Napoli

GUERRA IN LIBIA

Tripoli, rientrano italiani liberati dal carcere
torna a casa anche un 27enne dell'Avellinese

Antonio Cataldo, di Chiusano di San Domenico, era in prigione da un mese insieme a Luca Boero, 42 anni, di Genova, e Vittorio Carella, 42 anni, di Peschiera Borromeo. Ancora sconosciuti i motivi per cui si trovavano in territorio di guerra. Un'amica: "Lui di questi viaggi all'estero ne faceva spesso". Il sindaco: "Sapevo che era disoccupato"

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Dovrebbero rientrare oggi in Italia, insieme ad un gruppo di giornalisti, i tre nostri connazionali che si trovavano da un mese nel carcere di Abu Salim a Tripoli, e che sono stati liberati dai ribelli. Tra loro c'è anche Antonio Cataldo, 27enne di Avellino. La vicenda che riguarda lui e gli altri due compagni di sventura (Luca Boero, 42 anni, di Genova, e Vittorio Carella, 42 anni, di Peschiera Borromeo), è ancora avvolta nel mistero.

Ieri, dopo essere stati liberati dai ribelli il 21 agosto, sono stati accompagnati all'hotel Corinthia di Tripoli, dove alloggiano numerosi giornalisti e reporter internazionali. I tre hanno raccontato di aver subito violenze in carcere, ma non hanno spiegato il perché si trovassero sul territorio libico. Il ministero degli Esteri e quello dell'Interno hanno smentito che si tratti di agenti di sicurezza privata, anche se Boero è un body guard che ha lavorato in numerosi locali notturni di Genova come addetto alla sicurezza. Esperto di arti marziali, nel suo settore è noto a Genova. Secondo quanto si è appreso, era partito per lavorare in qualità di addetto alla sicurezza per conto di alcune famiglie benestanti libiche. I tre stavano attraversando il confine dalla Tunisia quando è stato fermato da truppe fedeli al colonnello Gheddafi.

"Dal 23 di luglio siamo scomparsi nel nulla e ci ha ritrovati cinque giorni fa un gruppo di ribelli: hanno assaltato un carcere, hanno liberato i prigionieri all'interno e hanno liberato tutti quanti, probabilmente per avere più ribelli possibili per combattere su Tripoli". E' il racconto fatto al Tg1, a Tripoli, da uno dei tre italiani. L'uomo è stato ripreso di spalle e non è stato reso noto il suo nome. Durante gli interrogatori in carcere - ha aggiunto - gli uomini di Gheddafi "volevano sapere se eravamo spie, chi ci aveva mandato, chi ci pagava, cosa facevamo lì. Mi hanno preso a calci, mi hanno preso a pugni in faccia. Non so più che altro dire.

"Brutto, brutto - ha detto un altro dei tre - ci hanno messo in una stanza, poi ci hanno chiamato uno alla volta in un'altra camera. Ridendo, ci dicevano 'no problem, no problem'. Mi hanno levato tutta la roba che avevo addosso, mi hanno tolto le scarpe, mi hanno legato, mi hanno bendato, la benda stretta. Noi pensavamo che ci sparavano, che ci ammazzavano".

A Chiusano di San Domenico, comune dell'Avellinese di poco più di 2mila residenti, pochissimi, dicono di sapere qualcosa di Antonio Cataldo. In paese, raccontano telefonicamente dal bar principale, "oggi non se ne parla, qui ognuno si fa i fatti suoi". E spiazzano anche le pochissime parole della mamma di Antonio, la signora Graziella: "Mi coglie di sorpresa", premette. Poi non aggiunge nulla: "Certo eravamo preoccupati ma, ripeto, mi coglie di sorpresa ed ora vado di fretta. Devo chiudere".

Da Chiusano di San Domenico, racconta Pamela che con Antonio qualche volta ci ha scambiato qualche chiacchiera, Cataldo ci mancava da "diversi mesi", alcuni dicono da Natale. "Che fa di lavoro? Lavoretti vari, l'idraulico, il meccanico - dice - Cosa ci faceva in Libia non lo so e penso che nessuno lo sappia. Quello che so è che lui di questi viaggi all'estero ne faceva spesso".

Anche Antonio Reppucci, sindaco del piccolo comune, esprime "gioia" per il fatto che Antonio stia bene, ma anche "tanta sorpresa perché - sottolinea - personalmente non sapevo che fosse in Libia". Il primo cittadino dice "di aver tirato un grosso sospiro di sollievo quando ho saputo che nella vicenda libica era coinvolto un mio concittadino e, soprattutto, quando ho saputo che nonostante la disavventura per fortuna sta bene".

Il papà del 27enne Cataldo, Carlo, è un dipendente comunale, addetto all'ufficio anagrafe. Chi conosce i Cataldo li descrive come una famiglia "molto riservata". Quanto ad Antonio, un ragazzo "normale". Il suo lavoro? "A quanto mi risulta era disoccupato", dice il primo cittadino. "Il papà, chiaramente, lo incontro spesso in ufficio - racconta Reppucci, da due anni sindaco - ma devo dire che mai mi ha fatto riferimento al fatto che il figlio fosse in Libia".

Antonio ha due fratelli, più piccoli di lui. Frequenta il paese di poco più di 2mila residenti, la sua vita tranquilla.
"Il papà è davvero un'ottima persona - conclude il sindaco - e noi siamo felici che tutto si sia risolto per il meglio".