Obama dietro la maschera: La strategia dell'illusione: golpismo mondiale dietro un fantoccio di wall street
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Info su questo ebook
Brzezinski, uno dei fondatori dell’inquietante Commissione Trilaterale, reclutò Obama alla Columbia University e oggi, tramite il suo pupillo, internamente proclama l’austerità e il sacrificio per le famiglie dei lavoratori americani per salvare dal fallimento i finanzieri di Wall Street, mentre a livello internazionale lavora per portare allo scontro le Potenze avversarie con tutti i mezzi possibili. Il tutto per riaffermare il primato degli Stati Uniti nel Mondo e bloccare sul nascere il multilateratismo.
L’analisi qui riportata offusca parecchio la maschera progressista e pacifista che l’Obama della prima ora ha indossato nella sua lunga performance pre-elettorale e mette in luce tutte le contraddizioni di una Presidenza molto più reazionaria di quello che la politica americana può apparire a prima vista.
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Anteprima del libro
Obama dietro la maschera - Webster Griffin Tarpley
Obama dietro la maschera
di Webster Griffin Tarpley
Se è difficile conoscere cosa sia la verità,
a volte è molto facile riconoscere una falsità.
Albert Einstein
© Fuoco Edizioni - www.fuoco-edizioni.it
1^ Edizione italiana- Luglio 2011
ISBN 9-78889736316-3
Titolo originale dell’opera: Obama: The Postmodern Coup - Making of a Manchurian Candidate, Progressive Press, Joshua Tree, California, June 2008.
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi microfilm e copie fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi.
Traduzione dall’inglese di Beniamino Soressi
Proofreading di Irene Maiorano
Editing di Luca Donadei
Table Of Contents
Prefazione all’edizione italiana
Introduzione – Occorre smascherare Obama… da sinistra.
Capitolo 1 – Una rivoluzione colorata della CIA in USA.
Capitolo 2 – I padroni di Obama: consiglieri, consulenti e finanziatori.
Capitolo 3 – Prima allerta: occhio a Obama e ai suoi falchi guerrafondai
.
Capitolo 4 – Uno specchio per Obama: Jimmy Carter, 1977-1981
Note bibliografiche
Prefazione all’edizione italiana
La prima edizione di questo libro è apparsa negli Stati Uniti ad aprile del 2008, durante le primarie presidenziali del Partito Democratico, dalle quali, l’allora sconosciuto senatore Barak Obama, sarebbe poi uscito vincitore.
L’analisi qui presente era stata pensata come un monito rivolto agli elettori per informarli che Obama altro non era che un freddo trasformista che avrebbe tradito presto le loro speranze. Durante la stessa campagna elettorale era emerso un certo numero di studi critici a lui dedicati da parte di esponenti di destra, ma si trattava solo di critiche più o meno infondate, con molti elementi di pura fantasia. La mia opera rimane, invece, l’unico smascheramento
su Barak Obama da un punto di vista progressista.
In particolare, mi accorsi di come il futuro 44° Presidente degli Stati Uniti non fosse altro che una fotocopia dell’ex inquilino democratico alla Casa Bianca Jimmy Carter, in carica dal 1977 al 1980: un personaggio artificiale, manipolato, preparato e promosso dai banchieri di Wall Street raccolti attorno alla famigerata Commissione Trilaterale, l’organizzazione, fondata nel 1973 per iniziativa di David Rockefeller, allora presidente della Chase Manhattan Bank, e di altri dirigenti del gruppo Bilderberg e del Council on Foreign Relations, che include ancora oggi figure come Zbigniew Brzezinski e Hanry Kissinger. Questi banchieri, insomma, oggi come allora, non vogliono in alcun modo che sia rieletto un altro presidente americano del calibro ad esempio di Franklin D. Roosevelt; pertanto ogni qualvolta si presentano circostanze favorevoli per un ritorno del New Deal, fanno tutto il possibile per far abortire quel potenziale progetto, facendo eleggere uno dei loro fantocci
. Nel 2008 questo fantoccio di Wall Street era Barak Obama.
Obama ha impostato tutta la campagna presidenziale presentandosi come un messia
della politica, utilizzando dichiarazioni utopistiche e una retorica illusionistica. Ciò gli ha permesso, grazie anche al suo indubbio carisma e all’immagine di homo novus, di evitare molti impegni politici specifici, ma il rovescio della medaglia ha ben presto servito un’amara delusione a tutti coloro che in Obama avevano riposto le loro speranze di cambiamento. Infatti, già gli osservatori e critici più attenti hanno ben capito che egli nasconde in realtà propositi guerrafondai in Asia centrale, Nord Africa e Iran, oltre a mire neoliberali sulla globalizzazione finanziaria.
Durante la campagna elettorale, Obama e il suo entourage hanno messo in pratica molte tecniche di manipolazione e frode di massa, addirittura le stesse già utilizzate dalle agenzie di intelligence statunitensi per organizzare le famose rivoluzioni colorate in Paesi come Ucraina, Georgia e diversi altri nella prima decade di questo secolo.
Oggi a tre anni dall’insediamento di Obama alla Casa Bianca, la tesi analizzata in questo libro è stata ampiamente confermata.
Come fautore di interventi armati, Obama ha inviato più truppe da combattimento statunitensi in Medio Oriente ed Asia di quanto ne abbiano mai inviate Bush e Cheney. Se è vero che il contingente militare in Iraq sia stato gradualmente diminuito, è anche vero che in realtà la maggior parte di queste forze è stata semplicemente trasferita in Afghanistan, dove si sta duplicando il genocidio perpetrato in Iraq. Nel suo famigerato discorso a West Point, nel dicembre 2009, Obama di fatto aveva dichiarato guerra al Pakistan, cercando di esportare il conflitto civile afgano nel Paese confinante, con lo scopo di minare e distruggere dalle fondamenta il governo centrale di Islamabad, questo perchè il governo pakistano si sta pericolosamente avvicinando alla Repubblica Popolare Cinese, rischiando di rendere inutile quel cordone sanitario cinto intorno al Celeste Impero per bloccarne il rifornimento di materie prime.
Da allievo modello di Brzezinski, Obama ha anche utilizzato metodi di sovversione e destabilizzazione stile power people. Nel giugno 2009, l’Amministrazione democratica prese di mira l’Iran con la cosiddetta Twitter Revolution
, una strategia pianificata nel dettaglio per eliminare uno dei principali nodi di resistenza all’imperialismo statunitense nel mondo islamico.
Verso la fine del 2010, una campagna di semi-informazione, organizzata in realtà dalla CIA, sotto le mentite spoglie di Wikileaks, denunciava un assalto generale da parte americana a Medio Oriente e Mediterraneo. Tramite funzionari della Casa Bianca, come Cass Sustein e Samantha Power, Obama è stato intimamente coinvolto nei dettagli di queste destabilizzazioni pianificate che hanno imperversato in tutto il mondo arabo, abbattendo i governi della Tunisia e dell’Egitto e causando una guerra civile in Libia. Questa strategia è equivalente all’imperialismo di Bush e Cheney, ma è condotta sotto un più raffinato disegno d’inganni e ipocrisie, in modo tale da ottenere l’appoggio dell’Europa.
La primavera araba
, o risveglio arabo
, iniziato nel gennaio 2011, rappresenta un attacco mosso dalle forze imperiali di Stati Uniti e Regno Unito. Negli ultimi anni, sempre più nazioni – non volendo più accettare il giogo del Fondo Monetario Internazionale, della Banca Mondiale e del WTO – hanno varato dei tentativi per sottrarsi al predominio soffocante dei finanzieri di Londra e di Wall Street. C’è chi si orienta verso la Russia (Arabia Saudita, Libia e Siria), chi verso la Cina (Pakistan, Afghanistan, Algeria e i Paesi africani in genere), chi verso l’Iran (Iraq, Siria e Hezbollah), e chi tenta, come la Turchia, di erigere se stessa come polo d’attrazione per altre nazioni. La risposta della CIA consiste nel progetto, da tempo in atto, di distruggere ogni governo che sia divenuto troppo indipendente da Washington, sostituendolo dove ci fosse la necessità, anche con signori della guerra e boss del narcotraffico (come l’UCK in Kosovo). Serbia e Sudan sono stati formalmente spaccati in due, e la stessa sorte, della secessione e della balcanizzazione, attende la Libia, lo Yemen, l’Iraq, la Siria, la Turchia, l’Iran e tanti altri, fino ad arrivare alla Russia e alla Cina, se Washington riuscirà ad imporsi.
Oggi siamo ormai alla quarta generazione delle rivoluzioni colorate, dopo la prima fase (gli inizi, dalla Francia, all’Iran, alle Filippine, 1968-1986), la seconda fase (il rovesciamento dei regimi comunisti e post-comunisti, 1989-2000) e la terza fase (massimo successo del modello serbo di Otpor, 2000-2007). La quarta fase inizia proprio con la campagna elettorale di Obama, caratterizzata, in particolare, da un uso capillare di Facebook, Twitter e altri media sociali, oltre a blogger spesso reclutati presso i disoccupati dei call centers di Bangalore in India. Una tecnica adesso utilizzata dall’US Cybercommand del Pentagono e dall’US Africom, che stanno dirigendo le destabilizzazioni in corso ad esempio in Siria. Queste tecniche di quarta generazione sono, però anche quelle fallite in Iran nell’estate del 2009, ma che hanno avuto successo in altri Paesi, abbinate a golpe militari orchestrati dalla CIA.
Tale strategia si può ben riscontrare nello scenario libico, e potrebbe essere presto ripetuta in altri Paesi, come la Bielorussia. Se questa rivoluzione colorata fosse sconfitta in Nord Africa, allora potrà intervenire più massicciamente la NATO per difendere i suoi ribelli, ma se ciò avvenisse in Bielorussia, l’arrivo da Ovest, ad esempio, di truppe polacche potrebbe provocare l’ingresso dall’Est di truppe russe, causando lo scontro frontale dei due blocchi termonucleari, come nel peggior scenario della Guerra Fredda.
Obama si è messo al servizio dell’egemonia statunitense promossa dai finanzieri di Wall Street, agendo tra l’altro come affossatore di quei movimenti di protesta popolare emersi durante il regime di Bush e Cheney. Infatti, grazie a lui, ampie frange del movimento per la pace, del movimento per l’impeachment e del movimento per la verità sull’11 settembre hanno cessato semplicemente di esistere. Questo sarà senza dubbio uno dei principali vantaggi competitivi di Obama quando si avvicinerà a Wall Street in cerca di contributi in vista della campagna presidenziale per il 2012.
La capacità di Obama di mobilitare persino la sinistra pacifista per i suoi disegni di aggressione si è vista sopratutto con l’attacco alla Libia, iniziato il 19 marzo 2011, ironicamente l’anniversario dell’aggressione di Bush contro l’Iraq otto anni prima. Gran parte della pseuodo-sinistra, pagata dalle fondazioni reazionarie e nell’orbita dell’ala sinistra della CIA, ha agito come claque per questa nuova guerra imperialistica ora in atto.
Tale trend si è esasperato dopo il 1° maggio 2011, quando Obama ha sostenuto che le forze speciali americane avevano ucciso Osama Bin Laden. La tesi era assurda, infatti lo sceicco del terrore era già morto nel 2001-2002 (come ha scritto anche il giornalista Guido Olimpio sul Corriere della Sera il 10 maggio 2003, citando l’arabista francese Ghislaine Alleaume). È stato chiaro che l’operazione aveva come bersaglio reale il Pakistan, che doveva essere punito come nazione perché, oltre ad essere alleato della Cina, aveva osato stringere un’alleanza con l’Arabia Saudita al fine di permettere ad entrambe queste nazioni di uscire dal grande naufragio dell’impero anglo-americano.
Anche nelle sue politiche economiche, Obama ha agito da burattino dei grandi banchieri americani. Si è circondato di agenti di Wall Street, come il Segretario del Tesoro Geithner, il fautore dei derivati Larry Summers e l’ex boss della Federal Reserve Paul Adolf Volker. Egli è riuscito a rinominare per un secondo mandato l’uomo di Bush alla Federal Reserve: Ben Bernanke. Il nuovo Chief of Staff di Obama alla Casa Bianca è l’ex banchiere della J. P. Morgan, Chase William Daley e si potrebbero citare molti altri esempi. Anche qui Obama è stato un utile strumento nello spegnimento degli impulsi creatisi per una radicale riforma di Wall Street, specialmente riguardo ai derivati tossici. Il disegno di legge Dodd-Frank per la regolazione finanziaria, approvato nel 2010 e firmato da Obama, è una vittoria della finanza di Wall Street impedendo di fatto qualunque azione di riforma del sistema finanziario americano.
Nel dicembre 2010, Obama è