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De Motu Sanguinis
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De Motu Sanguinis
E-book46 pagine32 minuti

De Motu Sanguinis

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Info su questo ebook

Genova, 1528. La peste dilaga nella città. Ignazio, guardia cittadina di stanza alle carceri, viene coinvolto in un misterioso scambio di missive tra un medico italiano e un medico francese rinchiuso in prigione, che nasconde un terribile segreto. Per salvare la moglie gravemente malata, Ignazio è disposto a tutto, ma le sue azioni lo porteranno a incontrare una creatura antica, assetata di sangue.
LinguaItaliano
EditoreNero Press
Data di uscita16 feb 2014
ISBN9788898739059
De Motu Sanguinis

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    De Motu Sanguinis - Paolo Di Pierdomenico

    Insonnia

    De motu sanguinis

    di Paolo Di Pierdomenico

    Produzione: Laura Platamone

    Editing: Daniele Picciuti

    ISBN: 9788898739059

    Nero Press Edizioni 

    http://nerocafe.net

    Edizione digitale Febbraio 2014

    Indice

    PARTE PRIMA

    PARTE SECONDA

    PARTE TERZA

    Paolo di Pierdomenico

    De motu sanguinis

    Mosè allora fece un serpente di bronzo

    e lo mise sopra un’asta;

    e avveniva che,

    quando un serpente mordeva qualcuno,

    se questi guardava il serpente di bronzo,

    restava in vita.

    Numeri, 21:9

    PARTE PRIMA

    Giano Bifronte

    I

    Correre. Devo continuare a correre, ma mi sento mancare il fiato. Oramai sono quasi sotto casa. Ecco il portone, la via è deserta. Solo una vecchia inginocchiata sull’uscio che piange e prega. Li sento, i campanacci del carro degli appestati. Non è lontano, forse deve ancora arrivare, forse sono in tempo. Forse, mi dico, non l’hanno ancora presa.

    Spalanco la porta. La chiamo, Martina, come se potesse rispondere. Guardo nella stanza: non c’è. Mi precipito fuori e con l’aria fredda che brucia la gola riprendo a correre verso i campanacci, che mi guidano nel vicolo, poi nell’altra strada. In fondo alla via, ecco il carro. Una montagna di teste, gambe e braccia che sporgono, grigie, morte. Le ruote di legno vecchio, trainate da muli e spinte da uomini col cappuccio, gemono il lamento dei defunti. Lei è viva, lo so. Il sudore cola sugli occhi, il fetore della morte torce le viscere. Ci sono due guardie del Banco, alabardieri, naso e bocca coperti dagli stracci.

    Scruto il mucchio di corpi finché vedo il pallore del suo viso. Sfodero la spada: «È viva!» urlo agli armati che alla vista della lama mi si parano di fronte.

    Mi getto in avanti; uno m’incalza, d’anticipo devio il colpo e mi avvicino tanto da menargli di piatto sopra l’orecchio. Si piega sulle ginocchia, stordito.

    L’altro è più cauto, vuole bloccarmi ma qui la strada è larga. Scatto alla sua sinistra. Da quel lato ha meno braccio; affonda, ma l’alabarda non mi raggiunge e l’oltrepasso. Quando si gira e cambia impugnatura, inverto direzione, gli vado addosso, punto la spada alla gola e con la sinistra afferro l’asta dell’arma. Si arrende.

    «Mia moglie è ancora viva».

    Un uomo col camice bianco corto e i capelli legati come un marinaio si avvicina: «La portiamo al lazzaretto, secondo i decreti».

    «No. Rendetemela». Non si sopravvive al lazzaretto. Stanze senza finestre, né letti, né tavole, né casse, neppure un pugno di paglia per coricarsi.

    «Chi sei?»

    «Ignazio Musti da Loano, soldato di Genova di stanza alle carceri. E qui c’è mia moglie Martina».

    La indico.

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