Crimini al sole
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Anteprima del libro
Crimini al sole - Angelo Marenzana
autori
D'amore, di morte e di altre sciocchezze
di T.S. Mellony
L'ispettore Andrea Poletti scese dall'auto, sbatté la portiera e si portò la mano a coppa davanti alla bocca. Vi soffiò dentro e dedusse che, sì, l'odore di birra si sentiva fin troppo bene. Frugò nelle tasche, estrasse un pacchetto di mentine e ne ingollò tre o quattro, poi varcò il cancello.
Il viale d'accesso s'inerpicava per il dorso della collinetta. Sbuffando per il caldo torrido di un'estate bastarda, raggiunse la villa nascosta dalle siepi di bosso. Una fottuta dimora signorile con piscina proprio lì, incastonata tra Camogli e Portofino, dalla quale si poteva godere una stramaledetta vista panoramica su San Rocco e il Mar Ligure.
Ad attenderlo fuori dall'abitazione c'era il dottor Vaiana, il medico legale, in compagnia di un tizio dall'aria scossa. Non piangeva, ma pareva esserci molto vicino. Poletti e Vaiana si scambiarono un cenno del capo, come loro abitudine.
«È lei Franco Raiola?» domandò Poletti, rivolgendosi allo sconosciuto.
«Sì».
«E io sono l'ispettore Poletti. Può dirmi cos'è successo?»
Franco respirò a fondo e si passò la mano scheletrica sul viso abbronzato, annuendo.
«Certo, ispettore».
«Innanzitutto, mi spieghi che rapporti aveva con Jacopo Lodrini».
«Ah, sì. Il dottor Lodrini era il mio principale».
«Definisca principale».
«Sono… ero il suo segretario speciale. Gli battevo lettere, rispondevo alle e-mail, inviavo le raccomandate… queste cose qua».
«Un normale impiegato, alla fine».
«Sì, pressappoco».
Poletti sbuffò e si deterse la fronte con un braccio, inzuppando la camicia candida ma stropicciata. Da quando sua moglie se n'era andata, il ferro da stiro era rimasto inutilizzato in dispensa, sommerso da Dio solo sapeva che cosa.
«Domani è Ferragosto: che diavolo è venuto fare qui, stamattina?»
«Il dottor Lodrini voleva assolutamente inviare dei progetti entro oggi, tramite raccomandata. L'avrei dovuto aiutare a battere la lettera d'accompagnamento e poi…»
Franco si morse l'interno delle guance e si zittì. Gli occhi piccoli e scuri guizzarono a terra, riempiendosi di lacrime.
«D'accordo, signor Raiola. Ci accompagni e, intanto, mi dica un po' come sono andate le cose».
Salirono la mezza dozzina di scalini che conduceva al portone d'ingresso, accostato. All'interno della villa il clima era fresco, merito di un eccellente impianto di condizionamento di ultima generazione. L'aria profumava delle solite schifezze esotiche. Poletti distinse con chiarezza l'odore di cannella, legno e cocco e gli venne da vomitare.
«Ecco, sono entrato proprio dalla porta principale» spiegò Franco Raiola. Rovistò nelle tasche dei pantaloni dalla riga impeccabile e tirò fuori un mazzo di chiavi.
«È stato Lodrini a dargliele?»
«Sì, la ricevuta è conservata nei suoi libri contabili».
«Che lavoro faceva, 'sto Lodrini?»
«Architetto, ispettore» Franco rimise le chiavi in tasca, imboccando un arioso corridoio intonacato di bianco e adorno da stucchi «il dottor Lodrini era un grande costruttore. Ha partecipato a numerosi programmi d'interesse nazionale: l'Expo, il campus milanese di Cerusco sul…»
«Va be', va be', abbiamo capito che si dava un gran daffare».
Raiola tacque, contrariato. Il trio sfociò in un ampio salone, arredato con pochi mobili di foggia antica. Sopra il grande camino immacolato, lo specchio rifletteva i raggi del sole che penetravano dalle vetrate, amplificandone la luce.
Poletti fischiò tra i denti.
«Si trattava bene, eh?»
«Il dottor Lodrini è… era un esteta. Un amante del bello».
«So cosa significa esteta».
«No, intendevo…» Franco Raiola guardò confuso il medico legale, che scosse la testa. È fatto così, lasci perdere sembrò voler dire con quel gesto.
Il segretario accettò il tacito consiglio.
«Comunque, ispettore, sono arrivato in soggiorno e sono andato nel suo studio, là in fondo. E ho trovato… io…»
Poletti grugnì in assenso e si diresse verso la porta indicatagli da Raiola con mano tremante. Tirò fuori un fazzoletto con cui afferrò la maniglia e spinse con forza l'uscio: i pannelli oscillarono, scricchiolando sotto il peso dell'agente, ma non si aprirono.
«Che cazzo…?»
«Deve tirarla verso l'alto, ispettore» spiegò Raiola, avvicinandosi con passo incerto.
Poletti, dubbioso, ruotò la maniglia all'insù. Lo scrocchetto di chiusura rientrò nell'apposito alloggiamento e la porta si aprì. Lavori fatti col culo…
«Se possibile, ispettore, io non…»
«Resti pure fuori, ma nei paraggi. Magari dopo la risento».
Raiola si defilò a passi lunghi e rapidi, raggiungendo l'esterno. Poletti e il dottor Vaiana, invece, entrarono nello studio.
Al contrario del salone, era una ambiente ristretto, tappezzato di legno e libri. Il cadavere, di spalle alla porta, veniva sorretto dalla lucida scrivania in mogano. La fronte appoggiata allo spigolo e le braccia penzoloni lo facevano somigliare a una marionetta cui fossero stati recisi i fili.
«E qui entri in scena tu, Lucio».
Il dottor Vaiana indossò i guanti, senza rispondere, poi si avvicinò al corpo, in silenzio, quasi fluttuando.
«Dovresti avvicinarti, caro il mio Andrea».
Vaiana aveva un forte accento genovese, che lo faceva apparire rozzo e sgarbato nonostante la sua estrema cortesia. Poletti, biellese da infinite generazioni, lo trovava insopportabile.
«Eccomi qui a godermi un bel buco nel cervello» borbottò il poliziotto.
Vaiana tastò il polso di Lodrini e ne confermò il decesso – come se fosse necessario, pensò l'ispettore, ma non lo disse – poi il medico aggirò la salma con passi rapidi e leggeri. Poletti pensò che aveva l'eleganza e la grazia di un ballerino sovrappeso.
«Un solo colpo sparato da dietro, alla base della nuca» Vaiana si chinò, il naso sin quasi a sfiorare il fu architetto «a bruciapelo. Vedi i segni d'ustione?»
«No, perché mi sei davanti. Ma ne sai più tu di me».
«L'autopsia chiarirà con più esattezza tutto il quadro clinico».
«Be', a me interessa sapere che sia morto sparato».
Vaiana sollevò gli occhi chiari a fissare il poliziotto e si trattenne dal correggerlo.
«Questo è indubbio».
«E allora aspetto che arrivi la Scientifica, poi vedo di fare qualche domanda in giro».
Poletti girò su se stesso e uscì. Palpando le tasche dei calzoni si accorse di aver lasciato le sigarette in macchina. Sussurrò una bestemmia e strinse i denti.
Gianni Lodrini entrò nell'ufficio dell'ispettore Poletti, strinse la mano tesa in sua direzione e si accomodò sulla poltroncina rivestita di stoffa blu pruriginosa. All'interno della stazione di Polizia la temperatura era perfetta, complice soprattutto l'assenza di umidità.
Poletti restò in piedi, appoggiandosi al davanzale interno della finestra. Un fastidioso cerchio alla testa gli faceva strizzare gli occhi in continuazione.
«Grazie per essere venuto, signor Lodrini. Lei è il fratello