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Il Mugnaio
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E-book210 pagine2 ore

Il Mugnaio

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Info su questo ebook

Un luogo, l'Argentina dalle infinite pianure e possibilità, e un tempo, quello dei grandi mutamenti dagli anni '60 ai '90, che già da soli valgono il viaggio. Il presente di Raquel si divide tra le sue passioni: quella per i cavalli che adora e alleva nel suo ranch, la Sierra do Est; e quella per il marito, Jorge Mendel, che le ha cambiato la vita, un uomo d'affari spesso in viaggio per lavoro. Finché un giorno il Passato, nelle vesti di uno sconosciuto, viene a bussare alla sua porta, costringendola a uno sconvolgente viaggio nel tempo e negli sconfinati spazi argentini, al termine del quale nessuna verità sarà più quella di prima. Perché a volte la ruota della Storia gira al contrario.
LinguaItaliano
Data di uscita28 nov 2019
ISBN9788831650359
Il Mugnaio

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    Anteprima del libro

    Il Mugnaio - Valeria Valcavi Ossoinack

    Nietzsche

    Prologhi

    1.

    Villa Allende, Argentina, 1958.

    Il rumore di un’auto, il bambino guardò fuori.

    - Xavier, è papà? - gli chiese la donna.

    - No mamma, è la Corvette del tedesco.

    2.

    8 luglio 1963.

    Alla radio era appena stato dato l’annuncio che l’Unión Cívica Radical del Pueblo aveva vinto le elezioni.

    Nella tranquilla cittadina di Villa Allende, qualcuno era già uscito per strada a festeggiare, nonostante il freddo. Teresa diede un’occhiata dalla finestra, poi mise la pentola sul fuoco e chiamò il figlio.

    - Xavier, vieni a darmi una mano!

    Il ragazzo chiuse il libro di scienze e andò a lavarsi le mani. Era la sua materia preferita, soprattutto quando studiava gli animali, perché da grande voleva diventare veterinario. La sua passione erano i cavalli. Suo padre gliene aveva regalato uno pochi mesi prima, per il suo quindicesimo compleanno: un anglo-argentino nero che aveva chiamato Diablo.

    La domenica andava spesso con il suo amico Carlos e il fratello più grande, Tomás, che gli aveva insegnato come montarlo. L’ultima volta lo aveva lanciato al galoppo, e gli era sembrato di volare. La famiglia di Xavier non aveva ancora un posto dove tenerlo, così il fratello di Carlos lo aveva portato nel ranch dove lavorava, ma era distante da casa, e Xavier non poteva vederlo ogni volta che voleva. Suo padre gli aveva promesso che avrebbe chiesto in giro, e chissà, un fazzoletto di terra a buon prezzo nei dintorni poteva sempre uscire fuori: in Argentina, se c’era una cosa che non mancava, era la terra. 

    Arturo Illia sarebbe stato il nuovo Presidente.

    In strada c’era sempre più gente a festeggiare, qualcuno aveva portato del vino. Un uomo iniziò a cantare "Oíd, mortales", l’inno nazionale, ma era ubriaco, non si ricordava le parole e smise quasi subito.

    - Mamma, che succede?

    - Ha vinto Illia.

    - È una cosa buona, vero?

    - Chiedilo a tuo padre.

    - Stavolta resterà?

    - Nessuno resta.

    In Argentina i governi cambiavano come cambia il tempo. Era meglio non dire quello che si pensava a voce troppo alta, non era mai una buona idea: qualcuno sarebbe potuto arrivare di notte per portarti via. Successe a Juan Torres, il vicino di casa, lo caricarono su una camionetta e non tornò più. Xavier si ricordava che c’era la moglie che gridava, e pregava quegli uomini, e i figli piangevano. Successe anche a Rodolfo Gatti, il socialista, e quando tornò non parlava quasi più.

    Ma ora le camionette non sarebbero più venute. Almeno fino alla prossima volta.

    Teresa guardò l’orologio, suo marito sarebbe stato a casa a momenti. Insegnava Storia all’Università di Cordoba, venti minuti di strada, mezz’ora quando pioveva forte. Non era il tipo da fermarsi nei bar.

    Se qualcuno avesse chiesto in giro di Osvaldo Varela, gli avrebbero risposto tutti che era un brav’uomo, uno che pensava solo alla sua famiglia, ai libri e ai suoi studenti. Per lui, figlio di contadini, essere arrivato nella sua posizione era qualcosa di inimmaginabile: sei eri nato a La Cocha, un punto sperduto sulla cartina nella provincia del Tucumán, il più delle volte ci morivi. Era stato così per i suoi genitori, e per i suoi nonni.       

    Osvaldo era un intellettuale, appassionato di storia europea. Spesso, dopo cena, si chiudeva nel suo studio e scriveva lunghe lettere, che poi mandava per Posta Aerea al di là dell’Oceano. Un paio di volte era stato in Europa per delle conferenze.

    - Non vieni a letto?

    - Ancora un momento.

    - Non fare tardi.

    - No, promesso.

    - Lo dici sempre.

    Teresa faceva finta di crederci.

    - Buonanotte.

    - Buonanotte, amore.

    Quel momento poteva durare ore. Qualche volta, quando faceva giorno, Osvaldo era ancora alla sua scrivania. Era capitato la settimana prima: era già passata l’alba, quando si era alzato dalla sedia per preparare il caffè e la colazione. Se riusciva, riposava un’oretta nel pomeriggio, nel suo ufficio, su quel divano troppo corto e troppo stretto.

    Xavier finì di preparare la tavola, era allegro, aveva preso due bei voti. A scuola, Xavier s’impegnava sempre al massimo, era tra i primi della classe. Fisicamente aveva i lineamenti di sua madre e l’espressione di suo padre.

    Si sentirono dei botti, forse uno sparo, ma era normale: sparavano sempre quando vinceva qualcuno.

    3.

    23 luglio 1963.

    A Villa Allende ormai lo avevano saputo tutti: erano un paio di settimane che Osvaldo Varela mancava da casa e nessuno aveva una spiegazione.

    Non era uno da colpi di testa, o da sbandate improvvise, e non aveva mai avuto comportamenti strani, o qualcosa che lasciasse presagire quello che sarebbe avvenuto. E non c’entrava neanche la politica, perché Osvaldo non aveva mai espresso idee o critiche che potessero dar fastidio a qualcuno, non in pubblico, era uno prudente. Ma era un intellettuale, e si sa che gli intellettuali ai militari non piacevano, ma da qualche settimana la giunta di José María Guido non era più al potere.

    Non c’era di mezzo un’altra donna, perché Osvaldo Varela era un marito fedele, su questo non c’erano dubbi. Teresa era una donna fortunata. Almeno lo era stata, perché ora era disperata: non sapeva dove cercare, a chi chiedere, cosa pensare. Passati due giorni dalla sera in cui non era tornato, era andata dalla polizia, che le disse di non preoccuparsi, che qualche volta gli uomini avevano solo bisogno di un po’ d’aria, ma prima o poi ritornavano, e in ogni caso, le avevano fatto capire che un uomo adulto poteva fare quello che voleva, anche andarsene lasciandosi alle spalle la famiglia: succedeva in continuazione. Lei sapeva che Osvaldo non ne sarebbe mai stato capace, ma i poliziotti no.

    Quella sera, la sorella di Teresa e il marito andarono a prendere Xavier e lo portarono a casa loro, per lasciarla libera di piangere e di fare quello che doveva. E al ragazzo, la compagnia dei cugini e una parvenza di vita normale avrebbero fatto bene.

    Il giorno dopo, lei ritornò alla stazione di polizia, e quello dopo ancora, a chiedere aiuto, dicendo che non era possibile che se ne fosse andato di sua volontà, e che era loro dovere fare qualcosa. Dopo una settimana, finalmente, le diedero ascolto, per sfinimento più che per convinzione. Avviarono le ricerche nei dintorni, sperando di trovare almeno la sua automobile. Entrarono in casa sua e frugarono tra le sue carte, in cerca di una spiegazione o almeno di un indizio: c’erano documenti, appunti sparsi dappertutto e alcune lettere, che si portarono via per studiarle meglio. Niente biglietto d’addio, ma nessuno che lo conoscesse veramente se lo sarebbe aspettato: uno come lui non sarebbe mai fuggito, e meno che mai si sarebbe ammazzato, questo era sicuro.

    Andarono anche all’Università di Cordoba, dove Osvaldo Varela insegnava, e interrogarono tutti quelli che lo conoscevano, professori e studenti, ma nessuno di loro sapeva niente. E non furono d’aiuto.

    Negli ultimi giorni avevano cominciato a cercare anche a nord, verso il Desierto de Las Salinas Grandes, ma la zona era troppo estesa. Un'area di seimila chilometri quadrati di deserto salato, non era facile da perlustrare, la polizia faceva il possibile, con gli uomini a disposizione, era difficile cercare per chilometri nel nulla e su un terreno così ostile. La regione di Cordoba era grande e succedevano tante cose, oltre la scomparsa di un uomo adulto, che probabilmente era volontaria.

    Per esperienza, i poliziotti sapevano che spesso le persone non erano quello che sembravano. E questo valeva per tutti, anche per Osvaldo Varela.

    4.

    Genova, Italia, 20 aprile 1946.

    La motonave Marco Polo salpò dal porto di Genova alle undici del mattino, diretta in Argentina.

    A bordo c’erano quattrocentoventi passeggeri, quasi tutti alla ricerca di una nuova vita. In molti scappavano: chi dalla fame e dalla povertà, e chi da qualcos’altro che non si poteva dire. Tra di loro, c’erano anche Hermann e Vera Müller, e il figlio, che aveva solo sette anni.

    La traversata sarebbe dovuta durare quindici giorni, ma ce ne misero due in più, perché trovarono tempesta all’altezza dell’isola di Sant’Elena.

    Alle dieci di sera del 7 maggio, finalmente videro le prime luci del porto della città di Buenos Aires.

    Aprile 1992

    5.

    Sierra de Los Padres, Argentina.

    Raquel amava quel posto. Ci andava tutte le volte che voleva stare da sola a pensare, o anche solo a godersi lo spettacolo a perdita d’occhio della natura, sotto di lei. Era una piccola collina, non arrivava a duecento metri di altezza e non aveva neanche un nome, se non quello che Raquel gli aveva dato: El Refugio.

    La Sierra de Los Padres era un’area con una superficie di un migliaio di ettari, a ovest di Mar del Plata, un susseguirsi di colline e valli, corsi d’acqua, boschi, sentieri, grotte preistoriche e un piccolo lago. Una riserva naturale che era diventata negli ultimi anni mèta dei marplatentes, soprattutto nelle belle giornate d’autunno, per prendersi una boccata d’aria buona, o fare una passeggiata a cavallo.

    Il ranch Sierra do Est era il più grande della zona. Jorge Mendel lo aveva regalato a sua moglie Raquel, il giorno del loro matrimonio.

    Raquel scese da cavallo, un bellissimo silla di tre anni, si sedette su una roccia con la Sierra davanti agli occhi, e ripensò a com’era cambiata la sua vita da quando aveva conosciuto Jorge.

    Era successo un giorno di novembre, quando lui era entrato nella sua agenzia di viaggi. Lei era giovane, e aveva solo un’amica con cui lavorava e che la seguiva nell’attività, aperta poco più di due anni prima.

    Quella volta fu Raquel ad accogliere il cliente. Jorge Mendel, così si chiamava. Un uomo distinto, ben vestito, con una bella voce e modi raffinati. Uno che non potevi fare a meno di notare. Raquel si ricordava ancora cosa indossava Jorge quel giorno di quasi dieci anni prima, tanto l’aveva colpita: un completo color sabbia e una camicia di lino bianca, occhiali Ray Ban fumè, mocassini in pelle. Sembrava uscito da un film sulle colonie inglesi.

    Raquel lo accolse con un certo entusiasmo, forse un po’ troppo. Non riceveva tutti i clienti a quel modo. Ricordandolo, rise tra sé e sé. Fecero qualche battuta. Le piaceva anche il suo modo di ridere.

    Mentre lui consultava i depliant, lei si scambiava occhiate con la sua amica Ania. Entrambe sorridevano come ragazzine. Jorge le disse in seguito che se n’era accorto.

    Jorge era più grande di Raquel. Quando si conobbero, era un uomo maturo di quarantatré anni, con tutto il fascino e l’esperienza della sua età, mentre lei ne aveva poco più di ventotto. Dopo quella volta si rividero ancora, e ancora, fino al giorno del loro matrimonio, che avvenne circa due anni dopo il loro primo incontro.

    Jorge viveva a Sierra de Los Padres, e Raquel a Rosario. La distanza era veramente tanta per riuscire a mantenere una relazione, così Raquel andò a vivere con lui.

    Jorge, per il matrimonio, le regalò il ranch Sierra do Est. Raquel vendette l’agenzia di viaggi. Le dispiacque lasciare il suo lavoro.

    Col pensiero tornò a quando aveva ventisei anni. Era il 1980, si era laureata e, dopo qualche lavoro temporaneo, stava cercando uno o due locali dove poter aprire un’agenzia di viaggi.

    Suo padre Vicente, funzionario dirigente della Municipalidad, la stava aiutando: erano due settimane che giravano da un posto all’altro senza risultati; e il padre stava iniziando a non poterne più.

    Erano passati dodici anni, ma lei si ricordava ogni parola:

    - Non va bene, - aveva detto Raquel.

    - Non ti piace la posizione? – aveva chiesto il padre.

    - Come fa a non piacermi… è di fronte alla basilica.

    - Arrivi in fondo alla strada e sei al fiume.

    - Lo so, papà.

    La città era Rosario, la terza dell’Argentina, una città viva e moderna, costruita sulla sponda sinistra del Paranà, e per dare un’idea di come fosse fatta, bastava prendere un foglio di carta a quadretti e ruotarlo verso destra: un’enorme griglia di strade e di incroci tutti uguali.

    - E allora cosa c’è che non va stavolta? Non è abbastanza grande? Mi sembra di sì: ha due belle vetrine, e c’è sempre movimento qui fuori. Guarda, ha anche il soppalco.

    - Papà, costa troppo!

    - Ti ho detto che ci pensiamo io e la mamma.

    -

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