Anima Tica
È UN QUARTO DI SECOLO che vivo in Costa Rica, poco meno dei trentadue anni trascorsi in Italia, il paese dove sono nato. Un lungo periodo di tempo, quello della generazione che ho visto crescere, conectada y digital, e che ha sostituito artigiani, pulperos e polacos (i garzoni delle drogherie e i venditori porta a porta). Sono giovani come in qualsiasi altra parte del pianeta e si stenta a riconoscere in loro l’anima tica, un misto di spontaneità, leggerezza e burla. A cominciare da quel soprannome che nasceva dal minimizzare tutto, perfino le parole, rendendole diminutivi e vezzeggiativi. Niente nostalgia, però. Dopotutto sono un giornalista – dunque poca retorica, giusto un poquito – e soprattutto zero spazio al pontificare: il mio passato da rocker non me lo consentirebbe (qualcuno magari si ricorda ancora i pogo e l’adrenalina ai concerti dei Sick Rose, laggiù negli anni Ottanta).
La Costa Rica – o il Costarica, come in Italia da Limón al confine con Panama. Venticinque anni fa ero sbarcato all’aeroporto Juan Santamaría che sembrava una stazione delle corriere: torme di ambulanti decisi a venderti impossibili souvenir, dai rosari di chicchi di caffè alle miniature in canna di bambù di carretti sgargianti. Oggi l’impatto è quello di uno scalo moderno che balena una visione affettata sulla cordigliera Central.
