La polemica tra sunniti e ismā‘īliti
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Il confronto tra i due autori, unico nel suo genere, consente di riflettere sugli aspetti che, in ultima analisi, hanno più influenzato le società islamiche, sunnite e sciite, nella loro lunga storia.
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La polemica tra sunniti e ismā‘īliti - Corrado la Martire
Corrado la Martire
La polemica tra sunniti e ismā’īliti
© 2017, Marcianum Press, Venezia
Marcianum Press
Edizioni Studium S.r.l.
Dorsoduro, 1 – 30123 Venezia
t 041 27.43.914 – f 041 27.43.971
www.marcianumpress.it
Immagine di copertina: Dāmigh al-bā ṭ il by Ibn al-Walīd, Ms. 36, f. 1b-2a, The Institute of Ismaili Studies, London.
Impaginazione: Tomomot, Venezia
ISBN 978-88-6512-487-1
UUID: 52ded1ce-3164-11e7-b664-49fbd00dc2aa
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Indice dei contenuti
PREMESSA
L’imamato, una questione politica
La polemica ghazaliana e il contesto storico: l’avvento dei selgiuchidi e i contrasti tra califfato e sultanato
Nota biografica su al-Ghazālī
La polemica sunnita ne Le infamie dei bātiniti e le eccellenze dei mustazhiriti
La risposta di Ibn al-Walīd e il contesto storico: ismā‘īliti in Yemen e Gujarat
Nota biografica su Ibn al-Walīd
La risposta ne La cancellazione dell’errore e la distruzione di colui che lo difende
CRONOLOGIA RIASSUNTIVA
NOTA TECNICA ALLA TRADUZIONE DEI TESTI
LA POLEMICA TRA AL-GHAZĀLĪ E IBN-AL-WALĪD
Sulle motivazioni e sul committente
Sulla terminologia utilizzata per definire gli avversari
Sui principi fondamentali dell’imamato
Direttive di buon governo
GLOSSARIO
Glossario – al-Ghazālī
Glossario – Ibn al-Walīd
Grafico 1: genealogia degli imam ismā’īliti e duodecimani
Grafico 2: gli imam-califfi fatimidi e gli scismi derivati
NOTA BIBLIOGRAFICA
INDICE DEI NOMI
Ai miei genitori
Ringraziamenti
Il presente volume consiste nella rielaborazione della sezione principale della mia tesi di Dottorato in Studi sul Vicino Oriente e Maghreb – Specificità culturali e relazioni interculturali
, discussa il 10 Luglio 2014 presso l’Università degli Studi di Napoli L’Orientale
. Questo lavoro rappresenta il frutto di anni intensi, in cui ho avuto modo di confrontarmi con un ambiente particolarmente stimolante: una comunità di arabisti e studiosi dell’Islam che cresce di anno in anno sotto la guida sapiente di esperti ed eredi di una importante tradizione di studi e ricerche sul mondo arabo-islamico.
Un ringraziamento sentito va al mio tutor Massimo Campanini (Università degli Studi di Trento). Ringrazio il direttore della Marcianum Press, Roberto Donadoni, e tutta la redazione per aver accolto con entusiasmo questo progetto editoriale.
Un pensiero va a Carmela Baffioni (Accademia Nazionale dei Lincei e The Institute of Ismaili Studies, Londra) e a Antonella Straface (Università degli Studi di Napoli L’Orientale
), per i continui stimoli durante il mio percorso di studi e ricerche. Ringrazio Verena Klemm (Orientalisches Institut, Lipsia) per i suggerimenti circa l’interpretazione della terminologia ismā‘īlita. Ringrazio Ersilia Francesca (Università degli Studi di Napoli L’Orientale
) per i consigli nella revisione delle prime bozze.
Infine devo ringraziare la mia famiglia, costante punto di riferimento nelle tempeste della vita.
Rimane esclusivamente mia la responsabilità di eventuali errori e/o omissioni.
Nota sui termini arabi
Le voci sono state rese in traslitterazione semplificata per facilitare la lettura ai lettori non specialisti. Vengono segnalate le vocali lunghe, ma non i punti diacritici che indicano le enfatiche, né altri segni sopra o sotto le consonanti. Un apostrofo rovesciato indica il suono gutturale della lettera ‘ayn. Un apostrofo normale invece indica la lettera hamza, una sorta di pausa nella pronuncia della parola. Per i nomi propri e toponimi entrati nell’uso corrente (ad es. sciiti
) si utilizza una forma standard.
PREMESSA
L’imamato, una questione politica
L’imamato è una dottrina politica dotata di un apparato teorico coerente e sistematico. L’insegnamento (in arabo, ta‘līm o ta‘allum ) della dottrina dell’imamato ha dato forma e significato alla prassi, ovvero l’attività politica e sociale, legittimando il ruolo di chi la insegnava o la diffondeva tramite una propaganda e disciplinando o orientando i destinatari dell’insegnamento o della propaganda stessa. I destinatari dell’insegnamento (ovvero i rettamente guidati
, muhtadīnūn o soggetti dell’imamato
, ma’mūmūn ) potevano essere pochi eletti oppure le categorie sociali più significative. Più difficile è stato definire chi
avesse la facoltà di produrre, interpretare e insegnare detta dottrina, di esercitare il magistero, e dunque di detenere il privilegio ermeneutico di un sapere non formalizzato e sistematizzato. Quest’ultimo aspetto ha reso l’imamato una dottrina conflittuale, ovvero caratterizzata da una lotta per conseguire l’autorità ermeneutica e magisteriale.
È significativo che nelle opere dei giuristi e teologi dell’Islam [1] classico, il termine invariabilmente usato per designare la suprema autorità sovrana sancita attraverso un patto
( ‘ahd) fosse imāma, cioè in primo luogo la carica e la funzione di guida della preghiera in assenza del Profeta. Questo livello unificante rende l’imamato la trama del pensiero politico islamico in epoca classica, cosiddetta medievale
. [2]
I concetti, o categorie legati all’imamato – ad esempio, obbedienza
( tā‘a) e potere
( sulta), critica
( naqd) e legittimità
( shara‘iyya), giustizia
( ‘adāla) e governo
( hukm), libertà
( hurriya) e sistema
( nizām) – ne sono stati in qualche modo l’ordito che ha attraversato i secoli e le generazioni. Non deve sorprendere dunque che il mito della restaurazione dell’imamato/califfato sia stato rivendicato anche in epoca moderna e contemporanea, talvolta strumentalizzandone il significato e la carica carismatica. [3]
In epoca classica, Abū Hāmid Muhammad ibn Muhammad al-Ghazālī al-Tūsī (m. 505/1111), [4] massimo campione della ortodossia
sunnita, riconobbe per primo una realtà già in atto: un dualismo di poteri tra il califfo/imam e il sovrano secolare, ovvero il sultano. Questo processo fu paragonato da Patricia Crone (1945-2015) alla divisione tra Stato e Chiesa nell’Europa medievale. [5] In realtà, pur essendovi innegabilmente una più netta distinzione di dimensione religiosa e politica rispetto al periodo umayyade, entrambe le autorità conservavano l’idea del fondamento olistico islamico, distinguendosi nell’essere una morale e simbolica (quella del califfo/imam), e l’altra fondata sulla potenza militare e la forza (quella del sultano).
Al contempo gli sciiti hanno formulato diverse soluzioni, ma tutte quante hanno mitizzato un’epoca storica in cui ‘Alī, cugino e genero del profeta Muhammad (m. 10/632), avrebbe ricevuto la guida della umma, ovvero della comunità carismatica dei credenti. Questa sarebbe stata usurpata dai califfi sunniti, e il riscatto dei seguaci di ‘Alī ( shī‘at ‘Alī, ovvero partito di ‘Alī) sarebbe avvenuto con il
ritorno" ( raj‘a) dell’imam dal suo occultamento
( ghayba). [6] Nel pensiero della setta scismatica ismā‘īlita, quest’utopia retrospettiva trova la sua realizzazione storica con l’instaurazione dell’imamato fatimide del Cairo (297-567/909-1171), e cioè con la incarnazione
di quella che sino ad allora era rimasta esclusivamente una prospettiva metastorica. Successivamente con il quinto dā‘ī mutlaq (missionario assoluto
) tayyibita ‘Alī ibn Muhammad ibn al-Walīd (m. 612/1215), [7] detto al-Walīd al-Jamī‘ (lett. al-Walīd l’Onnicomprensivo
), capo della missione
( da‘wa) ismā‘īlita in Yemen, l’attesa della manifestazione dell’imam viene sostituita dalla necessità di concretizzare e legittimare una alternativa politica all’imamato in occultamento, un governo che amministrasse equamente e legittimamente la umma. L’assenza di un imam non si traduce nella rinuncia a realizzare uno Stato islamico, né in un’antiutopia, ma nella ricerca di soluzioni concrete che al contempo non interrompano l’attesa dell’imam e il momento della giustizia e della verità che si realizzerà con il suo ritorno. A fronte dell’assenza di un imam, il titolo di autorità politica e di capo della missione si uniscono in una nuova istituzione assolutista, la da‘wa mutlaqa (missione assoluta
).
Il caso della polemica di al-Ghazālī ne Le infamie dei bātiniti e le eccellenze dei mustazhiriti
( Fadā’ih al-bātiniyya wa fadā’il al-mustazhiriyya) e della relativa risposta di Ibn al-Walīd ne La cancellazione dell’errore e la distruzione di colui che lo difende
( Dāmigh al-bātil wa hatf al munādil) è unico nel suo genere. La polemica ghazaliana è stata scritta in periodo storico caratterizzato da un’ampia presenza di scritti anti-ismā‘īliti, prevalentemente diretti contro la missione ismā‘īlita di Alamūt in Daylam, in Iran del nord e a sud del Mar Caspio (483-654/1090-1256). La risposta è giunta da un’altra missione ismā‘īlita, quella tayyibita in Yemen, solo a un secolo di distanza dalla critica ghazaliana. Curiosamente quest’ultimo testo non è mai stato oggetto di una sistematica e approfondita analisi, né tantomeno di un confronto con la polemica ghazaliana, soprattutto tenendo conto dell’ampiezza e della profondità della risposta: due volumi di circa seicento pagine ciascuno per replicare al testo ghazaliano di appena un centinaio di pagine.
Il periodo storico in cui si è svolta la controversia tra al-Ghazālī e Ibn al-Walīd è significativo nel panorama dell’Islam politico per almeno due motivi, entrambi decisivi. Il primo è che la maggior parte delle grandi dinastie nate nella storia dell’Islam è sunnita, con l’eccezione dei fatimidi e dei safavidi. La stesura de Le infamie
, commissionate in difesa del califfato/imamato di Abū’l-‘Abbās Ahmad al-Mustazhir bi-Llāh (m. 512/1118), avviene proprio in un periodo storico caratterizzato dalla massima espansione per il sultanato selgiuchide e da profondi contrasti con la missione ismā‘īlita di Alamūt. Il secondo motivo è che, in ambito sciita, l’evoluzione del pensiero politico è stata condizionata dalla prospettiva metastorica del divenire della realtà umana. Per cui, essendo l’imam in occultamento, ogni altra forma di imamato viene ritenuta illegittima. Tuttavia nel caso specifico ismā‘īlita tayyibita, e cioè nel contesto in cui si verifica la stesura della risposta di Ibn al-Walīd ad al-Ghazālī, la politica si riafferma con forme e strutture proprie che poco hanno a che vedere con una santificazione
dell’autorità.
L’idea di un confronto tra la critica ghazaliana e la risposta ismā‘īlita rappresenta un approccio innovativo alle fonti, perché non limita lo studio dell’imamato all’aspetto razional-legalista islamico, tipicamente connaturato nella lettura dei seguaci della Sunna, [8] né alla spiritualità tipica dello sciismo, ove si incorre nel paradosso di confondere, alla prova dei fatti, le ricadute o pratiche delle due visioni. In un panorama in cui la religione è anche (e forse soprattutto) fenomeno sociale e di aggregazione, il rischio sarebbe quello di non cogliere quali siano le differenze pratiche dell’imamato sunnita rispetto a quello sciita. Allo stesso modo l’identificazione dell’imamato unicamente con l’aspetto spirituale ed esoterico sciita tende a trascurare tante altre sfumature della dottrina e delle sue ricadute sul piano politico. Tali aspetti, tra cui la teologia dogmatica islamica, l’aspetto giuridico-religioso, così come la commistione tra l’imamato politico e quello religioso, sono quelli che, in ultima analisi, hanno più influenzato le società islamiche, sunnite e sciite. Del resto, un anno dopo la morte di Henry Corbin (1903-1978), la storia ha dimostrato che, con la Rivoluzione Khomeinista, lo sciismo in Iran si sarebbe instaurato ad un livello politico e sociale tutt’altro che unicamente spirituale o esoterico. Allo stesso modo scindere l’imamato sciita e sunnita dalla sua dimensione politica equivale a una fuga dalla storia che, pur con il suo fascino metafisico, finirebbe col trasformarlo in un fenomeno incomunicabile e chiuso in se stesso. Senza quella dimensione politica, senza quella materializzazione, i principi dell’imamato non sarebbero mai entrati in contatto con il fenomeno umano in tutta la sua