Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Passi
Passi
Passi
E-book266 pagine4 ore

Passi

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Amareno Fabbri, commissario capo della questura di Bologna, si trova a dover risolvere una catena di omicidi efferati e misteriosi avvenuti in città, in una fredda notte di novembre. Dotato di intuito, ironia, passione per il suo lavoro, onestà, non si piega di fronte al potere, spesso corrotto e compiacente (una sorta di Serpico in salsa bolognese), arriverà alla fine a mettere luce sugli avvenimenti che coinvolgono un’umanità varia petroniana.
Un avvincente romanzo poliziesco, strutturato come una sceneggiatura cinematografica.

«Bologna è una strana città, raramente viene invasa dalla nebbia e le poche volte che arriva non supera mai certi confini invisibili. Uno di questi limiti invalicabili si trova all’imbocco della piazza dove scompare di botto per lasciare di nuovo spazio alle luci e ai rumori della città. Marisa si guarda attorno e pensa che la nebbia, soprattutto di notte, non è una bella compagnia. La fantasia ti costringe a vedere quello che c’è o capita a pochi metri e può ingannarti molto più della realtà».

ZAP & IDA, autori di alcuni libri di successo quali Fossa Italia (Comix pillole); il Nuovissimo Zapparelli Vaccabolario illustrato della lingua italiana (ed. Sonzogno, ed. Comix); I dubbi atroci (ed. Glenat Italia, ed. Bur, ed. Comix, Palma d’oro al Salone internazionale dell’umorismo di Bordighera); Un impegno concreto: un milione di poster (Perdisa Editore).
Autori di linee scuola con Auguri di Mondadori, Cartorama, Franco Panini Carterie. Ora nelle librerie e cartolerie con l’Agenda Umoristica 12 mesi TiraMISÙ (ed. Akena).
 
LinguaItaliano
Data di uscita27 mag 2016
ISBN9788861556270
Passi

Correlato a Passi

Titoli di questa serie (13)

Visualizza altri

Ebook correlati

Poliziesco per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Passi

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Passi - Zap e Ida

    Zap & Ida

    PASSI

    I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche), sono riservati.

    [email protected]

    [email protected]

    www.giraldieditore.it

    Segui Giraldi Editore su:

    Facebook

    Twitter

    pinterest

    Tumblr

    blogger

    ISBN 978-88-6155-627-0

    Proprietà letteraria riservata

    © Giraldi Editore, 2013

    Edizione digitale realizzata da Fotoincisa BiCo

    Ogni riferimento a fatti e persone realmente esistenti è puramente casuale o utilizzato dall’autore ai fini della creazione narrativa.

    CAST

    Marisa – prostituta

    Luana Bonvicini – seconda prostituta

    Giulio Ramponi – protettore di Marisa

    Amareno Fabbri – commissario capo

    Rossetti– agente di polizia

    Caputo – piantone del commissariato

    Sergio Galavotti – stimatore del Monte dei Pegni

    Antonio Maria Covili – figlio del giudice

    Dottor Riccardo Covili – giudice

    Arturo Bronzo, detto Stronzo – piccolo spacciatore

    Comm. Panzoli de’ Banchi – concessionario autosalone

    Maria Grazia Bonvicini – madre di Luana

    Alex Baruffi – giovane attore

    Marcello Guidi – giornalista del «Carlino»

    Dr. Luigi Birillio – questore

    Napoleone – ristoratore

    Giovanni – cameriere di Napoleone

    Cesare – cameriere di Napoleone

    Enzo – figlio di Napoleone

    Gloria – agente piccola e brutta

    Massimiliano Dolcetto – commercialista

    Athos Bonvicini – padre di Luana

    Jo (Gabriele Cantelli) – trans

    Andrea Vitali – commissario

    Aristide Buriani – medico legale

    Elisabetta Giardini – moglie di Panzoli de’ Banchi

    Franco Patitò – avvocato della Virtus

    Adolfo – ristoratore

    Marilù – poliziotta psicologa

    Anton Giulio Murri – padrone di Villa Fiorita

    Giusy Galavotti (Lava) – figlia di Galavotti

    Marta Galavotti – moglie di Galavotti

    Luciano – oste dell’osteria del Sole

    Paolo Onofri – guardone

    Giovanni Tamburini – salsamentarista

    Valerio Varesi – scrittore

    Paolo Ferrari – fotografo

    scritto da

    Zap & Ida

    edito da

    Giraldi Editore

    Primo tempo

    Marisa si gira convinta di vederlo ma alle sue spalle c’è il buio. I suoi occhi diventano due fessure per forare la nebbia, ma inutilmente. Non c’è anima viva.

    La notte gioca brutti scherzi, riflette prima di riprendere a passeggiare lungo il marciapiede che batte da qualche mese. La fitta nebbia viene di tanto in tanto violentata dai fanali di un puttaniere che rallenta all’altezza della donna per riprendere subito velocità. Marisa non è tranquilla e in quello stato non riesce a fare la carina con i rari automobilisti di passaggio, quei passi misteriosi le tamburano il cervello.

    Non è serata, pensa mentre estrae dalla borsetta il cellulare. Nell’attesa della risposta tenta di accendere una sigaretta, l’ultima del pacchetto, ma la voce anticipa la fiamma.

    – Sei tu? Vieni a prendermi, non mi sento bene. Cos’ho? E che ne so, non mi sento bene e basta, ti aspetto.

    Si appoggia al muricciolo che fa da base alla cancellata dell’ospedale psichiatrico di viale Pepoli Campogrande. La sigaretta non ne vuol sapere di essere fumata, anche stavolta il Bic si ferma a mezz’aria, la testa le scoppia.

    Non sono pazza, questo è un rumore di passi, e torna a guardare prima a destra, poi a sinistra ma vede solo nebbia, nient’altro che nebbia. Ora avverte anche un respiro affannoso.

    – Fatti vedere stronzo, che gusto ci provi? Mostrami il tuo muso di merda!

    – Che fai? Parli da sola come i matti che stanno lì dentro?

    È Luana, la sua vicina di marciapiede che fa ondeggiare la borsetta rossa, a mo’ di indicazione, verso il manicomio alle loro spalle.

    – C’è in giro un cretino che si diverte a farmi paura, non senti che respiro da maiale?

    Luana tende l’orecchio: – Devi aver mangiato qualcosa che ti ha fatto male, io non sento proprio niente.

    – Allora i problemi li ha il tuo udito, non il mio stomaco, sta ansimando come un bufalo!

    – Sì? E dove sarebbe nascosto secondo te?

    – Ciao bella – taglia corto Marisa – sta arrivando Giulio, io torno a casa, stasera mi prendo le ferie –. Lancia la sigaretta non ancora spenta oltre il cancello e sale sulla Mercedes nuova del suo uomo.

    – Beh? Cos’è ’sta storia che stai male? – l’apostrofa Giulio. – Domani scade la prima rata dell’auto e se tu batti fiacca mi spieghi come la pago?

    – Voglio cambiar posto, io su questo marciapiede non ci lavoro più.

    – E brava! Così perdi i clienti abituali, no cara mia, tu ora vieni in farmacia con me. Hai mal di testa? Bene, ti prendi due belle aspirine, poi ti riporto qui.

    Marisa sa quando è pericoloso contraddirlo e se ne rimane zitta, accovacciata sul sedile in pelle, nuovo e troppo grande per il suo culo. La nebbia, sempre più fitta, ovatta il brusio della notte. L’auto scivola lentamente in via Sant’Isaia, un gruppo di marocchini ubriachi lancia bottiglie di birra vuote contro le colonne dei portici e Giulio impreca contro il sindaco che non fa niente contro il degrado mentre cerca invano di evitare i cocci sul pavé di sampietrini. Le brusche sbandate acutizzano il mal di testa di Marisa ma il pensiero di quei passi fa da anestetico. Torna il silenzio mentre la Mercedes svolta a sinistra in piazza Malpighi. Bologna è una strana città, raramente viene invasa dalla nebbia e le poche volte che arriva non supera mai certi confini invisibili. Uno di questi limiti invalicabili si trova all’imbocco della piazza dove scompare di botto per lasciare di nuovo spazio alle luci e ai rumori della città. Marisa si guarda attorno e pensa che la nebbia, soprattutto di notte, non è una bella compagnia. La fantasia ti costringe a vedere quello che c’è o capita a pochi metri e può ingannarti molto più della realtà.

    La donna si sente rassicurata dai contorni delle case, dai lampioni e anche dai sarcofagi dei glossatori che troneggiano sulla sua sinistra, dietro la chiesa di San Francesco. Si è sempre domandata se dentro ci fossero o meno i rispettivi scheletri ma si guarda bene dal chiederlo a Giulio, ben sapendo che ad ignoranza non lo batte nessuno.

    La Mercedes imbocca via Ugo Bassi e nella notte le due torri si stagliano là in fondo. Anche se manca ancora quasi un mese a Natale sono già illuminate da cascate di lucine bianche che ne disegnano i profili. Bologna ha alcune farmacie che di notte si alternano in turni di apertura mentre una, quella più grande, è sempre aperta; la vigila col lungo tridente il Dio del mare. Giulio la conosce bene, tutte le sere deve rifornire le sue dipendenti di preservativi ed è diventato quasi uno di casa. La zona è riservata al traffico pedonale ma a quell’ora i solerti vigili urbani della Turrita, stressati dalle multe compilate di giorno, dormono sonni profondi. L’uomo parcheggia a fianco della fontana col gigante senza porsi eccessivi problemi, poi scende lasciando Marisa sola in auto nel buio illuminato a tratti dall’insegna verde della farmacia. La donna trasale, il rumore dell’acqua che zampilla dalle poppe delle sirene sotto il Nettuno viene interrotto da quello di passi che si avvicinano, seguiti dal respiro affannoso che ben conosce. Non sa che fare, la prima reazione è di appoggiare con violenza entrambe le mani sul clacson. Il silenzio della piazza viene squarciato dalle potenti trombe della Mercedes.

    – Bastaa! Vuoi svegliare tutta la città? Si può sapere che ti è preso? – le urla Giulio, di ritorno con una confezione di aspirine e una manciata di Hatù. L’uomo sale in macchina e le spinge via in malo modo le mani dal volante. Le allunga le aspirine e, quasi rassegnato, continua: – Devi star male sul serio, ti porto a casa e spero che le altre incassino anche quello che stasera non prendi tu.

    L’auto riparte lentamente, costeggia la basilica di San Petronio, poi prende via dell’Archiginnasio. Marisa cerca invano di individuare nel buio il suo tormentatore. Piazza Cavour, via Garibaldi, un giro attorno al palazzaccio di giustizia per fermarsi davanti al n. 13 di via Solferino, dove, non senza fatica, era riuscita qualche mese prima a trovare un piccolo monolocale.

    Chi si aspetta che nei pressi di un tribunale regni l’ordine e il buon vivere si sbaglia di grosso, almeno per quel che riguarda Bologna. La zona, pur specchio architettonico della bolognesità popolare con i portici bassi ed il rosso degli intonaci, è diventata una casbah dove raramente eccheggia un socc’mel o un sorbole, versione più castigata dell’intercalare petroniano.

    Marisa lancia a Giulio un cenno svogliato di saluto, scende ed entra nell’atrio lungo e stretto. L’interruttore scatta a vuoto, la luce non si accende. La porta del mini appartamento è l’ultima, là in fondo, e la ragazza cammina a braccia aperte per avvertire coi polpastrelli l’avvicinarsi del muro. A metà percorso trasale, dall’esterno, complice il portico, le arriva amplificato il rumore dei passi, i maledetti passi che la massacrano dentro e fuori. Rimbombano sinistramente e il cuore le sale alla gola. Raggiunge in apnea la porta del monolocale, infila a tastoni la chiave e richiude i passi nel buio e lungo corridoio. Accende la luce e con quella torna il respiro; mette il catenaccio, cerca invano una sigaretta nel pacchetto vuoto che fa una misera fine, stritolato dalla mano impazzita, e si lascia cadere a corpo morto sul letto, di traverso. I passi si fanno sempre più vicini.

    Cazzo! Non ho chiuso la porta del corridoio, riflette con gli occhi incollati al pomello di bronzo lucido. I passi si fermano e dopo un attimo infinito lo vede girare silenziosamente due volte su se stesso. Marisa scatta come una molla e corre ad appoggiarsi con le spalle all’entrata, estremo tentativo di difesa molto meno efficace del provvidenziale catenaccio. Le orecchie le portano il rumore dei passi nervosi che vanno su e giù per il corridoio. La donna svuota la borsetta sul letto nella spasmodica ricerca del cellulare. In mezzo al mucchio di cianfrusaglie, oltre all’apparecchio, individua una sigaretta quasi vuota. Non sa se prima telefonare o accenderla e per qualche attimo si ritrova in stato confusionale. Poi decide, ritrova una calma forzata e accende quei miseri resti, giusto tre boccate, quindi compone il numero.

    – Giulio, vieni subito! Sono stata seguita da uno sconosciuto che ora è qui nel corridoio, vieni subito o impazzisco!

    L’eternità, a volte, può essere di pochi minuti. La sigaretta consumata le brucia i polpastrelli. Mentre d’istinto la caccia a terra, suona il campanello. Dà il tiro e sente che il portone d’ingresso, da lei lasciato aperto ma evidentemente chiuso dallo sconosciuto entrato dopo, scatta e la porta si apre cigolando.

    – Giulio, sei tu?

    Le giunge in risposta un urlo strozzato, un rantolo, poi il silenzio. Ha ancora il cellulare stretto fra le mani e chiama il 113.

    – Presto, venite al 13 di via Solferino, deve essere successo qualcosa di tremendo!

    Solo quando sente le sirene e il vociare concitato degli agenti, Marisa toglie il catenaccio e fa capolino dalla porta. La scena che si presenta è agghiacciante; in una pozza di sangue giace riverso il cadavere del suo protettore sgozzato, o meglio quasi decapitato. È illuminato dalle torce elettriche di due poliziotti e quei fasci di luce nel buio accentuano il dramma. Un terzo agente è rimasto in macchina vicino alla radio di servizio che gracchia. Uno dei due fasci di luce si sposta dal morto e inquadra la donna.

    – Ti conosco, sei la Marisa di viale Pepoli e lavoravi per lui! – l’apostrofa uno della coppia.

    – E allora? – gli fa eco lei che, rassicurata dalla loro presenza, torna ad essere quella di sempre.

    – Allora tu vieni con noi in centrale, ci devi un mucchio di spiegazioni.

    Il secondo poliziotto, quasi un ragazzo, non dice nulla ma vomita abbondantemente in un angolo. La donna viene fatta accomodare sul sedile posteriore dell’auto, vicino al ragazzo che continua a star male. È in polizia solo da qualche giorno e non ha ancora fatto il callo a certe scene. Scatta improvviso l’istinto materno e cerca di consolarlo con qualche battuta per farlo pensare ad altro e per un po’ anche lei dimentica. La macchina sfreccia fra le vie deserte e due minuti dopo si ferma in piazza Roosvelt, la questura non dista da via Solferino che qualche centinaia di metri.

    Il palazzo incute timore e soggezione, è il solo edificio del centro storico che riecheggia l’architettura del Ventennio, inclusi alcuni simboli tanto cari al figlio del fabbro. Marisa quel posto lo conosce bene, in tre mesi di onorata professione all’aperto, sia lei che le sue amiche vi sono state accompagnate spesso per controlli. Il commissario Fabbri è stanco e scoglionato come tutte le volte che gli tocca il turno di notte. Maniaco della Virtus, ha piazzato un cesto (sequestrato tempo prima in un campo di basket non in regola con le norme di sicurezza) sulla parete di fronte alla scrivania e tenta di far venir mattino lanciandoci dentro un pallone firmato dai suoi idoli, una vera e propria reliquia. Ovviamente i lanci li fa da seduto, con i piedi allungati sulla scrivania. Ha ormai acquisito una tecnica tale che solo di rado deve alzarsi per recuperare la palla; il più delle volte infatti gli rimbalza fra le mani, di ritorno dal cesto.

    La ragazza viene accompagnata davanti alla porta del suo ufficio dall’agente di guardia che bussa timorosamente, ben sapendo quanto Fabbri detesti essere interrotto durante la partita solitaria.

    – Avanti! Chi è che rompe i coglioni a quest’ora?

    L’agente si affaccia: – Sono io signor commissario.

    La parolaccia che segue si interrompe a mezz’aria all’apparire di Marisa dietro il poliziotto. Non è certo miss Italia ma fa la sua figura e Fabbri cambia disco.

    – Entra, entra pure e siediti, io ho assoluto bisogno di un caffè e magari ne porto uno anche a te.

    La ragazza annuisce abbozzando un sorriso di ringraziamento.

    – Mi raccomando, non toccare niente che del casino qui ce n’è già abbastanza, vado e torno.

    Il commissario si allontana con il poliziotto che, tra gli altri compiti, ha anche quello di fornirgli la chiave per la macchinetta dell’espresso e Marisa rimane sola. L’ufficio di Fabbri è separato dal corridoio da una vetrata opaca alla quale lei, in quel momento, volta le spalle. La donna trasale, dietro di sé avverte l’inconfondibile rumore di quei passi che la perseguitano da ore. Si gira di scatto e oltre il vetro nota una sagoma scura che si avvicina per fermarsi proprio davanti all’ufficio dove si trova, poi si allontana e con lei scompaiono anche i passi. Il commissario rientra incazzato; la macchina del caffè è rimasta senza zucchero.

    – Mi scusi, ha visto chi era quel tipo nel corridoio? – chiede Marisa, timidamente.

    – Quale tipo? A quest’ora lì fuori c’è solo il piantone, che non può lasciare la guardiola d’ingresso.

    La ragazza reagisce stizzita: – Le garantisco che un attimo fa c’era qualcuno.

    La donna non sopporta l’idea di essere presa per visionaria e Fabbri, per tranquillizzarla, la prende sottobraccio e l’accompagna fuori dall’ufficio.

    Imboccano il corridoio e, camminando, il commissario bofonchia: – Di sicuro, se è entrato qualche sconosciuto il piantone lo ha visto per forza, vieni, andiamo a chiederglielo.

    In fondo al corridoio girano a destra e si ritrovano davanti alla guardiola, vuota.

    – Caputo! Dove cazzo sei finito? – urla l’uomo.

    Al suo fa eco un altro urlo, ma di terrore, che si strozza in gola alla ragazza, gli occhi sbarrati e fissi alla base della guardiola. Da sotto la gabbiotta di legno esce una macchia di sangue; sembra viva e si spande a macchia d’olio sul pavimento bianco. Il commissario estrae la pistola dalla cintura e si sporge oltre il bancone, il povero piantone giace a terra sgozzato. Le braccia e le gambe dell’agente si muovono senza ordine per qualche altro secondo, poi si fermano per sempre in una posa innaturale. In quel momento arriva il rumore della porta d’ingresso che si chiude sbattendo.

    Fabbri, pistola senza sicura in mano, corre verso l’esterno gridando alla ragazza: – Torna nel mio ufficio e gira la chiave, non aprire a nessuno.

    Marisa vorrebbe ubbidire al comando ma il suo sguardo resta incollato alla macchia rossa e i suoi piedi al pavimento. Il commissario, nel frattempo, rimane per qualche secondo immobile sotto l’alto portico d’ingresso della questura. Dalla piazza deserta gli giunge un rumore di corsa ma non riesce ad individuare la direzione. L’auto di servizio è lì, a due passi, come sempre aperta.

    Fabbri si ringrazia per questa strana abitudine, ogni secondo risparmiato è importante, e lancia l’allarme attraverso l’autoradio stando in piedi, appoggiato alla portiera.

    – Sono il commissario, tutte le volanti convergano in piazza Galileo. Fermate i tipi sospetti, anzi, fermate tutti gli uomini a piedi che incontrate nei pressi del commissariato.

    Dalle finestre di qualche appartamento vicino che si illuminano l’uomo capisce che quegli ordini li ha urlati a squarciagola. Si ricompone e continua a bassa voce: – Mandate subito anche un’ambulanza.

    Quasi svuotato, torna lentamente all’interno. Quando si accorge che Marisa è ancora davanti alla guardiola capisce lo stato in cui si ritrova la poveretta e non le dice nulla ma la sospinge verso l’ufficio; fuori, decine di sirene lacerano il silenzio della notte. Mentre i suoi uomini setacciano la zona e la guardiola viene invasa dai marziani in tuta della Scientifica, Fabbri interroga, o meglio parla alla donna.

    – Te la senti di raccontarmi per filo e per segno cosa ti è successo?

    Marisa respira forte, quasi a caricare le parole. – Stavo lavorando in viale Pepoli, proprio di fronte all’ospedale psichiatrico, quando ho avvertito per la prima volta quei passi, che saprei riconoscere fra mille. Assieme a me c’era Luana, una collega, ma è inutile interrogarla, lei non ha sentito niente.

    – Luana Bonvicini?

    Marisa non nasconde la sorpresa. – Sì, Luana Bonvicini, la conosce?

    – No, non personalmente, Luana Bonvicini è la prostituta trovata morta mezz’ora fa dietro la cancellata dell’ospedale psichiatrico. Non ho ancora ricevuto il rapporto del medico legale ma pare che anche lei sia stata sgozzata.

    – È troppo! – Marisa esplode in una scena isterica. Le convulsioni della donna cessano solo dopo un forte sedativo iniettato dal medico dell’ambulanza accorsa per il povero Caputo.

    – Tre omicidi in un’ora sarebbero troppi anche per Napoli ma per Bologna sono inconcepibili! – sbraita il commissario davanti ad una decina di agenti che guardano per terra e, così dicendo, batte forte il pugno sopra la scrivania.

    Nel frattempo iniziano a fare il loro ingresso in questura i fermati. Ben presto la sala d’attesa si riempie, sono una ventina. Si guardano attorno, chi con rabbia, chi con curiosità e chi con rassegnazione. Uno di loro accende una sigaretta.

    – Vietato fumare! Non sai leggere? – La voce è di una donna in divisa, piccola, brutta e grassa. La cicca finisce a terra e, nonostante il fil di fumo infastidisca a turno i presenti, nessuno si preoccupa di spegnerla.

    Dopo la sfuriata ai suoi uomini Fabbri cambia tono e, guardandola dritto negli occhi, chiede a Marisa: – Così tu hai solamente sentito dei passi, solo passi sia in viale Pepoli che a casa tua.

    – No, commissario, oltre ad averli sentiti anche in piazza Maggiore e qui nel corridoio, ho pure intravisto un’ombra dietro quella vetrata opaca, prima che lei tornasse con il caffè amaro.

    – Descrivimela.

    – Altezza: uno e settantacinque circa, testa grossa e corporatura sostenuta, o così almeno m’è parso ma forse indossava un cappotto.

    – Tu dici che sapresti riconoscere quei passi?

    – Glielo ripeto, fra mille!

    Il commissario Fabbri rimane un attimo in silenzio, poi chiama la poliziotta piccola, grassa e brutta.

    – Comandi signor commissario – gracchia l’agente anagraficamente donna.

    – Gloria, faccia camminare i fermati dietro quel vetro, uno alla volta.

    La nana cicciottella esce mentre i due girano le sedie verso la vetrata opaca per il confronto. Passa il primo, è troppo alto; il secondo come altezza ci siamo ma i passi non sono quelli. Alla fine i sospettati da venti si riducono ad otto. Nel gruppo ci deve essere per forza l’assassino, a quell’ora nei pressi del commissariato c’erano soltanto loro e nessun altro sarebbe riuscito a sfuggire alle maglie della polizia intervenuta in forze. Il commissario fa entrare gli otto nel suo ufficio; le ombre oltre la vetrata ora sono uomini, otto persone più o meno della stessa altezza che hanno passi più o meno simili. Marisa li guarda senza timore, la presenza del commissario la tranquillizza. I sospettati, pur fisicamente simili, sono evidentemente di estrazione e carattere assai diversi fra loro. Per alcuni attimi nel locale regna il silenzio più assoluto; a romperlo è Fabbri che si alza dalla poltroncina sdrucita della scrivania e sospira con aria rassegnata: – Signori, armiamoci di santa pazienza perché qui ne avremo per parecchio.

    L’ufficio è troppo piccolo per quella folla e, facendo

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1