Da Caporetto a Vittorio Veneto: A cura di Marco Piva
Di Angelo Sommer e Marco Piva
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Info su questo ebook
L’autore ha partecipato come ufficiale, prima in fanteria e poi tra gli arditi, all’ultimo anno della Grande Guerra e in seguito ha rielaborato gli appunti presi durante il conflitto. Il lavoro è frammentario, ma le sue pagine conservano la freschezza di un taccuino. Riferiscono un’esperienza bellica particolare anche perché combattuta in località conosciute e amate: “Sensazione strana, mista di dolore e di stupore, questa della guerra in luoghi familiari, quasi in casa propria, pieni di tanti ricordi lieti”. Testimoniano come un combattente attento e scrupoloso abbia vissuto la sua guerra, consapevole di essere un “atomo in mezzo a un cataclisma”.
Sullo sfondo le vicende di una generazione che, travolta dall’incubo di due guerre mondiali, ha visto più volte frantumarsi certezze e speranze apparentemente incrollabili.
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Anteprima del libro
Da Caporetto a Vittorio Veneto - Angelo Sommer
dell'editore.
Prefazione
Durante un trasloco, la mia famiglia ha trovato uno scatolone pieno di quaderni appartenuti a mio nonno, Angelo Sommer. Abbiamo ovviamente sempre saputo che aveva combattuto nella prima guerra mondiale, e da ufficiale (perché aveva un diploma di scuola superiore ed era addirittura iscritto all’università), ma personalmente non ero a conoscenza di questi quaderni. Vi abbiamo trovato una quantità di aneddoti e di impressioni personali che ci è sembrato valesse la pena di pubblicare, e con l’aiuto del gentilissimo Andrea Tralli di Panda Edizioni ci è ora possibile mettere queste sue memorie a disposizione di chiunque fosse interessato.
Il nonno (che è venuto a mancare nel 1990, quando avevo 15 anni) mi ha sempre raccontato aneddoti riguardo alla sua esperienza al fronte e in trincea, naturalmente limitandosi a quelli più adatti a un bambino – ovvero a quelli meno cruenti. Ricordo in particolare la storia del coperchio di legno usato per dimostrare ai superiori di essere davvero stato in ricognizione, che viene riferita in dettaglio in questo libro. Si tratta di un episodio divertente, simpatico, allegro. Si era sempre assicurato, comunque, di farmi capire quanto brutta fosse la guerra – tanto che da bambino temevo anche la Polizia, sapendo che gli agenti giravano armati. In fondo non gli era difficile: aveva un orecchio mangiato
da schegge di bomba, e ne portava più d’una tra le costole.
Queste memorie, basate su appunti poi persi o buttati via, sono evidentemente state stese dopo la fine della guerra, come conferma anche una pagina di diario del 1940 che abbiamo inserito al termine del racconto principale: nonostante il titolo Da Caporetto a Vittorio Veneto, da lui scelto, il racconto vero e proprio si conclude sull’Altopiano di Asiago, a fine ottobre 1918.
Da un foglio di carta velina nel quale il nonno aveva riportato la collocazione degli episodi di guerra all’interno dei suoi numerosi quaderni, apprendiamo che inizialmente era sua intenzione continuare il racconto fino a includervi la campagna fiumana cui aveva partecipato tra il 1919 e il 1920. In seguito, come si ricava dalla già citata pagina del 1940, decise di interrompere definitivamente tale lavoro; i motivi di questa decisione si possono facilmente intuire pensando agli eventi che proprio in quell’anno hanno cambiato il corso della storia.
Aggiungiamo anche una pagina scritta nel 1984 all’interno di una riflessione riguardo ad alcuni fenomeni paranormali
che riteneva gli fossero accaduti. Si tratta di due episodi della sua vita in guerra, citati tra numerosi altri esempi particolareggiati riferiti in gran parte a molti anni dopo.
Il testo è scritto con una mano precisa, curata, che era caratteristica del nonno (ho imparato a riconoscerla grazie alle dediche che mi faceva ogni volta che mi regalava un libro). È molto facile da decifrare, nonostante numerose correzioni e cancellature. A margine si trovano diverse annotazioni che talvolta rivelano il destino futuro di questo o quel commilitone o ufficiale superiore. Visto che naturalmente questi particolari non potevano essergli noti nella data dell’episodio descritto, abbiamo un’ulteriore conferma del fatto che la stesura di questo racconto è avvenuta in anni successivi. Tali appunti sono qui inseriti a pie' di pagina. Tutte queste note sono quindi presenti nel testo originale: in un caso si legge anche nota del 1965
, segno evidente che il nonno è tornato spesso su queste pagine. Le sigle o i termini che abbiamo ritenuto potessero richiedere qualche precisazione sono invece spiegati in coda a questo volume in un piccolo glossario, che consigliamo di consultare.
Abbiamo scelto di conservare la grafia originale anche nel caso di parole che oggigiorno si scrivono in maniera diversa. Si troverà quindi, per esempio, menzione di un ubbriaco
e di un binoccolo
e si leggerà di gente accampata sur un argine
o che cammina lungo i binarî
.
Alle memorie si alterna il testo delle cartoline postali inviate alla famiglia e accuratamente conservate. Alcune trattano di argomenti quotidiani, banali, mentre altre rivelano aspetti interessanti della vita di trincea; è grazie a una di queste che leggiamo i dettagli delle ferite – ricevute tra l’altro nel giorno del ventunesimo compleanno.
Vi abbiamo aggiunto anche alcune fotografie che il nonno aveva scattato sul fronte e accuratamente conservato, con didascalie precise che spiegano chi vi è ritratto, in due album di cartoncino marrone scuro, rilegati a mano.
Questa pubblicazione non ha la presunzione di raccontare la storia della Grande Guerra; si tratta invece della storia particolare di un uomo, un ufficiale di una certa cultura che ha deciso, per nostra fortuna, di affidare alla carta le sue esperienze e le sue impressioni, dalle riflessioni sulla paura della disfatta alla gioia per la riscossa, dagli sfoghi contro alcuni ufficiali superiori agli attestati di stima nei confronti di altri, dalle storielle divertenti agli avvenimenti tragici.
Se mi posso permettere una divagazione personale, vorrei concludere dicendo che copiare queste pagine mi ha consentito di passare ancora qualche ora in compagnia del nonno, sotto lo sguardo vigile di un piccolo (ma pesantissimo) busto di Dante che gli era appartenuto. Farlo mi ha dato modo di conoscere meglio quell’uomo che ho incontrato già anziano, leggendo quello che pensava e faceva quando aveva la metà dei miei anni, anche se in una situazione che fortunatamente non ho mai dovuto né mai dovrò affrontare.
Per me, il nonno Angelo è sempre stato quel distinto signore ultraottantenne (quando sono nato aveva 77 anni, e naturalmente non ho ricordi chiari dei miei primissimi anni di vita) che camminava con il bastone e mi offriva la cioccolata – rigorosamente con la panna – al Caffè Pedrocchi una volta all’anno, quello che mi ha aiutato a imparare a leggere, quello che secondo me bambino era depositario dell’intero scibile umano (tanto che ricordo bene di aver urlato, da piccolo, Il nonno sa tutto
in un’occasione in cui mia mamma gli aveva dato torto riguardo a un qualche dettaglio) nonostante lui stesso, socraticamente, ripetesse spesso: L’unica cosa che so è di non sapere
. Certo, sappiamo tutti che una volta i nostri nonni sono stati bambini, ragazzi e giovani, ma trascrivendo queste pagine ho avuto l’opportunità di tornare in contatto con lui com’era quasi sessant’anni prima che nascessi. E mi ritengo fortunato per questo.
Profilo di Angelo Sommer
Una figlia non è la persona più indicata per stendere un profilo di suo padre. È stato un compito particolarmente difficile per me, che con mio padre ho avuto un rapporto intensissimo che – forse proprio per questo – col tempo è diventato anche conflittuale.
Ho scritto queste pagine con impegno, fatica e amore, cercando di contenere l’onda dei ricordi, della nostalgia, dei sentimenti contrastanti entro un quadro grossomodo cronologico e di mettere in evidenza solo quanto mi sembrava utile per illuminare la lunga e complessa vita di quell’ufficiale ventenne che si comportò così coraggiosamente nella prima guerra mondiale.
L’origine della famiglia
Le prime notizie certe sulla nostra famiglia risalgono al mio bisnonno Bernardo, che si era trasferito dall’Ungheria a Udine intorno agli anni Sessanta del secolo XIX, senza uscire dai confini dell’impero austro-ungarico.
I Sommer erano ebrei e il loro cognome, abbastanza frequente fra gli israeliti, si pronuncerebbe Shomèr: ma, nella pronuncia ungherese e poi italiana, è diventato uguale all’ancor più comune cognome tedesco.
Il primo figlio di Bernardo Sommer era mio nonno Ignazio, che a un certo punto si fece chiamare così, ma aveva come primo nome Abramo e come secondo Isacco. La sua data di nascita – 21 dicembre 1866 – conferma quanto papà amava ripetere: se fosse nato poco prima, il nonno Ignazio sarebbe stato suddito di Francesco Giuseppe.
In seguito il bisnonno Bernardo si trasferì a Padova, dove, dopo il matrimonio di Ignazio con Annetta Tedeschi di Casale Monferrato, il 31 ottobre 1897 nacque mio padre, il loro primo e unico figlio, che si chiamava Angelo in ricordo di uno zio morto da poco e aveva come secondo nome quello di suo nonno Bernardo.
I Sommer possedevano una piccola ma allora rinomata ditta che fabbricava essenze di liquori: questa è l’attività che ha dato da vivere dignitosamente alla famiglia del mio bisnonno, poi a quella di mio nonno e alla nostra, fino a essere gestita da mio fratello Francesco.
Gli anni della scuola
Papà frequentò le elementari a Padova, ma, dopo il trasloco dei suoi a Mestre, studiò al ginnasio-liceo Marco Foscarini di Venezia, dove otteneva ottimi risultati.
Nel frattempo si dedicava allo studio del violino. La sua più forte passione era la musica e avrebbe voluto diventare un violinista. Ma – come raccontava – suo padre non glielo aveva permesso, perché quasi tutti i musicisti fanno la fame e al massimo vanno a suonare in un caffè
.
Così, nella convinzione che la letteratura fosse stretta parente della musica, dopo il liceo si iscrisse alla facoltà di lettere a Padova, dove i suoi si erano nuovamente trasferiti.
L’università, la guerra, l’impresa fiumana
La sua frequenza all’università fu interrotta dal servizio militare durante la Grande Guerra e dalla successiva partecipazione all’impresa di Fiume.
L’ho sentito affermare di essere stato contrario all’intervento contro l’Austria. Diceva anche che avrebbe potuto evitare di arruolarsi se si fosse fatto assumere come impiegato nella fabbrica milanese di uno zio materno che produceva materiali per l’esercito: ma non gli piaceva fare la parte dell’imboscato e aveva voluto servire la patria come gli altri giovani della sua generazione.
Una volta gli chiesi che cosa lo avesse spinto a partire per Fiume dopo l’esperienza della guerra. La sua risposta fu: non ero più a mio agio in abiti civili
. Certamente le motivazioni di questa scelta saranno state più complesse e magari preferiva non rivelarle dettagliatamente a sua figlia, quando ormai correvano gli anni Sessanta del secolo scorso.
Il nome di mio padre non compare nell’Elenco ufficiale dei legionari fiumani depositato presso la Fondazione del Vittoriale. Ma a Fiume e a Zara c’era stato di