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L'uovo di Colombo
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E-book196 pagine2 ore

L'uovo di Colombo

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Giallo - romanzo (139 pagine) - Genova, 1892. Nell'anno dell'Esposizione Internazionale, due omicidi sconvolgono il mondo apparentemente tranquillo del Convento dei Frati Cappuccini della Madonna del Monte. Toccherà al maresciallo della stazione dei regi carabinieri di San Fruttuoso, Luciano Bedin, e al giovane giornalista del Secolo XIX, Giulio Crovetto, cercare di risolvere questi intricati casi di omicidio


Genova, 1892. La città è testimone di due avvenimenti eccezionali: l'Esposizione Internazionale in occasione del quattrocentesimo anniversario della scoperta dell'America e il primo congresso delle Società Operaie che condurrà alla costituzione del Partito Socialista Italiano.

Sullo sfondo di questi eventi si collocano due omicidi, che sconvolgono il mondo apparentemente tranquillo del Convento dei Frati Cappuccini della Madonna del Monte, soprattutto quello del priore, Goffredo Orsini, appartenente a una delle famiglie più in vista della città, e, successivamente, quello di un confratello. I genovesi sono particolarmente devoti a questo Santuario, e i brutali e inspiegabili delitti suscitano sgomento e preoccupazione, in particolare negli ambienti dell'Arcivescovado.

A far luce sugli omicidi viene chiamato il maresciallo della stazione dei regi carabinieri di San Fruttuoso, Luciano Bedin, e viene coinvolto anche il giovane giornalista del Secolo XIX, Giulio Crovetto. Insieme si dovranno scontrare con la proverbiale reticenza degli ambienti ecclesiastici e con una serie di indizi che si riveleranno fuorvianti. Circondati da personaggi secondari, ma non meno importanti nel contesto della storia, arriveranno alla soluzione non senza correre qualche rischio.


Stefano Mantero è nato il 30 maggio 1962 a Genova, dove risiede nel centro storico della città. A causa di una malattia, all'età di quattordici anni perde la vista. Fin da bambino ha sempre amato la lettura e la scrittura e questa passione gli ha consentito di collaborare con diverse testate giornalistiche fra le quali Il Lavoro-La Repubblica e Il Secolo XIX. Nell'ambito dell'Unione Italiana dei Ciechi ha ricoperto vari incarichi dirigenziali. Appassionato di teatro ha frequentato corsi di scrittura teatrale e ha partecipato a numerose mise-in-scène. La passione per gli studi storici lo ha spinto a intraprendere il corso di laurea in Storia presso l'università di Genova.

Ha pubblicato un noir e un libro di racconti con la Casa Editrice De Ferrari. Un secondo noir con Libero di scrivere, nonché diversi racconti per antologie.

Maria Teresa Valle è nata a Varazze (SV), e risiede attualmente a Genova. Sposata, ha due figli e due splendidi nipoti. Iscritta all'Università di Genova si è laureata in Scienze Biologiche e specializzata in Patologia Generale. Ha lavorato in qualità di Dirigente Biologa all'Ospedale San Martino di Genova. Fin da bambina ha amato la lettura e la scrittura. Per i Fratelli Frilli Editori ha pubblicato diversi noir con protagonista Maria Viani.

LinguaItaliano
Data di uscita19 dic 2017
ISBN9788825404432
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    Anteprima del libro

    L'uovo di Colombo - Stefano Mantero

    Viani.

    A Mariangela G.

    Nota dell'autore

    Personaggi e situazioni di questo libro sono frutto di pura invenzione, mentre l'ambientazione è ricostruita con aderenza alla realtà storica.

    Prologo

    Il tramonto era stato oscurato da grosse nubi che avanzavano minacciose, spinte dal vento teso. Le tenebre si addensavano e il cielo si era incupito.

    Un uomo dalla corporatura imponente e dalla fluente barba, avvolto in un mantello, risaliva in groppa a un baio la Nuova Salita del Monte che conduceva al santuario dedicato alla Madonna.

    Il convento dei frati francescani era immerso nel silenzio e la chiesa attigua e il suo campanile venivano celati a tratti da una caligine densa, mentre il rumore degli zoccoli del cavallo si perdeva in distanza.

    All'improvviso un tuono scoppiò, facendo sussultare l'uomo e scartare nervosamente l'animale.

    Lampi vividi presero a balenare sopra la città e le alture di levante.

    La pioggia proruppe mentre, in pochi minuti, tutto attorno si addensarono rigagnoli e fango e la strada si trasformò in un ruscello che correva verso il basso.

    Gli zoccoli del baio scivolavano sul selciato reso lucido dalla pioggia, facendo aumentare nell'animo dell'uomo la preoccupazione per il temporale e per il buio che stava per sorprenderlo ancora distante dal convento.

    La sua mente era occupata a ripensare ai momenti appena trascorsi. L'immagine di lei che, con le labbra socchiuse, raggiungeva insieme a lui il culmine del piacere, non lo abbandonava, mentre nelle narici poteva ancora sentire il profumo del suo corpo.

    Se da un lato il tumulto dei sensi non era ancora scemato in lui, cominciava però a farsi largo nel suo animo un sottile sentimento di rimorso. Per quanto questo fosse pungente, l'immagine di lei prendeva così prepotentemente posto nei suoi pensieri da non lasciare spazio a nient'altro. Continuava a stupirsi che una donna così bella e affascinante, pur frequentando l'élite genovese, avesse scelto proprio lui come amante.

    Immerso in questi pensieri aveva ormai dimenticato il colloquio avvenuto qualche giorno addietro con Monsignor Tommaso Reggio, Arcivescovo Vicario di Genova.

    Mentre procedeva chino sul collo del cavallo, cercando di riparare il volto dalla pioggia, si accorse all'ultimo momento di una figura riversa accanto a una delle cappellette che fiancheggiavano la creuza.

    Tirò con decisione le redini del baio e balzò giù dalla sella, chinandosi per accertarsi delle condizioni dell'uomo e prestargli soccorso

    – Ma sei tu! Cosa ti è successo? – chiese sostenendogli il capo.

    La figura riversa emise un debole lamento, che indusse l'uomo a restare piegato accanto a lui.

    Il fragore di un tuono coprì il suono dei passi che si avvicinavano alle sue spalle.

    Non si rese conto che una figura era emersa dall'oscurità fino a quando un dolore lancinante esplose nella sua testa, facendolo sprofondare nel buio, mentre la luce accecante di un lampo rischiarava per un istante la scena.

    Capitolo primo

    Quando mancano i cronisti trottano pure i novellini

    Erano trascorsi due mesi da quando aveva cominciato a lavorare come apprendista nella redazione del giornale. Due mesi passati a distribuire la posta, preparare litri di caffè e smistare i dispacci giunti tramite la telescrivente. Ogni cronista pareva necessitare di qualcosa di essenziale, spesso anche diversi contemporaneamente, il che lo costringeva a vere e proprie corse fra le varie stanze, le scrivanie e anche nelle vie adiacenti.

    La raccomandazione dello zio Ettore, amico d'infanzia del direttore, aveva contribuito a farlo entrare nella redazione, ma non era servita a fare di lui un vero giornalista.

    Infatti, fino a quel momento, a Giulio nessuno aveva richiesto di scrivere neppure un rigo, né alcuno si era sognato di istruirlo sui fondamenti del giornalismo. Tutti si erano limitati a trattarlo né più e né meno come un fattorino, pertanto si era stupito quando il vice direttore lo aveva convocato nel suo ufficio.

    Passeggiava nervosamente avanti e indietro, in attesa di essere chiamato, quando all'improvviso la porta si schiuse e fece capolino un uomo zazzeruto, dalle sopracciglia nere, il naso aquilino e le guance infossate, bluastre per la barba di un giorno. Vestiva un completo stazzonato di colore grigio, una camicia bianca e una cravatta nera.

    Il vice direttore lo squadrò.

    – Ascolta bene, novellino, abbiamo appreso della morte di Goffredo Orsini, priore del convento dei francescani della Madonna del monte. Vai e raccogli tutte le notizie che puoi!

    Giulio rimase immobile per lo stupore, in attesa che il suo superiore aggiungesse ulteriori istruzioni, ma tutto ciò che ottenne fu una porta sbattuta sul naso.

    Mentre si allontanava dalla redazione del quotidiano era attanagliato dai dubbi: era passato in un attimo dal suo ruolo di fattorino a quello di giornalista sul campo, senza avere la ben che minima idea di dove iniziare.

    Capitolo secondo

    Le terribili emozioni di frate Anselmo

    Frate Anselmo aveva dovuto trascorrere il pomeriggio lontano dal suo amato laboratorio di erboristeria. Gli era stata affidata la portineria in sostituzione di frate Bernardo, il titolare portinaio del convento, affetto da febbre alta.

    Il tempo era trascorso con una lentezza estenuante e neppure la lettura della "Philosophia Botanica" di Linneo aveva contribuito a migliorare il suo umore. Grande furono il suo stupore e la sua preoccupazione, quando vide il cavallo del priore giungere solo davanti al convento.

    Uscì all'aperto mentre la pioggia diminuiva la sua intensità e prese il baio per le briglie, conducendolo verso le stalle.

    Affidato l'animale a un novizio, iniziò a scendere lungo la strada in preda a un cupo presagio, senza preoccuparsi di munirsi di un mantello né di una torcia, ma seguendo un impulso urgente.

    Il buio e il terreno viscido rendevano difficoltoso il suo procedere lungo la discesa.

    L'aria si era fatta pungente e refoli di vento gli sbattevano sul volto grosse gocce di acqua.

    Respirava affannosamente mentre le sue narici si riempivano dell'odore della terra bagnata. Le luci della città in lontananza gli offrivano un punto di riferimento per seguitare a percorrere, nonostante il buio, la creuza.

    Giunto in vista di una delle cappellette votive, in cui ardevano alcuni lumini, gli sembrò di scorgere un'ombra scura sul terreno.

    I passi di Anselmo si fecero precipitosi: in un attimo la raggiunse e alla fioca luce delle lampade votive vide un corpo riverso sul selciato.

    Una pozza di sangue, che la pioggia stava dilavando, si allargava attorno al capo, mentre il resto del corpo era ricoperto dal mantello.

    Anselmo si chinò, ma ancora prima di rivoltarlo per accertare chi fosse, era certo che si trattasse proprio del priore Goffredo Orsini.

    Sul suo volto cereo era impressa un'espressione di stupore, come se la morte lo avesse colto di sorpresa. Sul lato sinistro della testa, poco sopra l'orecchio, si apriva una profonda ferita. Sangue e materia celebrale impastavano i capelli del monaco scendendo fin sulla barba fluente.

    Un dolore sordo e un moto di raccapriccio presero il posto dell'ansia che aveva oppresso Anselmo per tutto il cammino.

    Si portò le mani al volto in un gesto di disperazione, mentre dalla gola gli sfuggiva un singhiozzo che risuonò più simile al lamento di un animale che alla voce umana.

    La sua prima preoccupazione fu quella di riportare il corpo al convento e, per fare questo, aveva bisogno di aiuto: Orsini era un uomo imponente e da solo Anselmo non avrebbe mai potuto trasportarlo.

    Ristette qualche momento incerto sul da farsi, poi si risolse a tornare sui suoi passi, malgrado gli dispiacesse dover lasciare incustodito il corpo.

    Anselmo era un topo da laboratorio e il suo fisico poco atletico non lo aiutava a procedere speditamente su per la salita. Nonostante l'impegno che profondeva, il suo respiro era affannoso e i suoi passi sempre meno spediti.

    La sua mente invece lavorava a pieno ritmo senza riuscire a capire come fosse potuta succedere quella disgrazia.

    Dopo un tempo che gli parve interminabile, arrivato finalmente alla portineria del convento, si attaccò disperatamente alla corda della campana, non avendo il fiato per chiamare a raccolta i suoi confratelli.

    Nel convento si scatenò una baraonda, i frati arrivarono di corsa chiedendosi l'un l'altro cosa fosse successo, mentre l'unico che avrebbe potuto fornire una risposta si accasciava privo di sensi sul pavimento.

    Capitolo terzo

    A rapporto!

    L'eco dei passi di Giulio che si allontanava non si era ancora spenta, che qualcuno bussò alla porta dell'ufficio del vice direttore.

    – Avanti! – esclamò Nicolò Fasce.

    – Il direttore la desidera nel suo ufficio.

    Fasce sbuffò con fastidio, ma non poté esimersi dall'adempiere alla richiesta.

    Da cinque anni Antonio Figari dirigeva con mano ferma la redazione del quotidiano, fondato nel 1886 da Ferdinando Maria Perrone, proprietario tra l'altro dell'industria genovese Ansaldo, e, sebbene nessuno lo avesse mai sentito alzare la voce, incuteva nei suoi collaboratori un grande rispetto misto a soggezione.

    Anche il suo aspetto contribuiva ad accrescerne l'autorevolezza. Era, infatti, un uomo alto con una gran chioma di capelli bianchi, aveva lo sguardo acuto e pungente e i suoi occhi azzurri erano incorniciati da un paio di occhiali dalla montatura di metallo.

    Era abbigliato in modo classico, con un tre pezzi di colore scuro, la camicia bianca con il colletto rigido e la cravatta anch'essa scura.

    – Si accomodi, Fasce, volevo fare il punto della situazione. Chi abbiamo mandato a raccogliere le notizie di oggi?

    Con una fitta di rancore Fasce ragionò su quante volte aveva fantasticato di essere lui a trovarsi seduto dietro quella scrivania, convinto com'era di avere tutti i numeri per meritarlo. Malgrado la sua esperienza, la proprietà aveva optato diversamente.

    Con poca voglia si risolse a rispondere.

    – I soliti Vassallo e Rubino si occupano di seguire i lavori di allestimento dell'esposizione colombiana. Casareto si interessa dei lavori di via Giulia, Masi è al porto per capire qualcosa sulla polemica riguardo alle condizioni di accoglienza dei migranti in transito verso l'America e io sto raccogliendo le lettere telegrafiche dai corrispondenti.

    – Chi si sta occupando della morte del priore Orsini?

    Fasce si grattò pensieroso il mento irsuto.

    – Ho mandato il novellino a raccogliere informazioni.

    – Bene, mi fa piacere. Naturalmente lei lo avrà ben istruito in questi mesi, se lo ha giudicato pronto per il suo primo incarico.

    – Certamente, d'altra parte se non lo mettiamo alla prova non sapremo di che stoffa è fatto. E poi non avevo altra scelta, visto che anche Peruzzi era occupato con la faccenda delle società operaie.

    Mentre tornava nel suo ufficio, considerò con una punta di maligna soddisfazione che l'eventuale insuccesso del novellino sarebbe stata comunque responsabilità del direttore, visto che era stato proprio lui a raccomandarlo.

    Capitolo quarto

    Il peso della responsabilità

    Quando Anselmo riprese conoscenza, si ritrovò attorniato dai confratelli che lo scrutavano con preoccupazione e curiosità.

    Vedendo che andava riprendendosi, tutti si affannavano a chiedergli spiegazioni.

    – Cos’è successo, Anselmo? Perché hai suonato così disperatamente la campana? Che cosa ha causato il tuo svenimento?

    Anselmo si limitava a guardarsi attorno, senza parlare, come se non sapesse dove si trovava né cosa fosse successo.

    Un frate fu mandato a prendere una bottiglia di cordiale, lo stesso liquore che Anselmo aveva distillato tempo prima utilizzando le foglie della Aloysia che coltivava personalmente nell'orto del convento, e che i confratelli chiamavano volgarmente Erba Luisa.

    Dopo che gliene furono somministrate alcune dosi generose, il liquore parve infondergli il coraggio necessario a raccontare i tragici avvenimenti accaduti poco prima.

    Fu fatto sedere su una sedia e cominciò a spiegare come si erano svolti i fatti.

    – Era da poco suonato il vespro quando ho visto giungere nel cortile del convento il baio del priore. Vedere l'animale da solo mi ha fatto sorgere un triste presagio, tanto che senza indugio mi sono precipitato giù per la strada pensando di portargli soccorso, perché temevo gli fosse successo qualcosa.

    Anselmo fu interrotto dal ricordo spaventoso e dal brusio che si levò nella stanza dai confratelli che si guardarono l'un l'altro interrogativi.

    Si risolse a proseguire.

    – Arrivato all'altezza della quarta cappelletta, ho visto un corpo riverso a terra, ho riconosciuto subito che si trattava del priore e quando l'ho voltato ho compreso che era… morto.

    Un singhiozzo ruppe il racconto, mentre nella stanza si intrecciavano domande, lamenti, esclamazioni di incredulità.

    Una voce decisa si levò al di sopra del clamore, riportando l'ordine.

    – Fratelli, manteniamo la calma, e tu Anselmo sei certo di quanto affermi?

    Annuendo, Anselmo sostenne: – Sì. Anche se era buio ho potuto vedere bene in viso il priore, grazie ai lumini votivi.

    – Sei sicuro che fosse morto?

    – Aveva una tremenda ferita sopra l'orecchio, dalla quale era uscito copioso il sangue, e mi sono accorto che non respirava.

    Frate Bartolomeo, curatore della biblioteca del convento, annuì lisciandosi la folta barba rossiccia e si rivolse risoluto agli astanti: – Quattro di voi, muniti di torce, prendano il carretto e l'asino e vadano a recuperare il corpo del priore.

    Si tolse gli occhiali dal naso e si stropicciò gli occhi, in un gesto che racchiudeva stanchezza e sofferenza per essersi imposto una calma che in cuor suo non provava, ma che doveva trasmettere agli altri.

    Come se una folata di vento improvviso avesse investito la stanza, tutti i frati si dispersero, lasciando soli nella portineria Anselmo e Bartolomeo i quali, avvicinandosi alla finestra, poterono scorgere le luci delle fiaccole che si allontanavano lungo il declivio.

    Bartolomeo rivolse lo sguardo verso il frate erborista che gli era

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