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La STREGA dei boschi
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E-book137 pagine2 ore

La STREGA dei boschi

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Info su questo ebook

Dopo anni di lontananza, Elisa torna in Sardegna per trascorrere il Natale in famiglia. I suoi nonni Antonio e Maria, per l’occasione hanno voluto riunire tutti i figli e i nipoti in casa loro. La festa di vigilia ha inizio e dura fino a notte tarda. Durante la serata, su richiesta di tutti i presenti, Maria racconta alcune leggende della tradizione popolare sarda, evocando personaggi misteriosi e storie con retroscena macabri. Ma il clima gioviale e sereno che si respira in casa sta per cambiare: un segreto oscuro, sepolto nel passato di Antonio e Maria, sta per essere rivelato, creando scompiglio in famiglia. Tra colpi di scena, visioni, sogni premonitori e stati di trance, Elisa porterà alla luce una verità terribile, che le farà vivere un’esperienza mistica indimenticabile.
LinguaItaliano
Data di uscita7 apr 2015
ISBN9786050370621
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    Anteprima del libro

    La STREGA dei boschi - Emanuel Nieddu

    copertina

    Dedica

    A Diego,

    per avermi sempre incoraggiato a scrivere.

    I

    Nella penombra della stanza la sveglia suonò, annunciando le otto e un quarto. Ancora mezzo addormentata, Elisa estrasse il braccio da sotto il cuscino, lo mosse un po’ a tentoni in direzione del comodino, afferrò l’assordante congegno e lo disattivò, pigiando sul tasto di spegnimento. Poi, tirandosi le coperte sul viso, si voltò sul fianco sinistro e riprese a dormire. Pochi minuti più tardi, aprì finalmente gli occhi e allungò il braccio in cerca di Michele, che dormiva beatamente accanto a lei. Facendo piano per non svegliarlo, gli andò vicino, lo baciò sulla guancia e si alzò. Sul pavimento della camera, accanto alla porta, c’era il suo trolley aperto; Elisa frugò tra i vestiti ordinatamente piegati, alla ricerca della sua tuta da ginnastica. Quando l’ebbe trovata, si cambiò, lasciò la stanza e si diresse in bagno per lavarsi. Appena fu pronta, attraversò il lungo corridoio sul quale si affacciavano le camere da letto, scese le scale che conducevano al piano inferiore e uscì di casa. Con le cuffie nelle orecchie, chiuse il portone alle sue spalle e si mise in cammino.

    L’aria era fresca, eppure sembrò non farci caso. Si sentiva energica e voleva iniziare la sua giornata come faceva ormai da molti anni. Con la mente sgombra da qualsiasi pensiero, percorse un tratto di strada deserta, svoltò l’angolo e raggiunse il parco, dove iniziò la sua corsa. Dopo aver completato per tre volte lo stesso giro, si fermò a pochi passi dal cancello, praticò qualche esercizio di stretching e tornò a casa. Lungo il suo tragitto, non poté fare a meno di notare come gli edifici e le vie della città non avessero subito il benché minimo mutamento: ogni cosa era rimasta esattamente come se la ricordava. Tutto era come lo aveva lasciato molti anni prima, quando le era stato offerto di trasferirsi a Londra, per lavorare come arredatrice d’interni. Senza esitazioni, aveva accettato con molto entusiasmo, perché sapeva che si trattava dell’occasione della sua vita; l’occasione che le avrebbe permesso di dar prova del suo talento. E non si sbagliava affatto, dal momento che, nel volgere di pochi anni, era diventata uno dei designer di punta dell’azienda.

    Una volta rincasata, Elisa attraversò il corridoio interposto tra la cucina e il salotto, salì le scale e andò a fare una doccia calda. Quando ebbe finito di lavarsi, uscì dal bagno, lasciandolo a disposizione di Michele, e tornò in camera sua. Con tutta calma, si asciugò i capelli, si vestì, sistemò il letto e tornò al piano di sotto. Voltando a destra, entrò in cucina e salutò sua madre, che stava seduta al tavolo, assorta nella lettura di un libro.

    «Buongiorno» rispose Lucia. «Ti ho lasciato la macchina del caffè accesa»

    «Grazie. Che cosa stai leggendo?»

    «L’eleganza del riccio»

    «Non l’avevi ancora letto?»

    «Avrei voluto, ma non ho mai trovato il momento adatto».

    Elisa si mise a sedere di fronte alla madre e domandò ancora: «A che punto sei arrivata?»

    «Mi mancano poche pagine per terminare il terzo capitolo». Lucia chiuse il libro e lo poggiò nella credenza di legno alle sue spalle. «Michele sta ancora dormendo?»

    «No, è in bagno a lavarsi»

    «Avreste dovuto approfittare di questa mattina per riposare. Ieri notte siete arrivati così tardi…»

    «Lo so, ma era l’unico volo rimasto. Non c’era molta scelta»

    «Non ha importanza. Ciò che conta davvero è che adesso siate qui con noi per il Natale».

    Elisa finì di bere il suo caffè, soffiandoci sopra per freddarlo.

    «Papà dov’è?»

    «È andato a prendere il giornale, ma sarebbe dovuto essere qui già da un po’».

    Trascorsi pochi minuti, il portone d’ingresso si aprì, attirando l’attenzione delle due donne. Poggiata la tazzina sul piattino, Elisa si alzò dalla sedia e si affacciò al corridoio. Nella figura alta e snella in controluce riconobbe suo padre, il quale, una volta richiuso l’uscio, avanzò verso la cucina con un pacchetto di pasticceria in mano e il giornale sotto braccio.

    «Buongiorno» disse, entrando nella stanza. «Ho preso le paste. Ci sono anche le tue preferite» si rivolse alla figlia.

    «Le americane con la crema al cioccolato?»

    L’uomo annuì, scartò il pacchetto e sistemò il vassoio sul tavolo.

    «Erano le ultime rimaste» aggiunse, accomodandosi vicino alla moglie.

    La ragazza prese un’americana e le diede un morso, gustandoselo senza fretta.

    «Sono sempre buonissime!».

    Giovanni le sorrise, guardandola con quella tenerezza che i padri riservano alle figlie. Subito dopo aprì il giornale e si dedicò alla lettura.

    Michele fece il suo ingresso in cucina poco più tardi, salutò e prese posto a tavola.

    «Ti andrebbe un caffè?» gli domandò Lucia.

    «Molto volentieri»

    «Ci penso io» disse Elisa. «Assaggia le americane. Sono le più buone di tutta Cagliari»

    «Anche i cestini di pasta frolla sono ottimi» aggiunse Lucia.

    Senza troppe cerimonie, Michele prese dal vassoio il primo dolce che gli era stato consigliato di provare e iniziò a fare colazione.  

    II

    Alle dieci del mattino, il sole brillava alto su Cagliari, avvolgendola in un delicato abbraccio di luce. Pur essendo luminosa, la giornata non era affatto calda. Si presentava, anzi, piuttosto fredda e umida, per via del maestrale che, levatosi nel cuore della notte, spargeva il suo gelido soffio per le strade della città.

    Passando davanti alla finestra della cucina, Lucia si fermò a osservare i rami degli alberi agitati dal vento, restando incantata dal movimento oscillante a cui le cime delle grosse piante erano costrette. Memore del lavoro che l’attendeva, tornò poi alle sue faccende. Mentre terminava di riporre le stoviglie pulite al loro posto, udì il suono del campanello annunciare la presenza di qualcuno alla porta. Immaginando chi fosse, andò ad aprire svelta, trovandosi davanti suo fratello Sebastiano, sua moglie Agata e la loro figlia Giulia. Dopo averli salutati, Lucia li invitò ad entrare, indirizzandoli verso la cucina, dove si trovava il resto della sua famiglia. Durante il breve tragitto, scambiò poche parole con la nipote: «Sono contenta di vederti. Era da un po’ che non passavi a trovarci. Come stai?» le domandò.

    «Bene. Sono un po’ stanca» rispose la ragazza. «Questa settimana sto facendo il turno di notte. In ambulatorio abbiamo un cagnolino che è stato operato due giorni fa e c’è bisogno di qualcuno che resti lì a monitorarlo».

    Una volta giunte nella stanza, Lucia attese che i nuovi arrivati terminassero il giro dei saluti, poi li invitò a mettersi comodi. «Vi preparo il caffè?»

    «Io lo prendo molto volentieri» rispose la cognata, sedendosi al tavolo.

    «Anche io, grazie» si unì Giulia.

    Sebastiano, restando in piedi, disse: «Per me no, grazie. Anzi, pensavo di uscire subito»

    «Siete appena arrivati». Gli fece notare la sorella. «Non ti siedi nemmeno un attimo?»

    «Adesso no, si sta facendo tardi. Voi siete pronti?» chiese a Giovanni e a Michele.

    Il cognato annuì. «Prendiamo i cappotti e andiamo»

    «Cercate di sbrigarvi» si raccomandò Agata. «Dobbiamo passare all’aeroporto a prendere tuo fratello Carlo e…»

    «Lo so» la interruppe il marito.

    «Stamattina Graziella mi ha detto che sarebbero arrivati all’una»

    «Per quell’ora saremo già all’aeroporto» la rassicurò Sebastiano. «Facciamo presto. A dopo» concluse lasciando la stanza.

    Preparato il caffè alla cognata e alla nipote, Lucia si mise a sedere con loro e domandò: «Per stasera che cosa è rimasto da fare?»

    «Nulla. È tutto pronto» rispose Agata.

    «E i culurgiones

    «Sono pronti anche quelli»

    «Come sarebbe a dire? Li dovevamo preparare oggi tutte assieme»

    «Tua madre ha cambiato idea e si è messa all’opera ieri pomeriggio»

    «Non ci credo! Fa sempre di testa sua!» protestò Lucia.

    «Non te la prendere, lo sai come è fatta» la rabbonì Agata. «Pensa che non ne sapevo niente neppure io. Sono passata a trovare i tuoi genitori per vedere come stessero e ho trovato tua madre che impastava la sfoglia tutta sola in cucina».

    Lucia scosse la testa in segno di disapprovazione e la cognata proseguì il suo racconto: «Io e lei da sole ci avremmo messo una vita a finire. Allora ho chiamato tua sorella Renata per sapere se poteva raggiungerci. Per fortuna era libera ed è arrivata a darci una mano».

    Agata fece una breve pausa, durante la quale sorbì il suo caffè.

    «Non sai quanto ho dovuto insistere con tua madre prima di convincerla a farsi aiutare. Era irremovibile. Continuava a dire che aveva sempre fatto i culurgiones da sola e che non le serviva alcun aiuto. Si è dovuto intromettere persino tuo padre e alla fine ha ceduto»

    «È sempre stata così testarda!»

    «Non ci pensare. Quel che è fatto è fatto! E, se non altro, è un lavoro in meno da sbrigare oggi».

    Il silenzio che seguì le permise di cambiare argomento, rivolgendo le sue attenzioni alla nipote, con la quale non aveva ancora avuto modo di dialogare, se non nel breve momento in cui si erano salutate.

    «Quanto vi tratterrete in Sardegna?» le domandò.

    «Non molto, purtroppo: il 28 abbiamo il volo di rientro»

    «Così presto?»

    «Se dipendesse da me starei qualche giorno in più, ma è un periodo abbastanza pieno e non posso assentarmi troppo dall’ufficio»

    «Stai lavorando molto?»

    «Sì. Ci sono giorni in cui rientro a casa stremata»

    «Come ti capisco!» esclamò Giulia. «Certe sere sono talmente stanca che non ho neppure voglia di cenare. Desidero soltanto buttarmi sul letto e dormire»

    «E resti a digiuno tutta la notte?» le domandò

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