Abramo Lincoln
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L'autore
Antonio Agresti (1866-1927) è stato un traduttore e appassionato studioso degli Stati Uniti d'America.
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Anteprima del libro
Abramo Lincoln - Antonio Agresti
(1913)
Abramo Lincoln
Scoccano certe ore, nella giornata dei popoli, che sono come il riassunto dei tempi che le precedettero; che sembrano essere il punto culminante d’un periodo ed al momento stesso il primo istante di un’era nuova.
Sono ore crepuscolari di angoscia e di gioia; tramonto ed alba ad un tempo.
È in quelle epoche che si svolgono i grandi fatti della storia; i popoli sono allora ad un bivio della loro via di fatti nei secoli.
Sembra, allora, che un’opera di riconquista e di risarcimento, una grande opera di giustizia si compia; soprattutto di giustizia.
Sono lunghi antichi anni di martirio che vengono ad esigere la loro glorificazione; sono ombre di dimenticati – sovente di vilipese vittime – che tornano a chiedere il posto che loro spetta nel mondo; sono, soprattutto, fatti nuovi che cancellano vecchie forme, che infirmano leggi adusate, che distruggono male acquisiti diritti; sono vie nuove che si aprono al progresso di uno o di tutti i popoli; passi avanti, rapidi qualche volta, faticosi sempre, ma sempre egualmente gloriosi, verso una meta di eterna giustizia che non appare chiara a tutti gli uomini, ma verso la quale, inconsci, i popoli procedono infaticabilmente, dal giorno che più famiglie si unirono per la caccia, per la difesa, per la offesa; dai primordi della umanità.
È in quelle ore che l’inutile tiranno sente pesare su di sé la inesorabile mano del fato; è in quelle ore che il popolo oppressore sente che l’oppresso può, deve sollevarsi e si solleva; è in quelle ore che una forza, che sembra estranea alle forze degli uomini, padrona degli uomini e delle cose, li strazia, li torce, li tormenta; fa più duri e più ciechi, e più feroci i carnefici, suscita a centinaia i martiri, a migliaia i combattenti e per il lungo cammino, rosso di sangue, sparso di cadaveri, sospinge e trascina ad una opera di giustizia un popolo e con lui e per lui la umanità.
Come e perché questa giustizia operi è vano, almeno qui, indagare; come esista questa forza e di qual natura sia essa, è ancor vano cercare; riassumendo i fatti, a lunga distanza di tempo, se ne vede l’operato, se ne scorgono i decreti attuati e questo deve essere tanto che basti per gli uomini.
È nelle ore in cui opera questa suprema giustizia, che sorgono d’in mezzo alle folle gli uomini provvidenziali, gli uomini fatali; quelli che sembrano creati per compiere l’opera e quella compiuta scompaiono, trascinati via da un breve morbo, da un colpo di ferro, da una subitanea disfatta; tolti via rapidamente, come rapidamente sorsero, quasi che la forza che li suscitò non voglia permettere loro di essere gli spettatori, e forse i distruttori, della opera da loro, sotto l’imperio di una inevitabile fatalità, compiuta.
Essi vengono come da plaghe remote. Più antichi del loro tempo, per il loro tempo troppo giovani, si rendono immediatamente padroni dei destini del loro tempo; ne intuiscono i bisogni, ne vedono la via, oscura per tutti, a traverso il labirinto inestricabile dei fatti, e per quella via, che è la sola buona, cacciano la folla umana, maledetti, maledicenti, odiati, forti, insensibili ai dolori altrui, più insensibili ancora ai dolori proprii; anime corazzate di fatalità inesorabili, profonde come i più profondi abissi dell’Oceano, terse come sereni cieli di primavera, dritte come lame di spada, serene, dure, pieghevoli ed inflessibili insieme, strumenti perfetti d’un’opera meravigliosa, unica per quel tempo nei tempi.
Vengono, per lo più, da folle oscure, da origini umili e lontane, dagli strati bassi della umanità, dove pare che d’ogni vita fermentino i germi; ed appena comparsi alla luce dei fatti si impadroniscono di ciò che costituisce l’ora necessaria, ed operano.
Ci sono in essi tutte le capacità, tutte le forze, tutte le audacie; essi creano intorno a se stessi – per lo scopo supremo dell’opera loro – gli uomini, i fatti,