siculo; c’è la Maleficent bianca e turchina, inquietante e potente come una fata/strega dal copricapo elaborato e dall’abito che pare di azulejos; ci sono i riferimenti all’arte di Keith Haring e alla street culture gay degli anni Ottanta; alle decorazioni delle maioliche, alle passamanerie e ai corredi della tradizione; c’è l’interpretazione elegantissima della principessa africana, e la Medusa in versione black dai capelli-tentacoli che rimandano al gergo con cui si definiscono i gay in Sicilia (purpu, ovvero polpo); ci sono elementi ricorrenti, come i limoni o la mosca dorata che si posa sul viso (e addirittura lo sfregia) a ricordare un brutto vizio della sua terra: l’omertà, veicolata dal detto”zitto e mosca”. 

Foto di Ilenia Modica

Due sono, forse, le opere più simboliche: nella prima una maschera di moro cade svelando il viso di una regina che piange; la seconda invece riproduce un volto diviso a metà, mezzo moro e mezza vergine, la corona che sormonta un turbante, le labbra rosa, carnose, gli orecchini e la barba: una doppia identità che sfida l’etero-normatività delle definizioni di genere, masculu e fimmina. E proietta idealmente la tradizione nel nuovo millennio, quello in cui i confini tra i generi si sfumano lasciando spazio a narrazioni alternative. Per raccontare un universo che appartiene a tutti.

Cori Amenta tra le sue opere. Foto di Ilenia Modica

Cori Amenta, fino al 30 settembre a Spazionoto Art Gallery
Via Rocco Pirri 32
Noto (SR)
La mostra è realizzata con il contributo di P.A.R.O.S.H.