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Black Dollars
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E-book173 pagine2 ore

Black Dollars

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Info su questo ebook

La morte di un prestigioso direttore di banca in strane circostanze. Un'ambiziosa entità bancaria che pretende di monopolizzare il mercato spagnolo. La carriera professionale della giovane Maya Masada sul punto di decollare. Un ufficio bancario i cui impiegati hanno segreti.

LinguaItaliano
EditoreBadPress
Data di uscita2 giu 2019
ISBN9781547593705
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    Anteprima del libro

    Black Dollars - MARIA GEMA MARÍN PEROZO

    BLACK DOLLAR

    PRIMA PARTE: L'INTERVISTA

    1 (Inverno. Anno 2000)

    Non aveva dormito per tutta la notte, l'effetto sedativo che in altre occasioni gli aveva dato la pioggia, quella notte non si presentò. Ascoltò il ticchettio dell'acqua contro i vetri e pensò che sarebbe stata l'ultima volta che ascoltava quel rumore. Magda dormiva sul suo petto, ne sentiva il calore. Addio al calore di quel magro corpo che respirava ritmicamente. Affondò il naso nei suoi capelli, sapevano di gelsomino. Baciò la sua fronte, la voltò con attenzione e si sedette sul letto.

    La camera da letto era un caos, vestiti qui e là, sul pavimento, sulla poltrona. Arrivò fino in bagno e si guardò allo specchio, valeva la pena farsi la barba? L'orologio gli diceva che aveva tempo per farsi velocemente la barba. Voleva uscire di casa prima che Magda si svegliasse.

    Entrò nella doccia. Mentre l'acqua calda gli scioglieva i muscoli, provava a convincersi che faceva il meglio per la sua famiglia. I bambini avrebbero potuto studiare e Magda avrebbe potuto lasciare uno dei lavori, forse entrambi. Aveva avuto quattro settimane per pensarci. L'offerta gli arrivò in un momento in cui la colpa e la responsabilità per non aver potuto dar loro una vita migliore rivaleggiavano tra loro. I pensieri lo tormentavano fino al punto di provare vergogna di se stesso quando guardava i suoi figli. L'odore dolce dell'asciugamano gli provocò un dolore in fondo allo stomaco. Guardò di nuovo la sua immagine allo specchio. Se non se ne fosse andato adesso, ogni secondo che passava gli sarebbe costato di più per abbandonare la casa.

    Si mise la lozione al gelsomino che usava Magda, il suo profumo lo avrebbe accompagnato fino alla fine. Prese i vestiti che c’erano sullo sgabello, pulì il vapore dallo specchio e si guardò di nuovo. Aveva un bel viso, nonostante gli anni. Solo gli occhi arrossati rivelavano l’insonnia delle ultime settimane.

    Uscì dal bagno e si affacciò per l’ultima volta nella camera da letto, Magda dormiva profondamente. Percorse il corridoio fino alla sala e, passando davanti alla stanza dei bambini, si fermò. «Se entri, non riuscirai a uscire ». Fece uno sforzo per continuare a camminare verso la porta, scese le scale e uscì per strada.

    Il freddo e l’umidità lo riportarono alla realtà. Erano le sette di mattina, ci avrebbe messo un’ora per arrivare in centro. Si alzò la sciarpa fino agli occhi e iniziò a camminare. Non ci fu bisogno di camminare molto, un taxi con gli indicatori verdi apparve dall’altro lato di Via Marcelo Usera, alzò la mano e il tassista mise le doppie frecce.

    ―Buongiorno, signore ―salutò il conducente.

    ―Buongiorno, mi porti in Via Ciudad de Barcelona all’altezza di Mariano de Cavia.

    ―Quindi verso... ―Il tassista pensava a voce alta.

    ―Verso Atocha ―rispose tagliente il passeggero.

    Il tassista mise il contachilometri a zero, tolse le doppie frecce e ritornò in strada.

    ―Parte domani, no? ―Con il finestrino mezzo abbassato e la radio accesa, provava a intavolare una conversazione.

    Lui non rispose. Non gli importava di sembrare maleducato. Si limitò a indicargli di girare verso Tèllez e di passare sotto il tunnel del percorso dell’alta velocità.

    ―Mi lasci qui ―ordinò in maniera brusca.

    Il tassista si fermò al lato della strada, accese le quattro frecce, mise in folle e tirò il freno a mano. Aveva ragione di pensare che quel passeggero non voleva la ricevuta.

    ―Duemila pesetas. ―Il passeggero gli allungò il denaro.

    Prendendo i contanti, gli sembrò che gli occhi arrossati gli sorridessero, era difficile capirlo perchè la sciarpa gli copriva tutto il viso.

    ―Tenga il resto.

    ―Grazie, signore, buona giornata ―riuscì a dire prima che l’uomo gli chiudesse la portiera in faccia.

    Marcos camminò tra le macchine, per la maggior parte, di lavoratori dell’alta velocità che approfittavano dell’assenza dei parchimetri nella zona. Il SUV color nero era parcheggiato tra due alberi, si chinò fingendo di allacciarsi le scarpe e prese la chiave da una delle ruote posteriori. Salì, il parabrezza era ghiacciato, come il lunotto. Sapeva che non appena avesse azionato il contatto, sarebbe stato in un punto di non ritorno. Vacillò qualche istante e sentì l’urgente necessità di dire a sua moglie che la amava. Nei loro due anni di vita insieme, quasi non glielo aveva detto. Le responsabilità quotidiane e la routine avevano alzato, poco a poco, un muro tra i due. E ormai era tardi. Girò la chiave, mise la freccia e guidò in direzione Marìa de Molina. Erano le sette e mezza.

    2

    ―Cento pesetas, signore, come sempre ―fece cenno il cameriere dal viso brillante e gentile,   Juan de la Torre y Arzúa tirò fuori una moneta dalla tasca e la mise sul bancone. Bevve il caffè e continuò a guardare le notizie. L’IBEX si aggirava intorno ai dodicimila e continuava a crescere, aveva guadagnato dodicimila punti negli ultimi cinque anni. Non avrebbe oltrepassato i dodicimilanovecento, Juan lo sapeva molto bene. Aveva informazioni di prima mano sulla bolla tecnologica, stava per scoppiare e i giornali confermavano le sue confidenze giorno dopo giorno. Era chiaro.

    Lui stava agendo bene, le sue azioni si vendevano al trecento per cento in più rispetto al prezzo di acquisto. Grazie alla sua posizione e alle sue relazioni, si era creato un portafoglio invidiabile di titoli, comprati per la maggior parte nel 1995, anno in cui il settore tecnologico iniziò a fare capolino. Ora, cinque anni dopo, quel settore aveva i giorni contati e Juan de la Torre y Arzúa aveva saputo approfittare della situazione. La borsa era così, come qualcuno giustamente disse: «Dimmi a che altezza entri per investire e ti dirò quanto guadagnerai». Era furbo. Si avvicinava un’altra bolla, quella immobiliare, la possibilità di guadagnare altro denaro lo aveva tentato in più di un’occasione. Ma non era così ambizioso. Nulla era cambiato sui mercati e nulla sarebbe cambiato, era l’avidità delle grandi imprese quella che dettava quale settore sfruttare, così si erano sviluppate le tendenze, sempre. E la cosa peggiore era che per l’avido non era mai sufficiente. Ma lui sì, avrebbe smesso a quel punto.

    Forse fra dieci anni, se avesse voluto tornare, avrebbe potuto unirsi al carro del nuovo settore che sarebbe scoppiato. Chissà. Adesso gli toccava ritirarsi, alla fine dell’anno si sarebbe disfatto di tutti i suoi titoli. La legge gli concedeva cinque anni per dichiarare i suoi profitti. Non lo avrebbe fatto, ovviamente, sorrise tra sè, orgoglioso del suo gioco. Una gran parte di quei profitti riposavano in Svizzera, insieme ad altri profitti di origine più oscura, per dirlo in qualche modo. Negli ultimi anni, anche lui aveva viaggiato abbastanza per l’Europa, e non per riposare, precisamente. Avrebbe avuto il tempo per farlo.

    Lo stress dentro e fuori dall’ufficio si stava facendo sentire. Gli costò molto uscire indenne dall’ultima revisione interna, c’erano sempre diverse gatte da pelare e lui aveva un’età in cui la mancanza di riflessi aveva conseguenze. Gli avevano soffiato che il suo ufficio era sul punto di ricevere la visita dei revisori esterni, dello stesso Banco de España. Maledetto Rojo, non ne aveva avuto abbastanza di Banesto[1] e adesso metteva i suoi segugi dietro BanCreg. Juan de la Torre y Arzúa sapeva che non avrebbe superato questo controllo. Avrebbe potuto andare in carcere se tutto fosse venuto alla luce; anche se il carcere non era la peggior cosa che gli si prospettava, la sua vita e quella della sua famiglia sarebbero state in pericolo. Non si fidava dei suoi «amici», in carcere sarebbe stato una elemento che sarebbe convenuto eliminare.

    Soddisfatto della decisione che aveva preso, piegò il quotidiano sotto il braccio e uscì dal bar dove era solito fare colazione prima di entrare in ufficio.

    Aveva iniziato a piovigginare. Diede qualche moneta al mendicante che negli ultimi mesi si era appropriato di una parte del marciapiede e accelerò il passo per attraversare al semaforo. Guardò il suo Patek Philippe Manta Ray in oro rosa, arrivava in tempo per la videoconferenza delle otto. Sentì un rumore di motore alla sua destra e, girandosi, vide il muso di un SUV nero a cinque metri di distanza, diretto verso di lui. Non ebbe il tempo di reagire. La macchina lo investì di fronte e se ne andò sparato per la via, per una trentina di metri. L’impatto fu così forte che riuscì a sentire il suono del suo cranio che colpiva il suolo.

    Non fu tutta la sua vita quella che passò davanti ai suoi occhi, come aveva sentito accadere. Al suo posto, pensò che le cose fossero così. Una pace immensa lo invase. Il cielo color cenere sporca lo invitava a lasciare questo mondo. Girò la testa e provò a tirarsi su. Non ci riuscì, non poteva muoversi. Il freddo iniziò a intorpidire tutto il suo corpo. Che tristezza, che fine tragica. Avrebbe preferito morire ad Alcalá Meco. Ricordò di non aver sentito nessuna frenata. Per un secondo, fu cosciente del suo corpo e non provò dolore. Nella sua mente arrivò il volto nitido del conducente prima che lo investisse, per un millesimo di secondo seppe quello che sarebbe successo. Ascoltò di nuovo il rumore di motori, non si sarebbe sforzato di alzarsi. Finiva tutto lì. Juan pensò all’avidità. Erano dieci anni che i suoi «amici» gli avevano messo gli occhi addosso e non avevano smesso fino a farlo esplodere. Guardò di nuovo il cielo prima che il SUV gli passasse sopra.

    3

    Il mendicante strizzò gli occhi per ringraziare il proprietario delle scarpe Martinelli delle monete di quella mattina che, come tutte le mattine, gli aveva dato. Invidiava le eleganti scarpe fatte su misura che si allontanavano verso le strisce pedonali. Dovevano valere almeno cinquanta pesetas. Con quel denaro avrebbe potuto vivere il resto della sua vita, non avrebbe più avuto bisogno di vino nel cartoccio per mantenersi. Dopo quelle di Martinelli, passarono delle scarpe Nike, abbastanza sporche, sicuro. Sentì che il proprietario diceva qualcosa di simile ad «Adesso» e le scarpe si allontanarono così come erano arrivate, correndo.

    Chiuse di nuovo gli occhi per aprirli un secondo più tardi, quando sentì un suono come di un colpo secco. Con la sbronza, la pioggia e la sua galoppante miopia, riuscì a malapena a distinguere il gentile signore delle Martinelli che volava in aria e che atterrava trenta metri più avanti sulla strada. Un SUV nero percorse a tutta velocità quei trenta metri e passò sopra il corpo del gentile signore delle scarpe Martinelli. Povero signore e povere scarpe. I clienti del bar uscirono a curiosare e a vedere la scena, qualcuno gridò:

    ―Chiamate un’ambulanza, presto! ―Il padrone del bar entrò di nuovo per chiamare il 118.

    Alcune automobili passarono vicino al corpo e i proprietari tirarono fuori il loro triangolo di emergenza, che collocarono perchè arrivassero più mezzi.

    Un’auto della polizia locale, con due agenti un po’ goffi nei movimenti, arrivò cinque minuti più tardi e isolarono la zona. L’ambulanza del 118 arrivò qualche minuto dopo e venne montato un dispositivo che mantenne le due corsie bloccate per tutta la mattina, fino a quando il medico legale con trench e cappello a falde larghe, diede l’ordine di alzare il cadavere.

    Il mendicante si dispiacque per la seconda volta della perdita delle eleganti Martinelli. Contemplò qualche secondo ancora la scena, ma era abituato a dormire per strada e come da molti anni, niente e nessuno gli toglieva il sonno, tornò al suo sogno rifugiato nei suoi cartoni.

    4

    Notava il pompaggio del sangue nella vena della fronte. Le sue mani rimanevano ben aggrappate al volante. Doveva allontanarsi dal centro il più in fretta possibile, ma non poteva guidare come un pazzo. Tirò fuori una sigaretta dal vano portaoggetti e l’accese con l’accendino della macchina. Aspirò il fumo e iniziò a notare l’effetto calmante della nicotina. Era morto? Domanda assurda, nessuno sarebbe sopravvissuto a un colpo così. Gli si ritorse lo stomaco ricordando lo scricchiolio delle ossa di quel disgraziato. Non sapeva nemmeno chi fosse. Tirò fuori il cellulare dalla tasca e ricambiò la chiamata che qualche minuto prima aveva ricevuto. Una voce senza fiato rispose dall’altro

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