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Figli dell’Eden
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E-book404 pagine6 ore

Figli dell’Eden

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Info su questo ebook

Alex è un barbone che vive tra le strade di Roma trascinandosi dietro un segreto, l'incontro con uno strano personaggio e una prostituta darà una svolta alla sua vita, ma cosa lo lega ad Angelica e a sua figlia Beatrice, cosa c'entra lui con un losco individuo che spadroneggia in città a capo di una organizzazione criminale chiamata "VELA NERA"? E con Angelillo figlio di quest'ultimo? Amore, criminalità, prostituzione, poliziotti corrotti, un mix entusiasmante!
LinguaItaliano
Data di uscita25 lug 2013
ISBN9788891116819
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    Anteprima del libro

    Figli dell’Eden - Anna Stissi

    Capitolo

    1° Capitolo

    << Il cielo su di me, cupo, senza luna ne stelle… Ah! Questo fuoco inestinguibile che mi divora l’anima e le visceri, è questa la morte? Una morte lenta, agonizzante, senza pietà, crudele e nello stesso tempo liberatoria… Si, la mia anima anela a questa libertà… Cosa c’è? Sento dell’acqua che scorre sotto di me, putrida, nauseabonda, tanto quanto questo respiro che mi tiene legato a questo corpo disfatto… chissà, se fossi meno vigliacco forse ci scivolerei dentro, se avessi coraggio… ma, cos’è il coraggio? In un attimo scivolare nell’oblio o combattere il dolore giorno dopo giorno?… Non so, non so più nulla, non riesco a pensare… Ma dove sono? Laggiù, oltre il ponte, quelle luci, mi sembra di riconoscerle… si, è così! Dio mio no! Dio mio! L’angoscia già mi assale, come ci sono finito ancora quaggiù? Il cuore mi sale in gola con tale prepotenza che quasi smetto di respirare, con uno sforzo mi tiro su, aggrappandomi alle transenne del ponte, aguzzo lo sguardo verso l’orizzonte per vedere meglio: si, adesso ne sono sicuro, quella laggiù è la mia città, ma come ho fatto a giungere qui? Ero sul treno… già, il treno, adesso ricordo, quell’imbecille del controllore mi ha spinto giù dal vagone senza tanti preamboli, com’è che mi ha chiamato?... Ah si! Vecchio puzzolente! E rideva pure il maledetto, la sua risata di scherno mi frusta ancora le orecchie, il suo sguardo nauseato, carico di disprezzo, mi percuote più del suo calcio nel mio fianco. Ma perché? Perché nessuno ha pietà di me, che male facevo? Ero li, tranquillo, seduto in un cantuccio del vagone, sonnecchiavo e... Ah! Laggiù, quelle luci mi affascinano, ma nello stesso tempo mi stritolano dentro come se fossi di cartapesta… no! Non li seguirò, non resterò qui, troppi ricordi dolorosi, basta soffrire… Devo andarmene, riprenderò un altro treno, sperando di farla franca come altre volte, se ricordo bene la stazione non dovrebbe essere lontana, devo solo seguire i binari…

    Eccoli! Sono lì, a pochi metri da me, due lunghe linee argentee, scintillano sotto questa pallida luna che mi guarda quasi con compassione, prima di essere ingoiata ancora da una famelica nuvola nera… Provo ad alzarmi in piedi… ah, maledizione! Non riesco neanche a muovermi, la caduta dal treno mi ha lasciato piuttosto malconcio, mi reggo appena in piedi, ma non posso restare in eterno appoggiato a queste transenne… adesso ci riprovo… ah! Maledette gambe che non volete ubbidirmi e maledetto questo tremore alle mani che non riesco ad evitare! Eccomi qui adesso, in mezzo ai binari, sono caduto come una pera marcia… Ma, cos’è questo rumore? Il treno?... Si, è il fischio del treno! Calma, calma, devo concentrarmi, devo fare uno sforzo e spingere il mio corpo oltre i binari, solo uno sforzo, oppure… oppure restare qui…

    Il terreno trema… sento il suo fischio… eccolo! Lo vedo, un mostro d’acciaio in lontananza che si avvicina pericolosamente sempre più… ahh!

    Cos’è accaduto? Sono ancora qui? Dentro questa schifosa vita? Devo essere svenuto per qualche minuto o forse più, ho un ronzio pazzesco nelle orecchie, sarà stato lo spostamento d’aria… Ah! Ho un dolore lancinante alla caviglia, sarà rotta? Provo a muoverla… no, forse no, non credo, penso che sia solo slogata, ho avuto fortuna… fortuna? Rido dentro di me per non piangere, mi aggrappo ancora alle transenne del ponte e mi rimetto in piedi. Laggiù, in lontananza, odo i rintocchi di una campana, non suona a morto, quindi questa sera non morirò... Ah! Ho la gola arsa, dentro la tasca ci deve essere rimasto… No! Maledizione no, la bottiglia si è rotta! Ecco cos’era quel senso di bagnato, pensavo di avermela fatta addosso per la paura… Ah! Devo placare questo fuoco che mi divora… si, seguirò quei rintocchi, dove c’è una chiesa c’è gente, tanta gente generosa ...

    I rintocchi della campana mi scuotono dal mio torpore, intuisco che c’è qualcuno davanti a me, meccanicamente alzo la mano, sento il gelido metallo che scivola dentro di essa, aguzzo lo sguardo: sono solo 50 centesimi! Non ho la forza neanche di ringraziare, li faccio sparire dentro la tasca. Mi chiedo da quanto tempo sono qui: giorni, ore, forse mesi? Chissà… il tempo ormai non esiste più per me. Mi tiro un po’ su e mi guardo intorno: come al solito i bravi cristiani mi passano accanto, racchiusi nei loro affanni non mi guardano nemmeno, o se qualche volta lo fanno, spinti da un improvviso senso di carità, lasciano cadere in fretta, dentro la mia mano, qualche euro per liberarsi la coscienza, poi, con altrettanta fretta, volgono il viso da un’altra parte, per evitare il fastidio, dell’immagine sudicia che impongo loro. Ma non importa, li capisco, ciò che mi preoccupa invece, è che questa sera ho fatto si e no pochi euro e non bastano per placare questa arsura che non mi da pace.

    Il mio sguardo stanco si posa oltre la strada, una catena di auto rombanti sfilano come in una parata, avvolti in una nebbiolina sottile. Dei giovani centauri s’infilano tra di esse come in una pista da slalom; sorrido, mentre la mente vaga lontano…

    << Dai amico, vieni con me, sarà un’esperienza unica vedrai. >>

    <> Manuel mi sorride, alza sulla fronte spaziosa i suoi occhiali scuri e mi indica il marciapiede di fronte dicendo: << Guarda un po’ laggiù! >> Non credo ai miei occhi: è rossa fiammante, ultimo modello, un giocattolo da provare, una forte tentazione, ci salto su all’improvviso, metto in moto, il rombo del motore mi eccita al pari di una donna, non penso più a nulla e mi lascio trasportare verso mete ignote…

    Nel crepuscolo della sera, una Ferrari rossa si ferma sotto il marciapiede di fronte, il rombo del motore si porta via frammenti dei miei ricordi. Spalanco gli occhi per la sorpresa e sorrido ancora, quell’auto era il mio sogno da bambino, prima di scoprire che i sogni sono la prigione degli stolti. Ma… chi sarà quella bellissima donna che ne esce fuori? Non l’ho mai vista da queste parti; saluta con un bacio l’uomo che guida l’auto e quando lui riparte, lo segue con lo sguardo. Ha freddo, infatti abbottona il cappotto bianco, orlato di pelliccia, fin sopra il collo; fa un gesto con la mano e liscia la frangetta che un po’ di vento le scompiglia sul viso. Strani quei suoi capelli corti dietro e un po’ più lunghi e sfrangiati davanti, sembrano usciti da una copertina di moda, da lontano mi sembrano color mogano con striature dorate, ma non ne sono sicuro, da un po’ di tempo la mia vista non è più tanto buona e la sua figura è illuminata solo dall’insegna, della vetrina di giocattoli che sta dietro di lei. Vedo che ha intenzione di attraversare la strada, infatti, aspetta che il semaforo dia il verde. Si volta, dà un rapido sguardo alla vetrina, forse qualcosa di ciò che vi è esposto l’attira, ignora il verde e entra dentro il negozio…

    E’ da parecchio che è dentro, deve essere una persona difficile, di quelle che fanno diventare matti i poveri commessi, i ricordi ripescano ancora frammenti di vita…

    << Signora, le ho fatto vedere tutte le stoffe che abbiamo in negozio, mi dispiace non poterla accontentare. >>

    << E’ davvero tutto qui ciò che avete? Eppure mi avevano consigliato questo negozio come il più fornito della zona. >> << E lo è signora, mi scusi, ma forse dovrebbe avere le idee un po’ più chiare su ciò che sta cercando. >>

    << Giovanotto! Io ho sempre avuto le idee chiare, lei è un incompetente e un gran maleducato! Come osa parlarmi così? >>

    << Ma signora, non mi sembra di averle detto nulla di offensivo, io…>>

    << Mi faccia parlare col suo datore di lavoro! >>

    … Sento ancora la sua voce stridula e gracchiante, avvolgo la sua immagine insulsa e oscena, dentro nuvole di stoffe dai più svariati colori e la rimando da dove è venuta…

    Eccola! La giovane donna sta uscendo dal negozio… strano, non ha nessun pacco con se e guarda l’orologio con impazienza. I rintocchi della campana mi piombano addosso all’improvviso facendomi sobbalzare. La messa è finita o sta per iniziare? Non l’ho mai capito, forse perché non ha nessuna importanza per me; ma forse importa a quella bella sconosciuta che aspetta impaziente di poter attraversare la strada… Eccola! Sale i gradini, va di fretta e mi ignora... no, ritorna sui suoi passi e si ferma sorpresa davanti a me, ora posso vederla bene in viso… ho un sussulto, qualcosa di gelido mi scivola lungo la schiena… quegli occhi… Ah! Non so che darei, per aprire con le mie mani questo selciato di pietra su cui giaccio riverso, e scomparire sotto terra, ma resto impietrito con la mano alzata, lei vi lascia cadere una banconota da venti euro, la cosa mi sorprende, venti euro tutti per me? La gioia che provo mi fa dimenticare l’imbarazzo, la mia mente si perde in calcoli convulsi, ma improvvisamente il mio entusiasmo si smorza… No signora! Non così la prego, il suo sguardo di rimprovero per la mia condizione, mi ferisce più di una lama tagliente, avrei preferito che accompagnasse il suo gesto, con un piccolo impercettibile sorriso, ma forse chiedo troppo alla vita.

    La vedo scomparire dietro la porta della chiesa: la sua figura sottile, i suoi tacchi alti, i pantaloni attillati… ah! Vorrei morire, i ricordi affiorano alla mente dolorosi quanto mai, ma con coraggio li scaccio via da me.

    Oltre la strada, l’insegna del bar mi tenta, devo andare, non posso fare altrimenti. La gola è arsa dalla sete, la volontà spezzata in due; sono come uno schiavo sottomesso che corre al grido del padrone. Stringo con forza tra le mani il mio tesoro, ma devo fare uno sforzo enorme per alzarmi, ho le mani e i piedi intorpiditi dal freddo; la caviglia mi fa ancora maledettamente male e il piede è così gonfio che ho dovuto tagliare la scarpa con il coltello. Stringo i denti e con uno sforzo di volontà, mi metto in piedi appoggiandomi alla colonna del sagrato della chiesa. All’improvviso ho un senso di nausea e un violento capogiro, ma ci sono abituato ormai; chiudo gli occhi per evitare questa sgradevole sensazione e fortunatamente dopo qualche minuto la giostra si ferma. Scendo i gradini della chiesa, come un bimbo che muove i primi passi e mi fermo angosciato sul bordo del marciapiede. Guardo il semaforo di fronte con odio, ormai da qualche tempo è guerra aperta tra noi due; il maledetto mi guarda con quei suoi grandi occhi malefici e mi fa i dispetti, pretende velocità e prontezza da parte mia e dato che non riesco a soddisfarlo, fa scattare quel suo occhio di fuoco che mi mette in serie difficoltà. Rimango a guardare le auto che sfrecciano veloci davanti a me, finché il mio nemico non mi indica il verde, azzardo qualche passo, ma ecco che il pericolo si avvicina, il giallo mi sorprende a metà strada, mi sa che anche oggi devo rischiare, infatti, improvvisamente il maledetto mette in mostra la sua arma migliore, spero che qualcuno abbia un po’ di considerazione per me e non mi schiacci come si fa con uno scarafaggio. Mi avventuro come un pioniere in quei due, o tre metri di asfalto che restano, sento le auto sfrecciarmi accanto e sfiorarmi i vestiti, odo grida d’imprecazione e brusche frenate, ma ce la faccio, ce la faccio… evviva! Mi sento un eroe quando metto piede sopra il marciapiede opposto. Dal bar escono fuori alcune persone, mentre vado verso di loro li sento commentare: << Ma cosa diavolo succede? >>

    << Non lo vedi? E’ quell’accattone, quello che da alcuni giorni si è insediato sul sagrato della chiesa, un giorno o l’altro finisce sotto un’auto. >>

    << E’ una vergogna, ma il prete cosa dice? >>

    << Dice che anche i colombi si sono stabiliti sul tetto e a nessuno è venuto in mente di cacciarli via. >>

    << Belle parole, ma intanto ci tocca ogni giorno vedere la sua brutta faccia. >> Quando passo loro accanto per entrare nel bar, si scansano con un senso di ribrezzo tappandosi il naso. Mentre apro la porta, un’aria calda mi investe trasmettendomi un immediato senso di benessere, all’olfatto mi arriva un buon odore di caffè, di cornetti alla crema appena sfornati; li vedo in fila come indiani, in bella mostra tra dolci di ogni genere, ma non mi lascio tentare e punto dritto al bancone dei liquori. Il proprietario vedendomi mi aggredisce: << Ti avevo proibito di mettere piede qui dentro! Puzzi come un maiale e mi spaventi i clienti e poi sei anche in debito con me, quindi fila via altrimenti chiamo una vigile! >>

    Mi imbarazza la sua sfuriata, ma non me ne vado, gli mostro la banconota da venti euro e lui cambia espressione, chiede al ragazzo che serve al bancone di versarmi da bere. Penso che è impressionante come le persone cambiano alla vista del denaro, ora non sono più tanto repellente, anzi, sono degno di essere servito come tutti. Quando appoggio i gomiti sul bancone, due uomini si allontanano, leggo lo sdegno nei loro occhi e lo specchio che ho di fronte mi dice il perché: sembro uscito da una fogna, faccio ribrezzo pure a me stesso: ho i capelli lunghi e arruffati, la barba mi arriva quasi sotto il mento; il mio viso ha un colore giallastro per la febbre che da giorni mi divora; i miei vestiti emanano odore di sudore, di marcio, di urina e di chissà che altro… Con mano tremante afferro il bicchiere che il ragazzo mi offre, e ne verso buona parte del contenuto sul bancone, noto il suo sguardo di disappunto mentre si appresta a pulire. Mortificato, mi scuso con lui, afferro il bicchiere con tutte e due le mani e lo porto alla bocca… Ecco! Ecco il fuoco nelle visceri, il conforto alla mia disperazione, il padrone assoluto di questa mia misera vita, il mio inferno e il mio paradiso, in lui e per lui ho annullato il mio essere, mi sono ridotto a una larva umana senza onore e rispetto. <> Chiedo al ragazzo, lui volge lo sguardo verso il suo padrone che gli fa cenno con le dita di servirmi altri due bicchieri, penso di aver capito male, ma quando il ragazzo si ferma chiedo spiegazioni: <> Protesto.

    << Ma me ne dovevi dieci, più quello che hai bevuto e siamo pari >> risponde per lui il proprietario. Protesto con più forza, mi sento derubato e quei pochi bicchieri che ho bevuto non sono riusciti a placare la mia sete, il fuoco chiede altro fuoco ed io devo accontentarlo. Ma le mie proteste non servono a nulla, imploro per avere almeno un altro bicchiere e fortunatamente vengo accontentato. Mentre lo bevo mi guardo intorno, noto che tutti mi fissano come un fenomeno da baraccone, sento un moto di ribellione dentro di me e grido loro:

    << Che avete da guardare imbecilli! >> Odo risate di scherno e sputo loro addosso, il proprietario arrabbiato, mi spinge fuori dal bar in malo modo gridando: << Non farti più vedere qui dentro o ti faccio arrestare! >> Strascico delle scuse, voglio restare dentro per ristorare un po’ le mie membra infreddolite, ma lui non sente ragioni e mi sbatte la porta in faccia. Fuori, il buio della sera mi avvolge come un manto oscuro, tiro su il bavero della giacca, o ciò che ne resta e mi lascio andare sul marciapiede. La gente mi passa accanto e tendo ancora la mano, dei ragazzi fanno finta di lasciarmi qualcosa per poi ridere di me, li lascio fare senza reagire, a che serve farlo? Due fidanzatini mi passano accanto, camminano abbracciati, si guardano negli occhi resi luminosi dal sentimento che li divora, chiudo gli occhi e la mente vaga lontano…

    << Fai il serio la gente ci guarda! >> Dice lei, ride, schiva il mio bacio e tende il capo all’indietro scuotendo i sui lunghi riccioli neri, ma non mi do per vinto e con prepotenza mi riprendo ciò che mi appartiene: il dolce sapore delle sue labbra che mi trasportano in quell’oasi di felicità che l’anima brama…

    Un tuono improvviso mi lacera la mente e mi fa ricadere all’inferno… Guardo il cielo minaccioso e rombante e penso che questa è proprio una serata maledetta; di certo una delle tante, ma le altre volte non mi sentivo così debole. Il mio stomaco brontola da far paura, mi chiedo da quanto tempo non tocco cibo; non so, non ricordo. Ecco le prime gocce sul mio naso. Maledizione! La pioggia mi investe all’improvviso come una doccia fredda e non vedo vicino a me uno schifo di rifugio. Rimango per qualche minuto come inebetito in balia di essa, poi barcollante mi muovo e trovo riparo dentro un portone.

    << Ehi tu! Chi sei, che vuoi, vattene via! >> Una stupida vecchia sdentata mi scaccia via colpendomi i reni con la sua scopa. << Brutta befana! Non facevo nulla di male, neanche i cani si scacciano così, neanche i cani! >> Le grido esasperato ritornando sotto quel diluvio, ho solo voglia di piangere, di gridare che ho freddo e fame e non sono un animale, ma un essere umano… Sono esausto e mi siedo per terra a ridosso di un muro, sopra di me un piccolo balcone mi offre ospitalità, la pietra ha più cuore degli uomini. Dall’altro lato della strada, la porta spalancata della chiesa mi tenta a varcarne la soglia, ma neanche se ci fosse il diluvio universale e quella fosse l’arca ci entrerei, ho un conto in sospeso con il Padrone di casa. Mi vengono in mente le parole della mia catechista, insisteva parecchio sulla misericordia di Dio bussate e vi sarà aperto, chiedete e vi sarà dato diceva, che enorme bugia! La vita mi ha insegnato diversamente, ecco perché non entrerò mai più li dentro, non ho più nulla da chiedere dopo che tutto mi è stato negato, ho esaurito qualsiasi preghiera e mi resta solo un vuoto incolmabile…

    La Ferrari rossa di poco prima si ferma sotto i gradini della chiesa, ne scende un uomo sulla trentina: è alto, distinto, un viso simpatico. Apre un ombrello e raggiunge la donna che è apparsa sull’uscio della chiesa; è gentile e premuroso con lei, le alza il cappuccio sul capo e la prende sotto braccio; scendono insieme i gradini e si avviano di corsa verso l’auto; lui le apre la portiera e l’aiuta a salire, lei gli dice qualcosa e gli indica il negozio di giocattoli; lui guarda da questa parte e aspetta che il semaforo gli dia il via per attraversare la strada, ha fretta e guarda con insistenza l’orologio. Lei ha acceso la luce interna dell’auto, ha aperto la borsetta, si incipria il naso e ripassa il rossetto sulla bocca con movimenti regolari e precisi. La sua figura all’improvviso mi appare lontana, molto lontana, tutto si sfoca: la strada, la gente, i palazzi, la chiesa di fronte, tutto mi risucchia in un vortice oscuro, cerco disperatamente di resistere ma…

    Che mi è successo? Sto sudando freddo, devo aver avuto un mancamento momentaneo, il mio cuore va più veloce di un cavallo in corsa, lo sento rimbombare nel mio petto quasi voglia uscire fuori da esso… La Ferrari rossa è ancora laggiù oppure no? Il mio sguardo è un po’ annebbiato… Si, la vedo, sta ancora li, sotto la pioggia incessante, sta quasi ingombrando il traffico che è diventato caotico. Qualcuno mi passa accanto veloce portando tra le braccia un grosso pacco colorato, legato da un nastro rosa. Lo riconosco, è l’uomo della Ferrari rossa. Attraversa la strada di corsa, sistema il pacco sul lato posteriore dell’auto e si mette al volante; lei felice lo attira a sé premiandolo con un lungo bacio, poi si allontana e con la mano liscia i suoi capelli rimettendoli a posto, ma lui la riprende, la bacia a lungo e dispettoso glieli scompiglia ancora, ridono felici e questo mi fa piacere, mi da un senso di serenità… L’auto sfreccia veloce, si perde in mezzo al traffico… Tra la pioggia che scende sul mio viso si mischia prepotente una lacrima; i ricordi cercano di portarmi lontano, ma non ho nessuna intenzione di seguirli, è troppo doloroso farlo, ed io sono stanco di soffrire. Forse sarebbe meglio finire qui questo schifo di vita, una vita senza speranza che ragione ha di esistere? Adesso so cosa farò: chiuderò gli occhi e attraverserò ancora la strada…

    2° Capitolo

    In un appartamento, al secondo piano di un condominio, situato in una delle vie di Roma, una giovane e bella donna sui trentacinque anni: alta, slanciata, capelli lunghi, ricci e neri, splendidi occhi verdi su di un viso dai lineamenti delicati, si muoveva silenziosa da una stanza all’altra. I tuoni e i fulmini che si susseguivano fuori, non sembravano turbare la quiete dell’ambiente, reso caldo da un camino in stile moderno. Ai piedi di esso, un bel tappeto dai colori chiari, si intonava perfettamente a un divano color verde acqua posto sotto la finestra, che, seminascosta da una tenda in organza color crema, si affacciava su un piccolo terrazzo, su cui vi erano piante di gerani, erica e ciclamino. Una grande tavola dal ripiano in vetro, troneggiava al centro del salone, sopra di essa, un bouquet di fiori freschi profumava l’aria. I mobili in stile moderno color panna, erano ricoperti da vari suppellettili, tra di essi, vi erano delle lampade a sfera che illuminavano il tutto. Alle pareti, vari acquerelli di diversi artisti, davano colore all’insieme.

    << Sbrigati a uscire da quella stanza Beatrice, è tardi, tra poco zia Giorgia e zio Aldo saranno qui! >> La voce di Angelica alta e squillante, lacerò per un lungo istante il silenzio dell’interno; da una stanza limitrofa al salone si udì una vocina rispondere:

    << Si mammina, solo un paio di minuti, finisco di colorare la mia nuvola e… e anche mezzo albero. >> Angelica uscì dal salone e andò in camera da letto, aprì un grande armadio a muro, ne trasse fuori un tubino corto di seta lucida nero e lo indossò, ammirò la sua immagine allo specchio, diede una ravviata ai capelli, infine da sopra una mensola trasse fuori una scatola, l’appoggiò sul letto e sparpagliò il contenuto di essa sulla trapunta di seta rosa, esaminò il contenuto della scatola con una certa apprensione, poi pensò con sollievo:

    << Meno male, sono ancora riutilizzabili. >> Rimise tutto nella scatola e con essa si diresse verso il salone. Passò davanti alla camera di sua figlia e attraverso la porta aperta le disse: << Vuoi un po’ d’aiuto tesoro? >>

    << No, ho quasi finito >> rispose la piccola, senza alzare lo sguardo dal cartellone, su cui stava disegnando con molta alacrità. Angelica, ferma sull’uscio, rimase a fissarla per qualche minuto con un senso di orgoglio. La sua bambina era bellissima con quei suoi riccioli biondi, che le scendevano lunghi e ribelli sul maglione di cachemire blu, il quale faceva risaltare il candore della sue guance rosate; due splendidi occhi azzurri spiccavano sul suo visino da bambola, gli stessi occhi di suo padre. Pensando a lui, una profonda tristezza le invase l’anima, ma la cacciò via subito, non voleva lasciarsi prendere dalla malinconia, era il compleanno di sua figlia e tra qualche minuto sarebbero arrivati gli ospiti, voleva essere allegra per riceverli.

    Aveva invitato sua cognata con il marito, un’amichetta di Beatrice con i genitori e il professore Edoardo Gironi, quest’ultimo, era primario all’ospedale e lei gli faceva da assistente. Era la prima volta che invitava il professore a casa sua e l’idea non era certo stata sua ma di sua figlia. Beatrice lo aveva incontrato al parco e vedendolo così gentile e premuroso nei suoi confronti, con la spontaneità della sua età gli aveva detto: << Vuoi venire domenica al mio compleanno? >>

    << Ne sarei felice, sempre che a tua madre non dispiaccia. >> Aveva risposto lui, a quel punto lei era stata costretta a dire di si, nonostante la cosa la infastidisse un po’, perché da qualche tempo, il professore aveva degli atteggiamenti verso di lei che andavano oltre i loro rapporti di lavoro, e lei non se la sentiva di alimentare in lui nessuna speranza. Una volta sola aveva amato nella vita e le era costato parecchio. Mise da parte i suoi pensieri, portò la scatola nel salone, ne trasse fuori gli addobbi per la festa e incominciò a sistemarli alle pareti, ad essi aggiunse anche dei palloncini colorati che aveva precedentemente gonfiato, infine, vestì la tavola con una bella tovaglia di cantù e collocò sopra di essa dei candelabri in argento. Aveva appena finito di sistemare tutto, quando il campanello di casa squillò, si apprestò ad aprire e Giorgia entrò dentro, allegra come una ventata di primavera.

    << Dov’è il mio angioletto? >> Le chiese scrollandosi di dosso un po’ di pioggia. Prima di rispondere Angelica si soffermò ad ammirare la bellezza di sua cognata: era alta, slanciata, capelli color mogano corti di dietro e un po’ più lunghi davanti che le davano un’aria da ragazzina; indossava un cappotto bianco con cappuccio orlato di pelliccia che faceva risaltare la sua carnagione chiara e i suoi occhi color del cielo ( caratteristica quella, della famiglia Saleri).

    << E’ ancora in camera sua, >> rispose Angelica salutandola con un bacio <> continuò aiutandola a togliersi il cappotto. Lei rise dicendo: << Che bella idea, le inventa proprio tutte la mia nipotina, vado ad aiutarla!>> Mentre scompariva attraverso il corridoio, suo marito Aldo, semina- scosto da un grande pacco colorato, con un fiocco rosa, apparve sull’uscio dicendo: << E’ permesso? >> Angelica lo fece accomodare e lo aiutò a sistemare il pacco in un angolo del salone. Guardandosi intorno e notando la sala addobbata a festa, Aldo esclamò: << Però! Vedo che hai messo fuori pure l’argenteria, vuoi forse fare bella figura con il tuo principale? >> Angelica rise dicendo:

    << Vedo che Giorgia ti ha già informato. >>

    << Doveva farlo per forza, non vedi? Mi ha pure costretto ad indossare quest’odiosa giacca e cravatta in suo onore! >> Angelica rise ancora, se c’era una cosa che Aldo odiava erano proprio le cravatte, su di lui non stavano mai al proprio posto.

    << Trovo che stai benissimo, dovresti vestire più spesso così, >> gli disse << e tenere le mani più a posto, la tua cravatta sembra che abbia il torcicollo, vieni che te la sistemo >> continuò. Mentre lei stringeva il nodo sistemandolo, lui mimò uno strozzamento e lei ridendo gli disse: << Dovresti fare il pagliaccio, ricordami di ingaggiarti per l’anno prossimo. >>

    In quel momento, un palloncino si staccò dalla parete e scivolò sul tappeto, Aldo si chinò per sistemarlo, ma esso gli scoppiò tra le dita causando un gran botto.

    << Che combini zio Aldo, non è ancora il momento di far scoppiare i palloncini! >>

    Lo rimproverò Beatrice entrando di corsa nel salone.

    << Beatrice ha ragione amor mio, smettila di giocare e aiutaci a sistemare questo.>> Gli disse Giorgia mentre trasportava un grande cartellone colorato, lui allargò le braccia sconsolato, strappando un altro sorriso ad Angelica. Aldo era un uomo simpatico, ottimista, di aspetto gradevole, anche se a volte vestiva in modo trasandato, poco conforme al suo ruolo di dirigente di una grande fabbrica di elettrodomestici. Lui e Giorgia formavano una coppia perfetta, ed Angelica li amava tantissimo, erano tutta la sua famiglia, le persone su cui poter contare nei momenti di bisogno.

    All’improvviso, il campanello squillò ancora e Angelica andò ad aprire: era Marika l’amichetta di Beatrice, accompagnata dalla mamma, una giovane donna sui trentacinque anni amica di Angelica, infermiera professionale all’ospedale.

    << Che tempaccio, scusa il ritardo! >> Le disse Sabrina entrando, e mentre la piccola Marika si allontanava di corsa chiamando Beatrice a squarciagola, continuò:

    << Mi dispiace, ma non posso restare, purtroppo devo sostituire una collega ammalata e mio marito ha un’importante cena di lavoro, è stato deciso tutto all’improvviso, ci saranno tutti i soci della sua azienda e non ha potuto rifiutare >> concluse imbarazzata ed Angelica dispiaciuta le disse:

    << Capisco, il lavoro è lavoro, ma che cos’ha la tua collega? >>

    << A letto con la febbre, questo virus influenzale quest’anno è micidiale, anche la mia babysitter si è ammalata, e… a questo proposito vorrei chiederti un favore, sicuramente mio marito tornerà tardi stasera, ti dispiace se Marika resta qui stanotte? Domattina verrò a prenderla io stessa. >>

    << Non c’ è nessun problema Sabrina, farai felice mia figlia lo sai. >> Lei la ringraziò e andò via. Ritornando nel salone, Angelica trovò Beatrice e Marika che giocavano con Aldo rotolandosi sul tappeto.

    << No, non vale, siete due contro uno! >> Diceva lui fingendo di difendersi.

    Giorgia guardava la scena divertita.

    << Se qualcuno dei suoi collaboratori lo vedesse in questo momento…>> le disse << ecco Aldo Marchetti, uomo di grande prestigio e serietà! >>

    Angelica rise di gusto e rispose: << E’ un uomo meraviglioso, e il fatto che si sappia divertire è un altro pregio in più; non dirmi che avresti preferito un manichino per marito, uno di quelli sempre preoccupati con un musone lungo così. >>

    << Dio me ne liberi! Il mio matrimonio sarebbe durato un secondo, invece sono già quattro anni che stiamo insieme, lui ha fatto di me una donna felice >> disse lei e accarezzò suo marito con lo sguardo.

    << Non sai quanto le tue parole mi riempiono di gioia e… se tuo fratello fosse qui, ne sarebbe felice pure lui, ci teneva così tanto a te.>>

    A quelle parole il viso di Giorgia si rabbuiò: << E’ meglio non toccare questo tasto stasera o ci rovineremo la gioia della festa. >>

    << Hai ragione, è meglio non parlarne, oggi è il compleanno di Beatrice e dobbiamo cacciare via i tristi ricordi.

    >> In quel momento il campanello suonò ancora.

    << Vado io. >> Disse Angelica, immaginando che fosse il professore. Infatti, poco dopo, Edoardo Gironi fece il suo ingresso nel salone: era un uomo sulla cinquantina, di bell’aspetto, occhi e capelli neri, elegante, raffinato e ben curato. Angelica lo presentò ai suoi cognati che l’accolsero con molta cordialità.

    Lui, dopo aver fatto gli auguri a Beatrice e salutato la sua amichetta, volse lo sguardo intorno: << Carino qui! >> Esclamò, poi sprofondò sul divano con grande sollievo.

    << Vi confesso che sono esausto, >> continuò << ritorno adesso da un congresso, il mio aereo doveva arrivare qui a Roma a mezzogiorno e invece è atterrato solo un’ora fa. >>

    << Colpa del brutto tempo? >> Gli chiese Angelica e lui rispose:

    << Colpa degli scioperi del personale degli aeroporti, che non riescono a capire i disagi che possono provocare nei passeggeri, costretti a restare lì per ore. >>

    << Gli scioperi sono fatti per questo, per creare disagi no? >> Gli disse Aldo sedendosi accanto a lui << altrimenti a nessuno verrebbe in mente di ascoltare quei poveretti, >> continuò << e poi secondo me, sono anche istruttivi dal punto di vista socio-culturale. >> Il professore si volse a guardarlo e ridendo gli chiese:

    << Volete scherzare? >>

    <> Giorgia rise dicendo: << Amor mio, potevi dirmelo prima, ti avrei fatto risparmiare, pensa che per imparare l’inglese e il tedesco ho speso duemila euro, invece bastava informarsi sui vari scioperi dei prossimi mesi. >>

    Il professor Gironi rise di gusto e Angelica gli disse: << Non faccia caso a questi due, sono capaci di continuare così per tutta la serata sa?>>

    << Meglio, ho proprio bisogno di allegria stasera che mi faccia passare la stanchezza e il malumore accumulato durante questa pesante giornata >> rispose lui.

    Più tardi, seduti a tavola, mentre Angelica gli porgeva un vassoio di tartine al tartufo, lui sentì il dovere di farle un complimento: << Sei splendida stasera, hai cambiato pettinatura o mi sbaglio? >>

    << Non vi sbagliate professore, li ho tagliati un pochino e non li ho lisciati, questi riccioli sono naturali. >> Rispose lei sorridendo.

    << Dovresti lasciarli sempre così, ti danno un’aria più sbarazzina e anche quei riflessi sul dorato ti donano parecchio, fanno risaltare ancor di più i tuoi splendidi occhi verdi. >> Lei cercò di nascondere l’imbarazzo che quelle parole le provocarono, sotto un altro sorriso garbato, poi con una scusa, si alzò da tavola e si rifugiò in cucina. Con un senso di stizza aprì il frigo e prese della coca cola fresca da portare in tavola, ma non aveva nessuna voglia di ritornare nel salone e indugiò per qualche minuto. Poco dopo, fu raggiunta da Giorgia che notando il suo disagio le disse:

    << Che ti succede? I complimenti del professore ti hanno messa in crisi? Eppure dovresti esserci abituata, state tutto il giorno insieme voi due. >>

    << Ti sbagli se pensi che ci sia abituata, perché non è sempre stato così tra di noi, è da due anni che sono la sua assistente e solo da poco lui ha incominciato a guardarmi con occhi diversi. >>

    << Dovresti esserne lusingata, un uomo come lui, con la sua intelligenza, il suo prestigio e il suo fascino, ma quando mai ti capiterà un’altra fortuna simile? >>

    Angelica si volse a guardarla e con voce carica di dolore rispose:

    << Forse hai dimenticato che sono la moglie di tuo fratello! >>

    << Per tua disgrazia purtroppo! Non voglio essere retorica e

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