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Circolare 9
Circolare 9
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E-book197 pagine2 ore

Circolare 9

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CIRCOLARE 9

Torino, febbraio 2006, un’oscura minaccia serpeggia silenziosa. Un nuovo atto criminale vede all'opera l’investigatore privato Valter Marras, al quale si affianca la figura del commissario di polizia Cesare Vitali, con cui collabora.

Un’avvenente giovane signora, affida all'investigatore il compito di scoprire l’aggressore del marito, ricco commerciante d’auto. Valter Marras deve venire a capo di quello che sembra un banale caso di tentato omicidio. I personaggi presenti sulla scena del crimine appaiono estranei all'accaduto, eccetto un extracomunitario fuggito dopo il fatto.

Purtroppo, poche parole, pronunciate dalla vittima prima di sprofondare in un coma profondo, confondono e rallentano le ricerche, perché sembrano presagire una minaccia che incombe sulla famiglia del commerciante. L’indagine, si rivela più complessa del previsto. La soluzione è resa difficile anche dall’apparente mancanza di un movente.

Valter Marras si ritrova, come spesso gli accade, a lottare stretto nella morsa del tempo e per questo, si avvarrà di ogni mezzo, pur di riuscire nella sua impresa. Anche questa volta, il suo intuito investigativo avrà il sopravvento per dirottare le proprie indagini e quelle della polizia verso la verità. Riuscirà mirabilmente a dipanare l’intreccio che lega alcuni personaggi tra loro, così da smascherare una macchinazione dalle sfumature sociopolitiche.

LinguaItaliano
Data di uscita21 mar 2017
ISBN9788826040813
Circolare 9

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    Circolare 9 - Lombolo Soleado

    fantasia.

    Primo

    Venerdì ore tredici. In Piazza Galimberti un piccolo autobus stava già col motore acceso, pronto a ripartire dal capolinea per compiere il suo solito giro.

    Un signore, prima di salire, stava componendo un numero sulla tastiera del cellulare: «Pronto polizia?» disse a voce bassa, mentre a sua insaputa una persona dietro di lui stava ascoltando.

    «Pronto…mi sente?…venite sulla Circolare 9, ho sentito affermare che, fra quarantasei ore, pronto… pronto…» era caduta la linea. Per niente scoraggiato, l’uomo, mentre si univa ai passeggeri, stava ricomponendo il numero; ma le linee telefoniche delle forze dell’ordine erano sovraccariche.

    La Nona Circoscrizione di Torino, in occasione delle Olimpiadi invernali, aveva ottenuto dal Comune quel bus atipico, chiamato Circolare 9 . Ai torinesi, quel mese di febbraio prometteva tante novità. Adesso, i residenti e i turisti potevano comodamente raggiungere ogni quartiere della Circoscrizione e visitare le infrastrutture pronte ad accogliere le discipline sportive. In occasione dei Giochi Olimpici, il Comune aveva anche fatto costruire la prima linea metropolitana che, da qualche tempo, i torinesi desideravano, visto il traffico caotico e l'inquinamento cittadino.

    Torino si presentava con un’identità nuova. Sembrava aver indossato l’abito della festa, sfoggiando nuovi sottopassi e ampi parcheggi. Vecchie strutture erano state trasformate in moderni centri capaci di ospitare le gare di pattinaggio artistico e partite di hockey su ghiaccio. Un intero villaggio, con palazzi variopinti color pastello, era stato costruito in tempi record. Il conto alla rovescia era quasi terminato. Mancava solo qualche giorno e a Torino sarebbe arrivato l’ultimo tedoforo con la Fiamma Olimpica, che, dopo un percorso di circa undicimila chilometri, avrebbe inaugurato i XX Giochi Olimpici Invernali.

    La Circolare 9, accolti gli ultimi ritardatari, iniziò il suo giro. Era affollata. C’erano studenti che frequentavano la vicina università e lavoratori che andavano a casa per la pausa pranzo e persone che erano state a curiosare nei dintorni del Villaggio Atleti e così via.

    L’autista, di nome Gianbattista, un omino basso e cicciotello con le guance rosse, si era dimenticato che quel giorno, verso le tredici, era prevista una prova antiterrorismo organizzata dal Comune. Dopo aver percorso un tratto di Via Giordano Bruno e svoltato in Corso Giambone, si stava immettendo nel Sottopasso Lingotto per arrivare alla struttura olimpica denominata Palavela.

    Inaspettatamente si udì una deflagrazione, provenire dalla strada, che scosse gli abitanti della zona. Era iniziata la prova antiterrorismo. All'insaputa dei cittadini, una delle zone scelte dal Comune per quell’esercitazione, si trovava tra il giardino di Piazza Galimberti e il Sottopasso Lingotto.

    Nei giorni precedenti, le istruzioni diramate dal Comune, tramite i mezzi di comunicazione, erano state chiare: - La simulazione di attacco terroristico avrebbe potuto essere inscenata in qualsiasi strada, ma anche su un ponte o in un sottopasso. Tutti coloro che si fossero trovati nelle zone interessate, avrebbero dovuto, se necessario, parcheggiare l’autoveicolo ai margini delle strade e prestare i primi soccorsi ai feriti o presunti tali -.

    Davanti al pullman, a pochi metri di distanza, anche un furgoncino scoperto proseguiva nella stessa direzione. Trasportava una quantità eccessiva di coni fluorescenti, utilizzati per delimitare le corsie nei lavori stradali. Sentendo lo scoppio, e pensando che provenisse dall’interno del tunnel, l’autista del furgoncino entrò in stato confusionale; tirò il freno a mano sbandando paurosamente e provocando una cascata di coni che rotolarono sulla carreggiata.

    Gianbattista, che non si aspettava una simile manovra, aiutandosi con tutto il corpo, spinse con forza il pedale del freno, cercando di non sbandare, per arrestare la corsa dell’automezzo ed evitare l’impatto. Non ci riuscì. Andò a sbattere con violenza contro il furgoncino, trascinandolo per alcuni metri dentro il sottopasso. Come se non bastasse, un fuoristrada che seguiva a distanza ravvicinata, per evitare il tamponamento, sterzò verso destra, ma finì contro una fiancata dell’autobus, rimanendo incastrato tra questa e la parete del tunnel.

    Il clacson del fuoristrada cominciò a suonare. Colui che stava alla guida, ferito e disorientato, cercava in tutti i modi di disattivarlo, ma invano, e tanto meno riusciva a venir fuori dall'abitacolo; così al vociare interno dei passeggeri e al frastuono delle sirene di polizia, vigili del fuoco e ambulanze, che si avvicinavano al sottopasso, si sovrapponeva il rumore assordante del clacson, che echeggiava in modo fragoroso dentro il tunnel.

    Un sentimento di rabbia mista a paura cominciò ad impadronirsi dei malcapitati viaggiatori. Questi ultimi, a causa del tamponamento a catena, dopo aver perso l’equilibrio, si ritrovarono, in buona parte, accatastati sul pianale, imprecando contro l’autista e lamentando contusioni.

    Mentre si rialzavano, l’urlo di una donna in stato di gravidanza, fece in un solo istante raggelare e zittire tutti, che si girarono basiti a guardare verso gli ultimi posti. La signora, terrorizzata, stava ancora con gli occhi spalancati, la mano sinistra sulla bocca e con la destra additava qualcuno o qualcosa che stava giù nel pianale.

    Un uomo stava accasciato, con un coltello piantato sul fianco destro all’altezza del fegato e una chiazza di sangue cominciava a formarsi.

    Superato il primo stato di sbalordimento, tutti cominciarono a guardarsi con sospetto, quasi incolpandosi a vicenda.

    La persona a terra era Ugo Colombo, lo stesso che prima tentava di telefonare alla polizia. D'origine calabrese, era il proprietario di un enorme autosalone dove vendeva solo auto di grossa cilindrata, per pochi eletti, come amava dire lui stesso, giacché solo alcuni facoltosi potevano acquistarne una. All’interno del Villaggio Olimpico, aveva allestito un padiglione promozionale dov'era stato fino a pochi minuti prima. Sperava di stipulare parecchi contratti con gli atleti.

    Gianbattista, che si apprestava a scendere, per controllare i danni causati dall’incidente, sentendo urlare in quel modo, si affrettò a richiudere la portiera. Forse l’avrebbe fatto in ogni caso, giacché un energumeno, fuoriuscito dal furgoncino tamponato, si era avvicinato al finestrino, minacciandolo con gestacci eloquenti.

    «Che cosa sta succedendo la in fondo?» urlò Gianbattista alla donna gravida. Nel frattempo, non riuscendo a vedere granché, a causa della sua bassa statura, per dominare la scena si era messo in piedi sul suo sedile.

    «Hanno pugnalato un tizio!» rispose una voce tra la folla.

    «Chi è stato?» ribatté Gianbattista.

    «Forse è meglio che chiami la polizia, senza fare troppe domande» continuò la stessa voce di prima.

    «Voglio scendere…aprite le porte!» cominciò ad urlare un anziano di nome Giovanni. «Ho bisogno di uscire!»

    «Rimanete fermi dove siete; ognuno nel posto in cui si trova in questo momento, sarà fondamentale per la polizia» raccomandò Gianbattista, che aveva sentito dire una frase simile in un film poliziesco. Prese il cellulare e compose un numero.

    «Mi apra questa maledetta porta! Non resisto più!» quasi invocò il signor Giovanni. Ma Gianbattista stava già parlando con qualcuno. Era riuscito a prendere la linea.

    «Pronto polizia…venite in fretta…c’è stato un omicidio sul mio pullman…all'ingresso del sottopasso Lingotto...»

    Giovanni, si mostrava un po’ trasandato, con evidenti problemi economici, che trasparivano da un abbigliamento un po’ consunto. Si era affrettato a tornare dal giardino dov’era stato a giocare a bocce, perché non riusciva a trattenere a lungo un suo bisogno fisiologico, a causa di un adenoma prostatico in fase avanzata. Sperava di arrivare a casa entro pochi minuti, ma quell'incidente gli fu fatale. Si liberò del suo fastidio alla vescica, e un'enorme macchia comparve sui suoi pantaloni e sul pianale intorno ai piedi.

    «Cazzo…che schifo!» commentò a voce alta una ragazza, guardando come si era ridotto il poveretto, che, mortificato, non riusciva ad alzare lo sguardo verso gli altri. Grazie, pensò fra sé il pensionato avvilito; è questo che oggi v’insegna la scuola. Lui era stato un insegnante per quarant’anni.

    La ragazza era Giada Makita, egiziana; una moretta dagli occhi neri. Cedeva spesso all'istinto di reagire in maniera primordiale, ed esternava nel modo peggiore particolari stati d’animo o forti emozioni. Si era trasferita in Italia già da qualche anno, per seguire un corso universitario. I suoi studi sulle Scienze della Comunicazione l'avevano portata ad interessarsi di giornalismo sportivo, quindi cercava d'informarsi il più possibile sulle imminenti Olimpiadi. Stava tornando da una visita al Villaggio Olimpico. Così dichiarerà in seguito. Quella settimana, era stata a girovagare da una struttura Olimpica all’altra. Osservava, curiosava e chiedeva; quasi intervistava ogni atleta o istruttore disposto a dialogare con lei che, avvalendosi del suo fascino mediterraneo, trovava sempre chi avrebbe voluto dedicarle molto più tempo di quanto necessario per rispondere alle sue domande.

    Intanto si percepiva una forte tensione fra i passeggeri.

    La donna in stato interessante cominciava ad avvertire delle contrazioni dolorose e prese a lamentarsi.

    «Questa donna sta male…chiamate un'ambulanza… è incinta… presto o ci sforna qui un bel pupo!» urlò Giada, mentre si accendeva una sigaretta.

    «E lei spenga la sigaretta, non ha rispetto nemmeno per una donna in stato interessante?» ebbe la forza di dire il signor Giovanni.

    «Vaffanculo» biascicò la ragazza, che si girò a fumare con la testa fuori del finestrino.

    «Adesso ci mancava un parto in diretta!» sentenziò infastidito un individuo di circa quarant’anni. Era un tipo atletico ben vestito che da un po’ mostrava segni d’impazienza; e aggiunse: «ma cosa stiamo aspettando! Dobbiamo sentirci male tutti quanti, prima di poter andar via da quest'inferno?»

    Chi stava sbraitando contro Gianbattista era Maurizio Maffiotti, chiamato confidenzialmente Mamà, per via delle iniziali che aveva fatto ricamare sulle camicie. Era alquanto irritato e lo dimostrava dando dei leggeri pugni sulla barra di sostegno, posta in alto sopra la sua testa. Anche lui, si saprà, tornava dal Villaggio Olimpico. Quel giorno era andato per gli ultimi preparativi prima delle gare, poiché faceva parte del Comitato. Abitava in Torino e lavorava a Bardonecchia dove insegnava Sci di Fondo, ma non mostrava i nervi saldi, prerogativa di un atleta, specie se insegnante. Fremeva come se temesse di far tardi ad un incontro amoroso.

    «Ho già chiamato la polizia, e dovrebbe arrivare a momenti» rispose Gianbattista, con l’aria frastornata.

    Lo scenario inatteso, che si era generato in modo naturale, era incredibile e difficilmente immaginabile. Si erano formati due schieramenti contrapposti. Nella metà posteriore vi erano i cattivi fra i quali si nascondeva l’assassino e nella metà anteriore c’erano i buoni che non volevano mescolarsi con i primi, anzi, si allontanavano quanto più possibile, per paura di essere incriminati.

    Improvvisamente si udì un colpo secco come una martellata. Il vetro di un finestrino cadde in frantumi e un giovane, con l’agilità di un acrobata, saltò giù in strada e si allontanò velocemente. Per sfondare il vetro aveva usato una grossa pinza da carpentiere appena comprata, che teneva in un sacchetto di plastica

    «Fermate l’extracomunitario!» gridò qualcuno che era riuscito a vederlo.

    «Deve essere l’assassino!» disse subito un altro.

    «L’assassino è fuggito?» si sentì echeggiare fra la gente da una parte all’atra dell’abitacolo.

    Tutti, guardarono intorno per individuare il finestrino rotto sperando di vedere il fuggiasco.

    Due ragazzine gemelle, che fino allora erano rimaste sedute a parlottare come due vecchie comari, giocando con una piccola bambola, iniziarono a frignare entrambe. Il ragazzo, per fuggire, aveva poggiato un piede sul loro sedile calpestando la bambolina.

    Un uomo dall’aria gioviale, che indossava scarpe da ginnastica, jeans e un giubbotto di pelle nera, sfilò un grosso disco in vinile che teneva dentro una busta di plastica e si rivolse alle gemelline:

    «Tenete, vi regalo il disco con le canzoni degli Invincibili però dovete smettere di piangere, va bene?»

    «Grazie» dissero quasi in coro, sottovoce, le bambine. Avendo riconosciuto il pupazzo dei cartoni animati, disegnato sulla copertina, smisero pian piano di piagnucolare e furono contente di accettare il dono dallo sconosciuto. Quest’ultimo invece era già noto in commissariato, perché, più volte, era stato sorpreso a fare il borseggiatore sui mezzi di trasporto pubblico.

    Seduta nel primo posto dietro il conducente, c’era una donna di mezza età. Era Giusi Moretti, un’affermata giornalista. Fin dalla partenza, era rimasta a parlare, col telefonino incollato ad un orecchio. Aveva prima descritto in modo dettagliato, la dinamica dell’incidente e adesso, si accingeva a spiegare quanto stava accadendo ai suoi occasionali compagni di viaggio. La sua cronaca in diretta sembrava essere arrivata al punto in cui bisognava scrivere la parola morto, quindi volle verificare immediatamente lo stato di colui che giaceva sul pianale in posizione fetale. Avvicinandosi al gruppo dei cattivi si fece spazio fino a poter sentire il polso di Ugo Colombo, che nel trambusto era stato ignorato; ognuno temeva perfino di curiosare per non attirare sospetti su di se.

    «Ma è ancora vivo!» esclamò tenendo il cellulare accanto alla bocca, per farsi sentire da chi stava forse già trascrivendo un articolo da prima pagina.

    «Autista chiami subito il 118! Non rimanga li impalato a fare il Crocefisso!» gridò Giusi Moretti a Giambattista che si era sistemato davanti al finestrino rotto, e stava con le braccia distese all'altezza delle spalle, come in croce, per ostacolare la fuga di altri passeggeri.

    Dal canto suo, Giusi Moretti, continuò con la narrazione particolareggiata degli avvenimenti, come se stesse trasmettendo la radiocronaca di una partita di calcio.

    «Va bene, va bene…ma non dicevate che era morto?» chiese Giambattista, alquanto stralunato.

    La sirena di un’ambulanza che si stava avvicinando, sembrava eccitare la fantasia della giornalista che così poteva inserire un nuovo dettaglio alla descrizione dei fatti. Ebbe anche un effetto rilassante sui passeggeri, che sperarono di poter finalmente scendere e permettere agli infermieri di prelevare Ugo Colombo, che in tanti avevano creduto morto.

    L’autoambulanza però andò a fermarsi accanto al fuoristrada, per prelevare il ferito che stava ricurvo sul volante, con un profondo taglio sulla fronte. Era riuscito a telefonare al 118 chiedendo aiuto.

    Anche l’autista del furgoncino aveva chiamato lo stesso numero per chiedere soccorso, quando, sceso per minacciare Giambattista, aveva visto l’uomo col

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