Il cabreo melitense di fra Vincenzo Balbiano viceré di Sardegna: Ricerche A.R.S.O.M. 2016
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Lo stato lacunoso della documentazione non permette di analizzare a fondo le origini di tale frequentazione, che affonda le sue radici fin nell’epoca dei Giudicati. Tuttavia, un nuovo tassello di questo percorso secolare riaffiora dal passato dell’Isola attraverso le pagine di un documento inedito: l’inventario dei beni dell’Ordine di Malta in Sardegna intitolato “Cabreo della Commenda di San Leonardo delle Sette Fontane. 20 Agosto 1792”, redatto durante il vicereame del conte fra Vincenzo Balbiano, cavaliere di Malta e commendatore di San Leonardo.
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Anteprima del libro
Il cabreo melitense di fra Vincenzo Balbiano viceré di Sardegna - Massimo Rassu
Il cabreo melitense
di fra Vincenzo Balbiano
viceré di Sardegna
Ricerche A.R.S.O.M. 2016
Stefano Oddini Carboni
Massimo Rassu
ISBN 978-88-7356-931-2
Condaghes
Indice
Ringraziamenti
Prefazione, di Marinella Ferrai Cocco Ortu
Premessa
1. Inquadramento storico
2. La Sardegna nell’Ordine di Malta
3. I cabrei
4. Il cabreo del 1792
5. I luoghi
6. I protagonisti
Appendice (trascrizione del cabreo)
A.R.S.O.M.
Le raccolte ricerche A.R.S.O.M.
Riferimenti delle immagini
Bibliografia
La collana Quaderni
Colophon
Ringraziamenti
Gli Autori sono grati a Franco Comino, dipendente dell’Archivio di Stato di Cagliari, per aver segnalato l’inedito documento.
Ringraziano la Dott.ssa Marinella Ferrai Cocco Ortu – già Direttore del medesimo Archivio di Stato – per l’apporto documentario, i suggerimenti e la revisione della monografia durante la sua stesura.
Un debito di riconoscenza anche verso i Delegati regionali dello SMOM, N.H. Giovanni Sanjust di Teulada, N.H. Benedetto Amat di San Filippo e l’attuale delegato N.H. Mario Tola Grixoni, per le informazioni sulla nascita e sulle attività della delegazione sarda dell’Ordine di Malta.
Al prof. Emanuele Melis la gratitudine per aver messo a disposizione la copia del cabreo da lui scoperta nell’Archivio di Stato di Torino, e già inserita nella sua Tesi di Dottorato.
Prefazione
L’edizione integrale di una fonte storica è opera sempre altamente meritoria perché mette a disposizione di un vasto pubblico documenti – altrimenti accessibili solo dietro consultazione diretta presso i luoghi/istituti di conservazione – rendendoli leggibili attraverso una sapiente opera di interpretazione, trascrizione e omogeneizzazione del testo manoscritto.
È quello che hanno fatto con il Cabreo della Commenda di San Leonardo delle Sette Fontane. 20 agosto 1792 (conservato nel fondo Reale Udienza dell’Archivio di Stato di Cagliari) Stefano Oddini Carboni, medico dentista prestato agli studi storici, nonché cavaliere dell’Ordine di Malta, e Massimo Rassu, ingegnere civile, cultore di studi storici e autore di numerosi libri.
Questo lavoro, inoltre, è ancor maggiormente encomiabile laddove i due curatori non si sono limitati alla stampa del manoscritto, ma ne hanno ricostruito la storia – inserendola nell’ambito delle altre fonti analoghe dei tempi passati, già conosciute e studiate – e le vicende, e ancora ne hanno analizzato gli aspetti estrinseci, la lingua, il formulario, i luoghi e gli attori: sia i più noti uomini delle istituzioni, sia gli ignorati bonos homines delle comunità locali e tanti dei suoi abitatori a vario titolo coinvolti.
La pubblicazione di una fonte è il tramite tra la fonte stessa e il lettore: in questa veste Oddini Carboni e Rassu accompagnano il testo, descrivendo lo svolgersi dei lavori all’interno delle comunità dei villaggi, le difficoltà, le resistenze e le reticenze, dando al documento, pur nella freddezza del linguaggio burocratico stesso, una connotazione di vita vissuta.
Quando mi è stata chiesta una presentazione di questa monografia, mi ha intrigato il fatto che il cabreo fosse legato al nome del viceré Vincenzo Balbiano, che era il titolare della suddetta commenda: di lui mi sono occupata nell’ambito di un saggio curato da Pierpaolo Merlin sui viceré e gli apparati burocratici nella Sardegna del Settecento. Sapevo dunque che egli, secondo la tradizione familiare, fosse diventato cavaliere dell’Ordine degli ospedalieri di San Giovanni di Gerusalemme, ramo dell’Ordine dei Cavalieri di Malta, assurgendo all’alta carica di balìo di Malta, titolo di cui amava fregiarsi nei documenti ufficiali, unitamente a quello di commendatore dell’ordine gerosolimitano, e che anteponeva a quello di viceré, luogotenente e capitano generale del Regno di Sardegna. La figura del Balbiano – detestato dai sardi, e che subì l’affronto della cacciata dall’isola il 28 aprile 1794 – andrebbe forse riconsiderata alla luce di questo aspetto della sua personalità: del sovrano ordine egli condivideva la vocazione e l’impegno a favore degli ammalati e ne sentiva l’alta spiritualità, che viveva personalmente, pur da laico, non essendosi tra l’altro mai sposato. La commenda di Siete Fuentes, abbastanza lucrosa, che era l’unica nell’Isola, gli fu assegnata, in sostituzione di altra, il 1° maggio 1789, in previsione della sua destinazione in Sardegna l’anno successivo.
Balbiano approfitta del soggiorno istituzionale in qualità di viceré per effettuare una verifica dello stato patrimoniale della sua commenda, lasciandoci così uno strumento prezioso per accrescere le conoscenze sulla Sardegna. Intanto il cabreo – per la sua natura giuridico-amministrativa di elenco ricognitivo e descrittivo delle fittanze, dei confini territoriali e delle colture praticate – fornisce una mole enorme di notizie per lo studio dell’assetto del paesaggio agrario isolano, attraverso le continuità e conservatività che appaiono nei sistemi di coltivazione e nelle scelte delle piantagioni; per il volto paesistico che ci restituisce dalla descrizione delle disseminate emergenze architettoniche che punteggiano il territorio: antiche chiese, cappelle e abitazioni rurali, oggi quasi tutte scomparse. Non secondaria, come sottolineato sempre dai curatori, la funzione di fonte di natura economica, sociale, per lo studio delle persistenze dell’antica toponomastica, e così via.
Non dimentichiamo però che lo scopo principale di questo lungo e faticoso studio è quello di aggiungere un tassello alla conoscenza della lunga storia del ruolo svolto dai Giovanniti in Sardegna: Stefano, che è Cavaliere di Grazia e Devozione del Sovrano Militare Ordine di Malta, lo ha fatto nell’intendimento di rendere un servizio alla società, nello spirito che anima, oggi come allora, i suoi appartenenti; Massimo, cofondatore dell’Associazione per le ricerche storiche sugli Ordini militari, a sua volta ha conferito nel sodalizio la sua specifica competenza. Meritano entrambi pertanto il giusto riconoscimento e plauso da parte dei lettori.
Marinella Ferrai Cocco Ortu
Presidente del Comitato di Cagliari
dell’Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano
già direttore dell’Archivio di Stato di Cagliari
Premessa
L’Ordine Militare e Ospedaliero di San Giovanni – nato a Gerusalemme, in Terra Santa, poi trasferitosi a Rodi e infine a Malta, e oggi noto come Sovrano Militare Ordine di Malta – svolse la sua lodevole attività pastorale anche in Sardegna.
Lo stato lacunoso della documentazione medievale non permette tuttavia di indagarne a fondo la storia nell’Isola dalle origini. Nondimeno, svariate carte di età iberica e sabauda, rinvenute nell’Archivio di Stato del capoluogo regionale sardo, aprono una nuova prospettiva sulla permanenza degli Ospedalieri nell’Isola e inducono a collocare, con buona approssimazione, l’origine di tale frequentazione già all’epoca dei Giudicati. Alle esigue notizie fornite dalle fonti di epoca medievale in ambito isolano, infatti, fa riscontro la notevole quantità di dati recuperabili da atti d’età moderna custoditi presso biblioteche e archivi nazionali ed esteri. Significative informazioni sulle proprietà sarde dei Cavalieri di San Giovanni durante i secoli XVI-XVIII – con evidenti richiami a situazioni passate – provengono da registri patrimoniali che fanno luce sui diritti agrari dell’Ordine di Malta, dal Trecento raccolti nel priorato, poi commenda di San Leonardo «di Sette Fontane», poi «de Siete Fuentes», dalla chiesa romanica oggi all’interno della vivace borgata montana omonima presso Santu Lussurgiu.
L’esistenza e la collocazione archivistica di un inedito inventario dei beni della Commenda di San Leonardo di Siete Fuentes realizzato alla fine del Settecento, vennero segnalate agli autori nel 2003 da Franco Comino, impiegato nello stesso archivio cagliaritano. Si tratta di un quaderno conservato nel fondo del tribunale della Reale Udienza, tra le Cause Civili, nella busta 20042 del fascicolo 1795. È intitolato «Cabreo della Commenda di San Leonardo delle Sette Fontane. 20 Agosto 1792».
Venne redatto durante il vicereame del conte fra Vincenzo Balbiano, egli stesso cavaliere di Malta e commendatore di San Leonardo, il medesimo viceré che si ritrovò coinvolto nel triennio rivoluzionario sardo alla fine del Settecento, e che portò nel 1794 alla cacciata dei Piemontesi da Cagliari, nella vicenda oggi celebrata come Sa Die de sa Sardigna.
Pur essendo una testimonianza relativamente recente riguardante vicende marginali e, in fondo, di minima portata storica, con i suoi curiosi episodi, gli atteggiamenti e le riluttanze dei protagonisti, le difficoltà concrete nei villaggi isolani, il cabreo offre uno spaccato della vita nelle terre della commenda melitense, dei rapporti dell’Ordine con la Sardegna, in sostanza una finestra sulla storia locale all’epoca della Rivoluzione Francese.
Stefano Oddini Carboni
Massimo Rassu
I. Inquadramento storico
Dalla Rivoluzione Francese a Napoleone Bonaparte
Nel 1792, mentre in Sardegna si istruiva l’indagine sui beni della commenda di San Leonardo de Siete Fuentes, altrove, in Francia scorreva il sangue della Rivoluzione Francese. A parte il periodo iniziale (1789-1793), culminato con la fase del Terrore, la Rivoluzione ebbe una durata abbastanza estesa nel tempo, per far luogo poi al periodo napoleonico (1800-1815), influenzando sia la storia della Sardegna quanto, indirettamente, le vicende della commenda melitense di San Leonardo de Siete Fuentes.
Gli avvenimenti che ruotarono intorno a questo evento sono ben noti. Dopo il 1781 il sistema sociale francese (noto come Ancien Régime, Antico Regime
) entrava in crisi per le difficoltà finanziarie dello Stato, generate dalle forti spese per la partecipazione alla guerra di indipendenza americana, che causarono la crescita del già grande debito pubblico. Furono proposte nuove tasse a carico del cosiddetto Terzo Stato (la classe sociale dei borghesi e del proletariato), comprendente il 98% della popolazione francese. Si succedettero in poco tempo vari ministri delle finanze, via via licenziati dal sovrano Luigi XVI, perché le loro riforme economiche e tributarie intaccavano i privilegi dei nobili e del clero. Costoro, per contrastare tali riforme, forzarono il re a convocare gli Stati Generali, l’Assemblea dei rappresentanti delle tre classi sociali (nobiltà, clero e terzo stato), il 5 maggio 1789 a Versailles. Nacque il problema del numero dei parlamentari: il terzo stato chiese e ottenne di avere un numero doppio di delegati, mentre le altre due classi sociali si assicurarono che a ogni ramo del Parlamento spettasse un voto, per cui nobiltà e clero uniti avrebbero avuto in ogni caso la maggioranza. Il sovrano riuscì a temporeggiare per un mese sulla questione: in questa situazione di stallo, i deputati del terzo stato si riunirono nella Sala della Pallacorda, all’interno della reggia, dove promisero solennemente di dare una nuova costituzione alla Francia (Giuramento della Pallacorda, 20 giugno 1789). Si unì a loro parte dei deputati del clero e della nobiltà (tra i quali il Duca d’Orléans), formando l’Assemblea Nazionale Costituente. Luigi XVI, sconfitto sul piano politico, decise di ricorrere alla forza, ma la borghesia della capitale reagì e, con l’aiuto delle classi popolari, il 14 luglio assaliva e conquistava il castello parigino della Bastiglia, utilizzato come carcere politico.
Fu l’innesco di una serie di eventi a catena: a un’insurrezione in città, guidata dalla borghesia, che portò all’abolizione delle municipalità e alla formazione della guardia municipale, si aggiunse una rivolta nelle campagne mirata alla soppressione del feudalesimo. Il 26 agosto 1789 venne proclamata la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino, su cui si basò la successiva nuova costituzione. Il sovrano, respinti i decreti dell’Assemblea Costituente, venne costretto dal popolo ad abbandonare la reggia di Versailles e a trasferirsi a Parigi. Contemporaneamente, l’Assemblea entrò in crisi con la nascita di varie correnti politiche all’interno dei gruppi borghesi: i giacobini, guidati da Robespierre, su posizioni più radicali, i foglianti, con a capo La Fayette, con atteggiamenti più moderati; tra i due, il partito dei cordiglieri con Danton e Marat.
Con la nuova Costituzione, redatta dall’Assemblea Costituente il 3 settembre 1791, nasceva la monarchia costituzionale francese, fondata sulla separazione dei poteri: legislativo ed esecutivo guidato dall’Assemblea legislativa, composta di 745 deputati eletti ogni due anni; quello giudiziario affidato alla magistratura, indipendente in quanto eletta. Al re spettava la nomina dei ministri e il diritto di sospendere una legge approvata dall’Assemblea, ma per non più di quattro anni. I beni ecclesiastici (tra cui quelli dell’Ordine di Malta) furono incamerati e venduti, mentre tutti i sacerdoti dovettero giurare fedeltà alla Costituzione come i pubblici funzionari. Amministrativamente la Francia venne frazionata in 83 dipartimenti, suddivisi in distretti e cantoni con ampi poteri.
Mentre il re tentava la fuga in Belgio, gli altri stati monarchici europei, Austria, Prussia e Russia si allearono contro la Francia rivoluzionaria, per evitare il diffondersi delle nuove idee e lo scoppio di analoghe rivolte nei loro paesi (1792). Dopo la vittoria francese di Valmy contro l’esercito prussiano, fu proclamata la Repubblica. Il re, catturato, venne processato per alto tradimento e condannato a morte, per essere decapitato il 21 gennaio 1793. Nell’ottobre successivo un’identica sorte riguardò la regina.
Nello stesso anno, inoltre, per fronteggiare la minaccia di eserciti stranieri alleati contro la Francia, i poteri furono affidati a un Comitato di salute pubblica guidato da Robespierre, che fece calmierare il prezzo di grano e generi alimentari, arruolò un nuovo esercito e inviò soldati in Vandea (Bretagna) a reprimere una rivolta. Nel periodo intercorrente tra l’autunno 1793 e l’estate 1794 – definito Terrore – la Rivoluzione raggiunse il suo acme: il Comitato adottò metodi autoritari con la conseguente repressione degli avversari politici e di esponenti giacobini contrari alla politica di Robespierre, diverse migliaia di persone assassinate dopo processi sommari. Solo con la destituzione del Comitato, l’arresto di Robespierre e dei suoi collaboratori il 27 luglio 1794, sbrigativamente giustiziati senza processo, a opera degli altri deputati, riuscì a far prevalere una linea politica moderata (Termidoro).
A partire dal 1796 si cercò di abbattere le monarchie assolute in Europa con la propagazione delle idee rivoluzionarie mediante campagne militari. Il comando della spedizione in Italia fu affidato a Napoleone Bonaparte, che invase la penisola italiana, a iniziare dal confinante Piemonte, istituendo governi repubblicani sul modello francese.
Napoleone riprese l’agognato disegno francese per il controllo delle rotte commerciali nel Mediterraneo verso il Medio Oriente, sogno svanito in seguito alla sconfitta francese nella Guerra dei Sette Anni (1756-63) e definitivamente seppellito dal Trattato di Parigi. In questo quadro vanno perciò inserite, dalla seconda metà del XVIII secolo, varie operazioni militari che ebbero dei risvolti – diretti e indiretti – sulla storia della Sardegna e dell’Ordine di Malta: l’invasione francese della Corsica (1768-69), il tentativo di occupazione della Sardegna (1793), la spedizione di Bonaparte in Egitto (1798-99) e il conflitto con gli inglesi per il possesso di Malta (1798-1800).
Rientrato in Francia, con un colpo di stato militare Napoleone abolì il governo e trasferì il potere a un Consolato, in cui sedeva con due collaboratori (18-19 brumaio 1799). La fine della Rivoluzione Francese fu decretata dalla Costituzione dell’anno VIII (1799), mediante la quale Napoleone ebbe pieni poteri.
La Sardegna Rivoluzionaria
Per la sua specifica collocazione mediterranea ed essendo parte integrante del Regno di Sardegna confinante con la Francia, l’isola poté seguire abbastanza da vicino lo svolgersi degli avvenimenti e le successive loro proiezioni verso l’Europa, pur restandone ai margini. Infatti, essa non fu soggetta a rivolgimenti politici di tipo radicale e neppure risentì, a differenza di buona parte della Penisola, i contraccolpi della ventata rivoluzionaria e gli effetti dell’occupazione da parte dell’armata francese: tuttavia il seme del rinnovamento venne gettato e diede i suoi frutti, sia pure tardivamente, nel corso del XIX secolo.
In quegli anni la Sardegna era immersa in un profondo torpore, e appariva ancora molto arretrata e relegata ai margini della storia italiana ed europea. Nondimeno, nella coscienza di alcuni intellettuali si era fatta strada, benché ancora a livello individuale e non di corrente politica, l’esigenza di un profondo rinnovamento delle superate strutture sociali e politiche dell’isola, a cominciare dall’ormai anacronistico ordinamento feudale.
Senza alcun significato politico – quanto piuttosto indice di un diffuso malcontento per le strettezze economiche – si svolse nel 1780 la sommossa annonaria dei popolani di Sassari, seguita successivamente da vari atti di protesta contro gli abusi feudali, in numerosi villaggi rurali del Sassarese (Sorso, Sennori, Ittiri, Uri, Ossi, Thiesi, ecc.) o dell’Oristanese (Solanas, Donigala, ecc.). Una lontana eco della stagnazione economica si ritrova anche nel cabreo in oggetto, con l’episodio cardine dell’occupazione abusiva delle terre del Salto di Angius, nell’attuale agro di Simaxis e in quello che fu il Marchesato d’Arcais, quale risposta immediata alle necessità della sopravvivenza.
La corrispondenza del viceré Balbiano con Torino negli anni della Rivoluzione Francese, tra il luglio del 1789 e l’estate del 1792 non riporta elementi di preoccupazione per ciò che accadeva in Francia, ne notizie su presunti fautori sardi delle novità rivoluzionarie. Dopo che nell’isola si diffusero le notizie provenienti dalla Francia, i primi moti antifeudali scoppiarono a Solanas, Donigala Fenughedu e Thiesi nel 1789 contro il marchese d’Arcais e il duca dell’Asinara: i vassalli si limitarono a mostrare la loro insofferenza nei confronti dei soprusi dei feudatari. I dispacci ufficiali da e per Torino dal settembre al dicembre 1792, quando ormai era in atto la guerra sulle Alpi tra le armate rivoluzionarie francesi e gli eserciti alleati austro-piemontesi, riflettono da una parte consigli ed esortazioni a provvedere alla difesa dell’isola con mezzi propri, e dall’altra generiche e poco convinte assicurazioni del Viceré di poter far fronte a una eventuale ma non imminente emergenza. I moti ripresero nel 1793 e videro insorgere le popolazioni di Ittiri e Uri, Ossi, Sennori, Sorso, Bulzi, Sedini, Nulvi, Osilo e Ploaghe, che chiesero il riscatto della loro dipendenza feudale.
Il 1793 fu per la storia della Sardegna un anno fondamentale, perché segnò l’inizio di un nuovo corso di eventi e, infatti, a partire da quella data, resa memorabile per la tentata invasione militare da parte delle forze rivoluzionarie francesi, ciascun anno successivo sino alla fine del secolo risulta contrassegnato da avvenimenti di notevole rilevanza. In particolare, nel 1792, in risposta all’atteggiamento delle grandi monarchie europee, truppe rivoluzionarie francesi avevano preparato l’invasione della Sardegna, tentando lo sbarco nel Golfo di Cagliari tra gennaio e febbraio del 1793, ma furono respinte. Quella vittoria militare sui Francesi ebbe un’importante incidenza politica nel piano interno, facendo nascere nei Sardi il concetto di autonomia politica e amministrativa, e sorse fra le popolazioni delle città e delle campagne l’aspirazione al progresso civile e a più ampie libertà politiche. In sostanza, fu l’innesco del movimento riformatore e l’inizio convenzionale del decennio rivoluzionario, caratterizzato da sviluppi che maturarono in modo affine ai coevi moti indipendentisti in Corsica e in Irlanda. La classe dirigente sarda divenne consapevole delle proprie capacità e della propria forza contrattuale nei confronti di Torino, perciò, all’indomani del fallito tentativo di invasione, nello stesso 1793, il Parlamento isolano rivendicò dal re sabaudo le fondamentali e irrinunciabili richieste di effettiva autonomia.
Nel 1794, vista la risposta evasiva e dilatoria del sovrano, Cagliari si ribellava e tutti i Piemontesi, compresi i più alti funzionari e lo stesso viceré Vincenzo Balbiano (ma escluso l’arcivescovo di Cagliari) il 28 aprile furono cacciati dalla città a furor di popolo, in quella che all’epoca fu detta Giornata dell’Emozione, recentemente ribattezzata da una legge regionale Sa Die de sa Sardigna¹.
Nel 1795 a Cagliari scoppiavano seri tumulti popolari, dovuti alla mancanza di viveri e grano, durante i quali vennero crudelmente trucidati alcuni dei protagonisti, ora sospettati di collusione con il governo piemontese, mentre nelle campagne della Sardegna settentrionale si manifestarono i primi tumulti contadini contro il feudalesimo. Nacque una situazione complessa e contraddittoria che portò la nobiltà su posizioni differenti. I feudatari cagliaritani si manifestarono favorevoli a sospendere la riscossione dei tributi feudali, mentre quelli sassaresi furono irremovibili verso le richieste dei vassalli, rigidezza che li portò a progettare una secessione del Capo di Sopra da Cagliari. Nel 1796 i moti antifeudali raggiunsero maggior consistenza, giungendo alla rottura tra le due principali città dell’isola. I rivoltosi logudoresi, capeggiati da un autorevole personaggio, Giovanni Maria Angioy, tentarono di marciare su Cagliari, ma vennero contrastati e dispersi a metà strada dalle truppe dei riformatori cagliaritani, di cui diventava evidente la condotta di controllo dei movimenti di popolo, soffocando le sommosse nel sud dell’isola, e rimanendo sostanzialmente fedeli al sovrano torinese². È di quell’anno l’Inno de su patriota sardu a sos feudatarios, una lunga chiamata alla ribellione contro la «tirannia» dei baroni. Nel 1797-98 si ebbe un ritorno in forze degli elementi più tradizionalisti del legittimismo monarchico e della reazione, e i principali protagonisti implicati nei violenti sommovimenti rurali vennero perseguitati, condannati, giustiziati o costretti all’esilio in Corsica e in Francia. Seguiranno le ultime rivolte antifeudali del 1799, con centro a Thiesi e Santu Lussurgiu (sede della commenda)³, e il tentativo di insurrezione repubblicana del 1802, nata nell’ambiente dei patrioti sardi rifugiati in Corsica. Tutti eventi