Vent'anni senza Muro: Dagli Imperi della Guerra Fredda agli Imperi del XXI secolo
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È davvero finita la Guerra Fredda? A vent'anni dalla caduta del Muro di Berlino è opportuno ripensare la lunga parentesi storica della contrapposizione tra Stati Uniti e Unione Sovietica, la cui competizione ha ricordato quella storica tra Imperi, resa però più drammatica dalla minaccia di un Olocausto nucleare. L'euforia del 1989 ha condotto troppi decisori politici a inseguire la chimera della "fine della storia e della geografia" e a sperare in un'inerzia positiva che annullasse le distanze e le differenze tra Stati nazionali, popoli, religioni.
Questo volume analizza le implicazioni e le dinamiche della competizione strategica tra le due superpotenze della Guerra Fredda, cercando le tracce di ciò che è rimasto di quel periodo nello scenario contemporaneo. Uno scenario che vede emergere nuovi attori globali, dotati di forza economica, militare e demografica per aprire spazi di conquista. Una ascesa che potrà portare a forti tensioni o che, per la prima volta dopo secoli, ci condurrà verso un nuovo concerto di potenze in grado di favorire una nuova stabilità.
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Anteprima del libro
Vent'anni senza Muro - Gianluca Ansalone
Prefazione
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Uno dei maggiori meriti dell’interessante ricerca di Gianluca Ansalone è quello di ricordarci quanto siano importanti la geografia e lo spazio in tutte le analisi storiche e politiche. Geografia e storia sono intimamente legate. Entrambe influenzano le percezioni e le rappresentazioni politiche. La geografia (non solo fisica, ma anche umana, economica, culturale e social) è quella che gli avvenimenti hanno determinato in un dato momento storico. La storia, dal canto suo, è invece una geografia diacronica, in movimento continuo.
La geopolitica è anche geostoria. Lo si percepisce chiaramente nell’analisi dei conflitti etnico-identitari, nonché di quello che Gilles Kepel ha chiamato il ritorno o la vendetta di Dio nella storia
. E insieme a Dio, anche quello che Aristotele ed anche Tucidide avevano denominato ethos, cioè i principi ed i valori propri di ogni cultura. Essi ne determinano il comportamento.
Ansalone illustra con acume e chiarezza come la teoria della fine della storia
, suggerita da Francis Fukuyama, comportasse anche la fine della geografia ed il predominio dell’economia sulla politica, proprio della cosiddetta globalizzazione e della finanziarizzazione delle relazioni economiche internazionali. La prima fu molto meno globale di quanto spesso si pensi. Fu caratterizzata dalla presenza di fenomeni di frammentazione e di reazioni alla modernità e all’imposizione di valori unici: quelli della superpotenza americana. E’ interessante notare, al riguardo, come la National Security Strategy of the United States of America - approvata dal Presidente George W. Bush nel settembre 2002 - riprendesse le tesi sostenute da Fukuyama sulla fine delle ideologie e sulla vittoria definitiva del capitalismo liberale, per definire finalità ed obiettivi della strategia globale USA. Secondo Bush, la storia non era finita, ma il compito storico – si direbbe missionario o rivoluzionario degli USA – era quello di farla terminare, di omogeneizzare il Mondo, eliminando i buchi neri
della globalizzazione ed affermando ovunque i valori propri della cultura e delle tradizione politica americani. Lo strumento essenziale per raggiungere tale scopo sarebbe stato quello militare, settore in cui gli USA godevano – e godranno ancora per decenni – di una superiorità assoluta a livello globale, di un entità tale mai verificatasi precedentemente nella storia. Ma l’esercito USA ad alta tecnologia non è idoneo per il controllo dei territori contro forme di guerre asimmetriche. Manca non solo degli effettivi, ma anche dell’ethos guerriero
, che possedevano, invece gli eserciti coloniali con cui l’Europa aveva dominato il Mondo nel XIX secolo, utilizzando l’enorme vantaggio materiale derivatole dalla prima rivoluzione industriale. Essi venivano finanziati dai profitti delle colonie stesse. Oggi queste nessuno le cerca più. Anzi, esiste chi si offre di essere colonizzato, per garantire la propria sicurezza od acquisirsi i vantaggi del sostegno politico, culturale e finanziario americano. La repubblica imperiale
– come Raymond Aron aveva denominato gli USA – è un impero non impero
, uno sceriffo riluttante
, che tende a dominare il Mondo più con il soft che con l’hard power. Ha dato con Bush priorità a quest’ultimo solo perché si è sentita aggredita con gli attentati dell’11 settembre 2001.
Sull’hard è allora divenuto preminente il soft power o, come ha recentemente sostenuto Josef Nye nelle sue raccomandazioni alla nuova Amministrazione americana, lo smart power, combinazione di soft e hard. Tale suggerimento sembra essere stato fatto proprio da Barack Obama e dai suoi collaboratori. Esso è alla base anche dell’adeguamento della dottrina Petraeus
studiata per la situazione irachena e quella afgana, pur tanto differente sotto i profili etnico, sociale, culturale ed economico.
Anche se duramente colpiti dalla crisi economica e finanziaria del 2007-2008, gli USA rimarranno la potenza dominante nel Mondo. Lo saranno anche perché sono l’unica nazione continente
(le altre sono la Cina, la Russia, l’India e il Brasile), che non deve fronteggiare la minaccia di un’invasione terrestre. Quindi, possono concentrare le proprie risorse disponibili per la sicurezza sul dominio degli oceani e sulla proiezione di potenza nelle periferie sia occidentali che orientali dell’Eurasia. Inoltre, le previsioni demografiche fino al 2050 - la demografia è per inciso il fattore geopolitico prevedibile con maggiore precisione - dimostrano che la popolazione USA manterrà una piramide di età molto più equilibrata di quelle dell’Europa, della Russia e della Cina. Esse, a partire dal 2020, conosceranno un catastrofico invecchiamento della popolazione, aggravato - soprattutto per la Cina - dall’esigenza di riconvertire dall’agricoltura all’industria e ai servizi diverse centinaia di milioni di persone (l’XI Piano Quinquennale cinese parla di spostare dalle campagne alle città 300 milioni di abitanti in 15 anni). Ciò farà saltare i meccanismi propri della famiglia confuciana, che hanno permesso a Pechino di limitare le spese sociali e di favorire esportazioni, risparmio ed investimenti rispetto ai consumi e, soprattutto, alle spese sociali. La Cina potrà superare tali difficoltà solo con accordi non solo economici, ma anche politico-strategici con gli USA. Con essi esiste una complementarietà naturale, che rende verosimile – come sottolinea Ansalone – il G-2 e Chimerica. Diversa sarà la situazione dell’India. Nel volume che presentiamo viene messo chiaramente in evidenza la natura soft dell’economia indiana rispetto a quella hard della Cina. Ma le economie del dragone cinese
e dell’elefante indiano
non sono complementari. Sono anche competitive, come foriero di tensioni è il contrasto dei due giganti asiatici per il dominio dell’Oceano Indiano. Nonostante le centinaia di migliaia di ingegneri sfornati
ogni anno, le attività soft non sono in condizioni di creare un numero di posti di lavoro sufficienti per far uscire dalla povertà la massa della popolazione indiana. Essa è in rapida crescita. Supererà, fra un paio di decenni, quella cinese che sta crescendo, soprattutto, per l’allungamento della vita media e subisce un progressivo invecchiamento che rischia non solo di ridurre il tasso di crescita dell’economia, ma anche di creare tensioni sociali e regionali interne.
Particolare interesse riveste l’analisi che Ansalone fa della natura, struttura e meccanismi interni di funzionamento degli Imperi del XIX e del XX secolo e di quelli che caratterizzeranno quelli che definisce Imperi
del XXI secolo. Gli Imperi coloniali europei erano soprattutto territoriali, destinati ad aumentare la potenza e la ricchezza dei vari Stati-nazione europei. Nel periodo bipolare, le cose si sono diversificate. L’esame delle differenze esistenti fra l’Impero sovietico
e quello americano
è particolarmente sviluppato da Ansalone, così come lo sono i motivi del collasso interno del primo, che era rimasto un caratteristico Impero territoriale. Era molto diverso dall’Impero soft
americano, fondato non tanto sulla vittoria contro le potenze dell’Asse, ma sul Piano Marshall di ricostruzione dell’Europa.
Per quanto riguarda le previsioni sul futuro ordine o disordine mondiale, Ansalone accenna alla possibilità dell’affermarsi di due scenari alternativi. Il primo è quello classico
della balance of power fra gli Stati-continente fra i quali pudicamente
, ma realisticamente, non viene menzionata l’Europa. Condivido tale esclusione del Vecchio Continente dai grandi protagonisti della storia del XXI secolo. La stessa Unione Europea ed Eurolandia conoscono una crisi esistenziale. Non riescono ad elaborare una politica estera e di sicurezza comune, ad esempio nei confronti della Russia e dell’accordo fra gli Stati Uniti e la Cina. Le particolarità nazionali stanno accentuandosi. Basti pensare alla Germania, che ha riscoperto talune radici storiche proprie del nazionalismo tedesco da Tauroggen a Bismark a Rapallo. Lo ha potuto fare anche per la vacanza
dall’Europa degli USA, troppo impegnati nel Grande Medio Oriente per interessarsi a fondo delle vicende europee. La priorità del Presidente Obama è chiaramente quella di ottenere il sostegno di Mosca per contrastare la proliferazione nucleare in Iran. Anche in questo caso il peso
della geografia e della storia è determinante. Basti pensare alle differenze di interessi e di percezioni fra gli Stati dell’Est europeo – nuovi membri della NATO e dell’UE – e quelli della vecchia Europa
(in particolare della Germania, ma anche dell’Italia), nei riguardi sia della Russia che degli USA.
Ritornando agli scenari del futuro ordine o disordine mondiale, Ansalone ne accenna a diversi. Il primo è quello di un Mondo a-polare
, molto simile al nuovo medioevo senza papa e senza impero
suggerito da Alain Minc. Segue quello del multipolarismo, basato sulla balance of power di grandi potenze. Si tratta di un assetto fragile, che potrebbe portare ad un nuovo confronto bipolare fra Cina e USA, attorno a cui si aggregherebbero le altre grandi potenze. Ritenuto nettamente preferibile é infine l’ordine internazionale, basato non tanto sulla competizione fra le grandi potenze per l’influenza ed il controllo delle risorse, quanto sulla cooperazione volontaria, basata su interessi comuni e gestito da nuove istituzioni globali. A parer mio, si tratta di una visione idealistica, se non bucolica, dato per l’appunto il ritorno della geografia e della storia, derivata dalla fine dell’ordine bipolare e dall’emergere dal disordine delle nazioni. Ansalone