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Cospirazione Virale
Cospirazione Virale
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E-book262 pagine5 ore

Cospirazione Virale

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Info su questo ebook

Giacomo Aldobrandi, un rinomato ricercatore, scopre la formula per curare l’HIV. Si sente immensamente felice: la sua scoperta contribuirà a salvare milioni di vite in tutto il mondo. Per lui significherà, quasi sicuramente, ricevere il Premio Nobel per la medicina, qualcosa che ha sempre sognato ma che non aveva mai creduto di poter ottenere.

Ma prima che possa rendere pubblico il suo lavoro, qualcuno cerca di ucciderlo. Giacomo è vittima di una cospirazione su larga scala organizzata dalla Corporazione Ambra Nera, che rappresenta gli interessi dell’industria farmaceutica e che non è affatto disposta a rinunciare agli ingenti guadagni garantiti dalla vendita dei medicinali per le terapie croniche per l'HIV.

PREMIO ESCRIDUENDE AL MIGLIOR ROMANZO THRILLER 2015, FIERA DEL LIBRO DI MADRID.

PREMIO INFINITO AL MIGLIOR ROMANZO THRILLER 2016.

 

"Il romanzo del giovane Martín García rivela una maestria narrativa poco comune all’età dell’autore." José Menéndez - ex Magistrato del Tribunale Supremo.

"Ci troviamo di fronte a un romanzo che non demerita affatto rispetto agli ultimi lavori di autori rinomati quali Stephen King o Dan Brown". Gabriel Neila - professore dell'Università di Thammasat (Tailandia).

"Cospirazione Virale è un’avventura dinamica, divertente e scritta con uno stile leggero." Vicente Baratas - scrittore.

LinguaItaliano
EditoreBadPress
Data di uscita8 dic 2018
ISBN9781507152126
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    Anteprima del libro

    Cospirazione Virale - Juan Martín García

    A Inocencio,

    un grande inventore avanti coi tempi

    il cui unico errore fu quello

    di rendere onore al proprio nome

    1

    Finalmente ce l’ho fatta

    ––––––––

    A casa di Giacomo e Sara

    ––––––––

    Era notte fonda. Un silenzio assoluto regnava nella camera di Giacomo e di sua moglie, Sara. Lei dormiva placidamente, estranea a quanto stava per accadere. Giacomo, il dottor Aldobrandi, non riusciva a dormire, da ore stava rimuginando attorno ad un’idea. All’improvviso accese la lampada sul comodino, si alzò di soprassalto e gridò emozionato:

    ­«­Ce l’ho! L’ho risolto, finalmente!»

    Sara dapprima si spaventò udendo l’urlo del marito; poi si irritò, realizzando che non c’era niente d’importante a giustificare tale interruzione del sonno.

    «Cazzo, Giacomo! Stavo dormendo!»

    «Mi alzo, mi vesto e vado in laboratorio a fare una prova per vedere se funziona quello che mi è venuto in mente» disse Giacomo senza prestare troppa attenzione a sua moglie.

    Per Sara quella situazione era ormai familiare, l’aveva già vissuta varie volte durante l’ultimo anno. Decise di calmarsi un attimo per poi supplicare il marito:

    «Tesoro, sono le tre di notte, torna a letto per piacere».

    «Mi spiace, ma devo andare. Se va bene, questa cosa potrebbe cambiare il mondo.»

    Giacomo prese a vestirsi in fretta e furia, senza smettere un attimo di pensare, cercando di non lasciarsi sfuggire la grande idea che gli era venuta in mente.

    Sara lo interruppe:

    «Non ho intenzione di ripeterlo. Fa’ quello che vuoi, io torno a dormire».

    «Stavolta è diverso. Vado. Ciao, tesoro» affermò Giacomo, sicuro di sé.

    Alla fine Sara si arrese. Dava per scontato che suo marito sarebbe uscito di casa, a quell’ora di notte, per restare in laboratorio fino all’alba e che in mattinata sarebbe tornato a casa dicendo che qualcosa era andato storto, come sempre.

    Lo salutò senza nascondere la sua rabbia:

    «Quando esci non fare rumore, ché svegli Paolino!»

    Giacomo la baciò sulle labbra. Lei non fece una piega, era infastidita e cercava solo di riaddormentarsi al più presto. Giacomo finì di cambiarsi e, subito dopo, uscì dalla camera in punta di piedi, lentamente, per non svegliare il bambino.

    ––––––––

    Nel laboratorio

    ––––––––

    Per il lungo corridoio che conduceva al laboratorio avanzava uno scienziato con un grembiule bianco e una targhetta che diceva Dott. Alcide. Era alto ed estremamente magro: una costituzione che gli conferiva un aspetto malaticcio. Con la mano sinistra sosteneva un quaderno pieno di appunti e con la destra reggeva un bicchiere di caffè che sembrava essere ben caldo, visto che lo sosteneva con due dita e di tanto in tanto cambiava posizione per non scottarsi.

    Era la routine di ogni mattina. Guardò l’orologio per vedere se gli rimaneva un po’ di tempo e vide che era ancora presto: avrebbe avuto qualche minuto per prendersi il caffè con calma prima che arrivasse qualche collega ad interromperlo per raccontargli cos’aveva fatto nel weekend.

    Quando fu vicino alla porta del laboratorio, spostò il caffè nella mano sinistra e utilizzò la destra per prendere un mazzo di chiavi. Posò lo sguardo sulla porta e si rese conto che era già aperta, cosa molto strana perché lui arrivava sempre prima degli altri. Si spaventò da morire. Fece la prima cosa che gli passò per la testa: prendere il cellulare per chiamare gli addetti alla sicurezza. Dopo quattro squilli, che gli risultarono eterni, risposero alla chiamata.

    Parlò sottovoce, per paura che qualcuno lo potesse sentire:

    «Sono il dottor Alcide. Sono appena arrivato in laboratorio e la porta è aperta, potrebbe essere un intruso. Venite subito!»

    In modo molto educato e con tono calmo, l’agente di sicurezza spiegò:

    «Il dottor Aldobrandi è in laboratorio dalle quattro di mattina, è per questo che la porta è aperta. Vuole che veniamo comunque?»

    Simone, il dottor Alcide, tardò qualche secondo per assimilare quell’informazione; poi la paura sparì e recuperò la lucidità.

    «No, grazie.»

    Dopo aver riagganciato, ripose il cellulare nel taschino destro del grembiule bianco e non poté evitare di sorridere nel rendersi conto di quanto fosse stato codardo. Aprì la porta con decisione per entrare nel laboratorio e salutare il collega che quel giorno, eccezionalmente, lo aveva anticipato.

    Il dottor Alcide attraversò il salone e raggiunse il tavolo a cui stava lavorando il suo collega Giacomo, il dottor Aldobrandi, talmente concentrato su quello che stava facendo che non si accorse neppure dell’arrivo di Simone, fino a quando questi non gli posò una mano sulla spalla dicendo:

    «Che spavento mi hai fatto prendere! Pensavo che fosse entrato qualcuno a rubare nel laboratorio».

    Giacomo Aldobrandi era un uomo che, seppur non bello, si faceva notare per l’eleganza e trasmetteva una forte professionalità; per lui il lavoro era la cosa più importante. In quel preciso istante non aveva una bella cera, sembrava esausto nel corpo e nella mente.

    Non appena vide Simone, iniziò a spiegargli:

    «È dalle quattro che lavoro, ho avuto un’ispirazione stanotte e sono venuto a provare la mia ultima teoria. Mi spiace, mi sono dimenticato di avvisarti».

    «Non preoccuparti, preferisco che tu non mi abbia svegliato. Mi prendo il caffè e poi mi racconti dei tuoi progressi» scherzò Simone con fare rilassato.

    «Questo non può aspettare: ce l’ho fatta, quadra tutto! Ho appena scoperto la cura per l’HIV!» esclamò Giacomo con orgoglio.

    Simone assunse l’espressione di chi ha appena sentito dire una spacconata: era una cosa praticamente impossibile. Sapeva che Giacomo era un ottimo scienziato, ma non gli entrava in testa che avesse potuto scoprire la cura dell’AIDS.

    «Non farti troppe speranze. Anche sette mesi fa eri convinto di averla trovata e poi è stata un fallimento.»

    Giacomo, prima di rispondere all’amico, girò il monitor del computer in modo che lui stesso potesse vedere di cosa parlava; Simone depose il caffè sul tavolo e guardò attentamente, mentre Giacomo gli spiegava emozionato:

    «Le nostre ricerche erano corrette. Ci eravamo sbagliati solo sui composti: se cambiamo questo con quello nuovo e aumentiamo la dose, si forma una struttura stabile che può debellare il virus dell’HIV. Qua sullo schermo si vede chiaramente».

    «Cazzo, è vero!» esclamò Simone sbalordito. «Sei riuscito a stabilizzare la molecola che ci dava tanti grattacapi. Bisognerebbe provarlo, ma così, al computer, sembra davvero possibile. Questa la dobbiamo dire al capo, può essere grossa.»

    Giacomo puntò l’indice verso Simone con atteggiamento aggressivo; era molto nervoso, normalmente non si comportava così.

    «No! Voglio fare un paio di prove prima di dirglielo, è un argomento delicato e voglio andarci piano.»

    «Va be’, come vuoi, aspettiamo un paio di settimane. Ma ora va’ a dormire un po’, hai una brutta cera. Io intanto ci do un’occhiata.»

    «Ok, sono distrutto» disse Giacomo, che nel frattempo aveva recuperato la calma.

    Il dottor Aldobrandi prese una chiavetta USB da un cassetto e salvò una copia di tutte le informazioni, mentre il collega strabuzzava ancora gli occhi.

    Simone, vedendo che Giacomo si portava a casa una copia dei dati, aggiunse:

    «Non serve che te la porti a casa, domani sarà ancora qui. Va’ a riposarti».

    «Mi riposerò, ma la chiavetta me la porto dietro nel caso in cui mi venga in mente qualcosa da aggiungere. Domani ci confrontiamo.»

    Quando finì di salvare tutti i dati, Giacomo estrasse la chiavetta dal computer, la ripose nel taschino del grembiule e, dopo aver dato un paio di pacche sulla schiena a Simone, uscì a grandi passi dal laboratorio.

    2

    Che sarà di mio fratello?

    ––––––––

    A casa di Giacomo e Sara

    ––––––––

    Quello stesso giorno Giacomo si risvegliò alle otto di sera: aveva dormito quasi tutta la giornata. Uscì dalla camera, scese le scale ed entrò nel salotto in cui si trovavano sua moglie e suo figlio, intenti a guardare la televisione dal divano. Sara, nonostante fosse prossima ai quarant’anni, era sempre una bellezza, coi suoi occhi azzurri, i lunghi capelli biondi e le curve ben pronunciate. Il suo unico difetto era quel carattere che la faceva arrabbiare con facilità in modo assolutamente spropositato. Quando vide il marito, si rallegrò e gli chiese:

    «Come stai, amore? Ero preoccupata, hai dormito un sacco di ore ma mi spiaceva svegliarti».

    «Questa volta è stata quella giusta. Dopo aver passato tutta la notte in laboratorio, quadra tutto, la formula funziona!» spiegò Giacomo emozionato.

    Sara non diede troppa importanza alle parole del marito, si preoccupava solo che stesse bene.

    «Bene, tesoro. Siediti con noi a vedere la tv.»

    Giacomo non riusciva a credere quanto ignorante potesse arrivare ad essere sua moglie e le disse con un certo disprezzo:

    «Ho scoperto una cosa che cambierà il mondo! Non posso stare seduto a guardare la televisione».

    «A me non interessa che tu cambi il mondo, voglio solo che dedichi un po’ di tempo alla tua famiglia» esclamò Sara, irritata per il tono con cui suo marito le si era rivolto.

    «Io vi voglio un sacco di bene, ma questa scoperta avrà ripercussioni mondiali. Chiamo mio fratello per raccontarglielo» aggiunse Giacomo, dandosi per vinto nell’inutile tentativo di suscitare il minimo interesse in sua moglie.

    Giacomo prese il cellulare e cercò nell’agenda il numero di suo fratello.

    Sara osservava attonita la scena; stava cominciando ad arrabbiarsi, cercò di contenersi ma non ci riuscì e alla fine non poté evitare di intervenire

    «Ma sei matto? Tuo fratello è quanto di peggio tu abbia mai avuto. Ma se gliene hai dette di tutti i colori quando ti ha rovinato l’esperimento l’ultima volta, ti aveva rovinato il lavoro di due anni di ricerca! Perché vuoi renderlo partecipe adesso del tuo presunto successo?»

    «Sono sette mesi che non parlo con mio fratello. Lui ha sbagliato e io in quel momento ho pensato che avesse rovinato le mie ricerche, è per quello che abbiamo litigato; l’ho licenziato e non ho più saputo niente di lui in tutto questo tempo. Però mi manca e adesso sono sicuro che lui la ricerca l’abbia solo ritardata un po’: alla fine ce l’ho fatta lo stesso.»

    Giacomo aveva deciso di chiamare suo fratello nonostante l’opposizione della moglie e così, non appena trovò il numero di telefono, lo compose con impazienza. Sara da arrabbiata diventò isterica, non le era mai stato simpatico Marco, il fratello di suo marito, e non era affatto portata per nascondere i propri sentimenti.

    «Non sopporto tuo fratello e neanche te, non hai le palle! Io non ci parlerei mai più.»

    Giacomo si portò il cellulare all’orecchio: era impaziente di parlare con suo fratello e con sua moglie, comunque, avrebbe fatto pace più tardi. Il volto di Giacomo lasciò trasparire tutta la delusione che provò nell’udire una registrazione che annunciava che il cellulare era spento o fuori copertura.

    Ripeté ad alta voce quelle parole:

    «È spento o fuori copertura. Lo chiamerò a casa».

    Sara scattò dal divano con un salto e si avvicinò a Giacomo per urlagli più da vicino:

    «A casa sua? Abita nella villa Aldobrandi, che era dei tuoi genitori. Sarebbe dovuta toccare a noi. Tu sei uno scienziato famoso e lui nient’altro che un mediocre apprendista ricercatore. Tuo fratello vive in una villa con due persone di servizio che se ne occupano, e noi viviamo in una semplice casa a schiera. Noi viviamo del nostro stipendio e lui vive di rendita del patrimonio dei tuoi».

    «Mio padre è morto dopo una lunga malattia, un tumore ai polmoni, e chi si è preso davvero cura di lui è stato mio fratello. Io ero sempre impegnato con le mie ricerche. Quando papà è morto mi sono sentito così in colpa che ho rinunciato all’eredità a favore di mio fratello. Io avevo già la vita risolta, ho un buon lavoro, ben pagato, e viviamo in una casa in una delle migliori zone di Roma. A mio fratello l’eredità serviva più che a me.»

    Giacomo compose il numero del telefono di casa del fratello. Non ebbe bisogno di cercarlo, lo sapeva a memoria. Dopo qualche squillo, gli rispose Mariela, una delle persone di servizio della villa:

    «Sì, pronto?»

    «Ciao Mariela, sono Giacomo» si presentò amichevolmente. «Mio fratello è a casa? L’ho chiamato al cellulare ma è spento o fuori copertura.»

    «Marco se n’è andato di casa molto tempo fa e non è più tornato» spiegò Mariela con tono triste.

    «Sai dov’è andato?»

    «No, signore. Dopo che avete litigato è rimasto molto scosso e ha detto che se ne andava per staccare, ma non ha detto dove.»

    «Abbiamo litigato qualcosa come sette mesi fa. Non lo hai mai chiamato al cellulare per sapere di lui?» chiese Giacomo sorpreso.

    «Sì, più di una volta, ma non siamo mai riusciti a metterci in contatto con lui.»

    Giacomo si rese conto che quella conversazione non avrebbe portato da nessuna parte. Mariela sapeva più o meno quanto ne sapeva lui, coì decise di porre fine alla telefonata:

    «Ok, grazie mille Mariela. Se sai qualcosa di mio fratello, chiamami per favore. Ciao.»

    «Lo farò. Arrivederci» salutò Mariela con decisione.

    Giacomo riagganciò. Era sorpreso dal comportamento di suo fratello.

    Dopo una breve pausa, tornò a rivolgersi a sua moglie:

    «Mariela dice che non sa niente di lui da sette mesi, credi che gli possa essere successo qualcosa?»

    «Sicuro che sono sette mesi che gozzoviglia in qualche spiaggia paradisiaca, senza far niente, che è quello che gli piace, bruciandosi l’eredità dei tuoi» disse Sara rabbiosamente; era ancora indispettita.

    «Preferisco così, piuttosto che gli sia successo qualcosa. Stiamo a vedere se salterà fuori» affermò Giacomo, esprimendo tutta la sua preoccupazione.

    ––––––––

    In una spiaggia paradisiaca

    ––––––––

    Marco Aldobrandi, mentre suo fratello cercava di rintracciarlo, stava prendendo tranquillamente il sole in un posto che sembrava trovarsi ai Caraibi. Era disteso su una sdraio, sorseggiando un mojito in compagnia di una splendida donna, una mulatta, mentre ascoltava musica. Marco era davvero un bell’uomo: aveva un corpo atletico e abbronzato, si vedeva che era da tempo che viveva agiatamente. La mulatta interruppe quel momento di relax, che tanto piaceva a Marco, chiedendogli con dolcezza:

    «Quanto tempo ti fermerai qui, amor?»

    Gli accarezzava i capelli con una mano, mentre con l’altra strofinava gli addominali perfettamente marcati del corpo scultoreo di Marco, cui non sembrava dare affatto fastidio: anzi, in realtà godeva di come la gente ammirava il suo fisico.

    Dopo un po’, lui rispose con calma:

    «Non so. Sono mesi che giro per il mondo, forse mi fermo una settimana, un mese, o forse resto a vivere qui.»

    «Tranquillo, amor. Farò in modo che tu ti senta bene qui e che ti voglia fermare per molto tempo» disse la mulatta con fare malizioso.

    La mano posata sugli addominali prese a scendere fino ad infilarsi nei boxer. Marco posò a terra il bicchiere e rispose al gesto affettuoso della bella donna; era tutto il giorno che si riposava, era arrivato il momento di entrare in azione.

    3

    Il signor Spencer vuole vederti nel suo ufficio

    ––––––––

    Nel laboratorio

    ––––––––

    Il mattino dopo, il dottor Aldobrandi, Giacomo, entrò nel laboratorio. Simone, il suo collega, non era ancora arrivato, cosa che gli sembrò strana perché era solito arrivare prima di lui; tuttavia non diede troppa importanza a quella circostanza, pensò che sicuramente doveva essere alla macchinetta del caffè. Giacomo accese il computer e iniziò a controllare i dati; quel giorno era più riposato e poteva pensare con lucidità.

    Dopo dieci minuti Simone arrivò a grandi passi; non aveva in mano nessun bicchiere di caffè. Si avvicinò a Giacomo, gli mise una mano sulla spalla e disse:

    «Buongiorno, Giacomo. Il grande capo è venuto in aereo da Londra e vuole vederti».

    «Ti avevo detto di non dirgli niente!» esclamò Giacomo arrabbiatissimo.

    Simone scosse la testa mentre parlava con Giacomo, in preda ai nervi:

    «Io non gli ho detto niente, te lo giuro. Non so perché ti vuole vedere».

    Giacomo restò a fissare Simone per alcuni secondi, aspettando che confessasse ciò che aveva fatto. Sospettava che gli avesse raccontato qualcosa, eppure la sua espressione sembrava sincera.

    «Non credo che sia venuto da così lontano senza un perché. Credo che tu abbia fatto la spia, ma ne riparliamo dopo.»

    Giacomo si alzò dalla sedia molto lentamente, senza smettere di guardare Simone. Ne sostenne lo sguardo per alcuni secondi, fino a che decise di allontanarsi in direzione dell’ufficio del proprietario del laboratorio. Continuò a guardare di sottecchi il collega, le sue spiegazioni non lo convincevano, lo vedeva nervoso.

    ––––––––

    Nell’ufficio del signor Spencer

    ––––––––

    Giacomo, non appena giunse davanti alla porta dell’ufficio del signor Spencer, si fermò un attimo, prese aria e diede un paio di colpetti con le nocche. Si udì una voce provenire dall’interno dell’ufficio che lo invitava ad entrare.

    «Avanti, dottor Aldobrandi!»

    Giacomo aprì la porta dell’ufficio ed entrò con decisione. Il signor Spencer lo aspettava seduto sulla sua poltrona, sorrideva e gesticolava verso di lui per far sì che prendesse posto. Era un uomo sui cinquanta, vestito in giacca e cravatta, piuttosto grosso e con uno sguardo che lasciava trasparire come non fosse esattamente una brava persona; ma,

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