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Condannati
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E-book479 pagine6 ore

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Info su questo ebook

Dopo otto anni di prigione, il ventiquattrenne Jordan Kane è l’uomo che tutti odiano.
Costretto a tornare nella sua città natale, durante la libertà vigilata, Jordan scopre che lì niente è cambiato da quando è stato rinchiuso in riformatorio. È un reietto, evitato da tutti, anche dai suoi stessi genitori. Ma la loro avversione non si avvicina nemmeno lontanamente al disprezzo che prova ogni volta che si guarda allo specchio.
Arrangiandosi con alcuni lavoretti per la chiesa locale, Jordan attende il momento opportuno per andarsene da quella arretrata città. Ma la distanza sarà in grado di cancellare i ricordi che lo perseguitano? Intrappolato nella prigione della mente, si domanda se lo strazio di vivere si placherà mai.

Torrey Delaney è nuova in città, è tornata per stare con sua madre, e non si comporta come gli abitanti si aspetterebbero dalla figlia di un pastore. La sua reputazione di ragazza facile è sulla bocca di tutti. Se poi a questo si aggiunge la sua nuova amicizia con il duro ex detenuto, ora uomo tuttofare, sua madre è tutt’altro che felice della brutta strada intrapresa dalla figlia.
L’amicizia tra i ragazzi diviene via via più profonda, ma due persone segnate dalla vita possono essere in grado di portare la loro relazione a un livello superiore? Torrey riuscirà a convivere con i demoni di Jordan, e Jordan sarà in grado di abbattere le difese di Torrey? Con la disapprovazione di una piccola città che grava pesantemente su di loro, troveranno il loro posto nel mondo? Avranno la forza di lottare contro le avversità o il loro mondo verrà brutalmente fatto a pezzi?

L’amore è una condanna a vita?
LinguaItaliano
Data di uscita20 gen 2020
ISBN9788855310864
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    Anteprima del libro

    Condannati - Jane Harvey Berrick

    Il giudizio

    Torrey

    Il trambusto del mattino era quasi terminato. Dopo un’esperienza di due giorni al Busy Bee Family Diner, sapevo che sarebbe stato tutto tranquillo fino all’ora di pranzo.

    Gettai un’occhiata alla strada principale dove né un’auto né un camion si curavano di fermarsi, e osservai i mulinelli di polvere vorticare nella pigra brezza estiva. Quello era il massimo dell’eccitazione cui si poteva aspirare. Che schifosa topaia.

    Servire ai tavoli non era esattamente il lavoro dei miei sogni, né il posto in cui mi sarei aspettata di essere a ventiquattro anni, dopo aver ottenuto un diploma in un college di prestigio diversi anni prima. Ero davvero scioccata di ritrovarmi a fare la cameriera, il lavoro che avevo svolto quando ero adolescente. Ma mi piaceva mangiare e non potevo affrontare l’idea di strisciare di nuovo da mio padre per chiedergli una donazione per il Premio alla Carriera di Torrey Delaney (in sospeso). Per l’ennesima volta, mi avrebbe solo rimproverato per aver lasciato il mio appartamento e il mio ottimo lavoro.

    Be’, sì, quando sei andata a letto con il capo che poi ti ha scaricata e trattata come una merda, secondo me, non vale la pena rimanere aggrappati a nessun lavoro. E ci avevo riflettuto molto.

    Tutte le mie amiche stavano avendo successo con le loro carriere e avevano dei progetti, qualcosa. Non potevo sopportare di dormire su divani e vedere la pietà nei loro occhi mentre indossavano abiti eleganti, tacchi alti e si dirigevano verso il loro ben retribuito impiego.

    Tutto ciò che sapevo era che dovevo lasciare Boston e iniziare da capo, altrove. Inoltre, mio padre si era appena risposato con una troietta con le tette di silicone, di qualche anno più grande di me, e nessuno dei due mi voleva tra i piedi. Sentimento reciproco.

    Così, alla fine, avevo chiamato mia madre, per la prima volta dopo sei anni, e avevo accettato la sua offerta di una camera in culo al mondo, in una cittadina sperduta sulla costa del golfo del Texas.

    Oh, era stata felice di aiutarmi e aveva ringraziato il Signore perché la sua figliola prodiga, finalmente, tornava da lei. Certi sogni, purtroppo, nascono per essere infranti. La sua idea di seratine intime, trascorse a leggere insieme brani della Bibbia, per vivere dei piacevoli momenti fra madre e figlia, non era in sintonia con il mio desiderio di stare fuori tutta la notte ed essere lasciata davanti alla porta della canonica prima dell’alba, da un ragazzo che guidava un pick-up.

    Sì, ero sulla bocca di tutti in città. Almeno credevo.

    Ero stata fortunata che i proprietari del Busy Bee fossero stati a corto di personale, altrimenti avrei dovuto guidare per oltre sessanta chilometri per raggiungere Freeport, o per una cinquantina per arrivare a Corpus Christi per cercare lavoro. Senza dubbio, in città le mance sarebbero state migliori, ma avrei speso un sacco di soldi in benzina, oltre al tempo sprecato per muovermi avanti e indietro. La gente qui non era di certo molto generosa, a meno che non si trattasse di consigli che non avevo alcuna voglia di ascoltare.

    Estrassi il cellulare e iniziai a scrivere un messaggio a un tizio con cui ero uscita e che ritenevo valesse un secondo tentativo. Non era stato affatto male per essere un ragazzo di campagna, ed era stata una discreta distrazione.

    Doreen mi lanciò un’occhiataccia. Niente di nuovo. Ero convinta che fosse nata con un manico di scopa nel culo. O, forse, trent’anni di servizio ai tavoli l’avevano inaridita e frustrata come un branzino spiaggiato. Almeno l’espressione era la stessa.

    Avevo appena premuto il tasto invio quando la vecchia campanella sopra la porta tintinnò. Sollevai lo sguardo. Quello sì che fu un lungo sorso d’acqua fresca in una giornata torrida. Alto, oltre il metro e ottanta, trasandato, con i capelli biondo sabbia forse un po’ troppo lunghi, tatuaggi su entrambe le braccia fino al gomito, zigomi su cui ti ci potevi limare le unghie, e labbra perfette da mordere.

    Spinsi in fuori un fianco; una mossa che mostrava al meglio il mio fondoschiena. L’unico problema era che il ragazzo sembrava più interessato alle sue scarpe che a me. Forse non gli piacevano le ragazze. Strano che il mio gay-radar non funzionasse, ma non si poteva mai sapere.

    All’improvviso, mi resi conto che ogni conversazione si era bloccata e che tutti quegli zotici di clienti fissavano il nuovo arrivato. Sì, pensavo fosse carino, ma non credevo che quello fosse il motivo per cui i fratelli Vardry, Chuch e Mo lo stessero squadrando, o la ragione per cui i due adolescenti nell’angolo avessero gli occhi fuori dalle orbite.

    Il tipo figo fremette per l’imbarazzo, come se avvertisse gli sguardi rimbalzare sulle ampie spalle.

    Strano che Mister Bello e Scopabile, uno con tutti quei muscoli su cui far scorrere la lingua, fosse tanto timido.

    «Cosa posso portarti, bellezza?» gli chiesi, ignorando il sibilo infastidito di Doreen.

    «Ehm, posso avere un caffè da portare via?» domandò esitante, evitando il contatto visivo sia con me sia con chiunque altro.

    Non riuscii a distinguere il colore dei suoi occhi, ma le ciglia erano troppo lunghe e belle per un ragazzo. La vita era davvero ingiusta!

    «Certo! Te lo porto subito, dolcezza.»

    «No» abbaiò Doreen.

    Increspai le sopracciglia e guardai la mia collega, che aveva il viso inacidito, violaceo dalla collera.

    Il tizio curvò ancora di più le spalle e non ribatté. Abbassò la testa e lasciò il locale.

    «Cosa diavolo è successo?» chiesi voltandomi e fissandola, stupita.

    «Ho buttato fuori la spazzatura» replicò con tono maligno e andò in cucina continuando a brontolare.

    Non capii cosa stesse accadendo, ma non avrei trattato nemmeno un cane randagio in quel modo. Versai del caffè in una delle tazze di carta che usavamo per l’asporto e andai a cercarlo.

    Giunsi in tempo per vedere il ragazzo che saliva su un pick-up malandato.

    «Ehi!»

    Mi fissò e, per una frazione di secondo, i nostri occhi si incrociarono. Scorsi delle splendide e intense iridi marroni, tanto profonde da poterci nuotare.

    Realizzai che non avevo aggiunto altro e che lui mi stava ancora osservando.

    «Te ne sei andato senza il caffè.»

    Gli rivolsi il mio miglior sorriso, ma lui aveva già abbassato lo sguardo.

    Gli porsi la tazza di carta e, per un istante, pensai che non intendesse prenderla.

    Poi sporse la mano attraverso il finestrino del pick-up. Notai che aveva tatuata, sul dorso del polso, la parola amore, e mi domandai se sull’altro avesse odio.

    Prese il caffè senza dire niente, nemmeno un grazie, e la cosa mi infastidì. Poi avviò il motore e si allontanò.

    «Che stronzo!»

    Scossi la testa, sempre più determinata ad andarmene da quel paesino da quattro soldi.

    Quando rientrai, Doreen aveva accumulato un bel po’ di rabbia.

    «Cosa accidenti credevi di fare, servendo del caffè a quel ragazzo, correndogli dietro come una cagna in calore?»

    Spalancai la bocca per la sorpresa. Sapevo che Doreen era una vecchia cicciona inaridita, ma non mi si era mai rivolta con modi tanto sgarbati.

    «Cosa c’è che non va in questa città?» rimbeccai. «Un ragazzo timido ed educato entra per un caffè e lo tratti come se fosse spazzatura!»

    «Non fare l’impertinente con me, Signorina So-Tutto-Io! Tua madre sarà anche un pastore, ma tu non sei immacolata come vorresti fare credere!»

    «Che cosa significa?» strillai.

    «Hai appena perso il lavoro, signorina!» sbottò Doreen con il volto in fiamme.

    «Sai cosa me ne importa. Tanto non mi piaceva puzzare di grasso di bacon tutti i giorni.»

    Affondai la mano nel vaso delle mance e infilai il contenuto in tasca.

    «Lo considererò come la mia liquidazione» sogghignai verso la vecchia strega.

    «Rimetti a posto il denaro!»

    «E tu ricordati di lavarti le mani quando usi il bagno delle signore» le gridai da sopra una spalla, gettando il grembiule sul tavolo più vicino.

    La campanella tintinnò allegramente mentre sbattevo la porta della caffetteria dietro di me.

    Visto che al momento ero disoccupata – e lo sarei rimasta per quanto riguardava quella cittadina di merda – decisi di trascorrere il resto del giorno sulla spiaggia che si trovava a soli dieci minuti di distanza, a occuparmi della mia abbronzatura.

    Salii sulla mia amata Pontiac Firebird, accarezzando la carrozzeria prima di allacciare la cintura. Aveva più di vent’anni ed era uno degli ultimi modelli della terza generazione, uscito dalla produzione di Van Nuys. Rosso fuoco, mi ricordava un camion dei pompieri, e faceva cinque chilometri con un litro di carburante in una buona giornata, e io la amavo.

    Forse spinsi il motore un po’ troppo prima di uscire dalla cittadina in una nuvola di polvere.

    Guidai per alcuni chilometri lungo la costa e, alla fine, trovai una distesa di spiaggia vuota a Matagorda Bay.

    La sabbia bianca si estendeva per chilometri in entrambe le direzioni, contornata da ciuffi d’erba. Non c’era nessuno in giro, neppure tracce di pneumatici che mostrassero che qualcuno era stato lì.

    Abbandonai l’auto sul ciglio della strada sterrata e avvertii il calore del sole sopra la testa mentre la luce si rifletteva sull’oceano blu. Lasciai i finestrini aperti, sicura che nessuno mi avrebbe rubato la macchina, lì in mezzo al niente. Percorsi la breve distanza per raggiungere la riva, desiderando avere qualcosa di più di una semplice bottiglia d’acqua di rubinetto vecchia di tre giorni per rinfrescarmi. Ma desiderare non serviva a nulla, perciò misi il culo sulla sabbia, mi tolsi la maglietta e il reggiseno, e poi mi liberai dei jeans e degli slip.

    Detestavo i segni dell’abbronzatura.

    Probabilmente dormii per circa due ore perché, quando riaprii gli occhi, il sole si era spostato. Nel mucchio dei miei abiti, il cellulare vibrò, scuotendomi da uno strano sogno in cui Doreen cercava di mandarmi a pescare branzini.

    Esaminai lo schermo. C’erano due messaggi. Caspita, dovevo essere stata fuori combattimento parecchio tempo, perché il primo era di un’ora prima e non l’avevo sentito. La buona notizia era che Clancy – il ragazzo che avevo rimorchiato – era libero e felice di vedermi al bar della città vicina, come avevo proposto.

    Era più una birreria che il tipo di locale che ero solita frequentare, ma non avevo pianificato di restare troppo a lungo, prima di farmi un giro con Clancy sul retro del suo furgone. Sperai solo che fosse bravo come ricordavo. Anche se, a essere sincera, i dettagli erano un po’ confusi.

    La brutta notizia era che mia madre era venuta a sapere che ero stata licenziata dal Busy Bee dopo il record di due giorni. Avrei dovuto immaginare che le voci si sarebbero diffuse con rapidità in una piccola città. Non sapevo come lei potesse sopportarlo. Ritenevo mia madre una brava persona. Almeno, cercava di esserlo.

    Non era tanto ipocrita quanto molti pastori di cui avevo sentito parlare e, come me, aveva una profonda avversione per gli abiti di poliestere. Tuttavia, non andavamo molto d’accordo.

    Per i miei primi tredici anni, la nostra vita era stata quella della classe media. Poi mia madre aveva trovato Dio, o forse Dio aveva trovato mia madre, non lo sapevo. Si era convinta di aver ricevuto la chiamata, e non quella di essere moglie e madre. Aveva la missione di divulgare la parola di Dio.

    Ironicamente, questo aveva portato i miei a divorziare. A mio padre non andava di passare in secondo piano rispetto a un tizio più importante di lui, per così dire. E a me non piaceva essere la brava bambina che aspettava sempre una mamma occupata a risolvere i problemi altrui, ritenendo quelli di sua figlia meno importanti.

    Ripensando al passato, forse eravamo state egoiste, ma anche mia madre avrebbe dovuto farsi un esame di coscienza per rendersene conto.

    In ogni caso, al termine della sua preparazione al seminario, aveva ottenuto il primo incarico nel profondo Sud. Un mondo lontano rispetto a una grande città come Boston, e potevo solo immaginare come potesse essere stato difficile per lei, una donna liberale, adattarsi.

    Poi si era trasferita in Texas e, da quanto mi aveva raccontato, per i primi sei mesi la chiesa era rimasta vuota perché la gente preferiva ascoltare i sermoni da un uomo e non da una donna che, per giunta, era una Yankee.

    Alla fine, la sua persistenza aveva dato buoni frutti. Ero lì da due lunghe, deprimenti settimane e dovevo ammettere che provavo un riluttante rispetto per lei. Diavolo, non avrei resistito a lungo in questo Stato, figuriamoci in questa città. E non intendevo nemmeno provarci.

    La mia mente tornò al figo nella caffetteria e mi domandai che crimine avesse commesso per diventare il reietto locale. Forse si era scopato la figlia dello sceriffo. Naaa, l’avevo conosciuta al ristorante, una volta. Doveva essere caduta dall’albero della bruttezza e, mentre volava giù, doveva aver sbattuto su ogni singolo ramo. Inoltre, era talmente rigida e bacchettona che lui avrebbe dovuto utilizzare un piede di porco per divaricarle le gambe.

    Comunque, qualunque cosa avesse fatto distoglieva l’attenzione da me. Non che mi importasse come venivo definita, ma non volevo rendere le cose più difficili a mia madre. Forse ero davvero una causa persa.

    Decisi che il giorno successivo mi sarei messa a cercare un altro lavoro. Che palle!

    Mi avviai verso l’acqua per togliermi la sabbia da punti interessanti in cui si era infilata. Proprio in quel momento, mentre mi ripulivo, un paio di pescatori si godettero la vista.

    «Ehi, signora sexy! Sei uno spettacolo per i miei occhi stanchi!»

    «Probabilmente ti masturbi così tanto che stai già per diventare cieco» replicai.

    L’amico rise a crepapelle battendogli sulla schiena. Il mio contributo al divertimento fu mostrare loro il dito medio.

    Decisero di tentare la fortuna, perché parvero volere tirare in secco la barca. Indossai i jeans sulle gambe umide e infilai la T-shirt prima che riuscissero a raggiungere la riva. Partii, facendo stridere gli pneumatici, e con una tale velocità che probabilmente avrebbero respirato il mio gas di scarico per un’ora.

    Arrivata a casa, mia madre non c’era, il che non mi sorprese. Era quasi sempre in giro, di giorno e di notte. Il lavoro di Dio la impegnava parecchio. Mi chiesi quale assicurazione sanitaria Lui le fornisse. Le riconosceva l’assistenza odontoiatrica?

    Feci una doccia e pensai a cosa indossare. Non avevo tirato fuori dalla valigia nessuno dei miei abiti da città, perciò non avevo tantissima roba tra cui scegliere, ma più che sufficiente per Clancy. Anche se il mio culo era fantastico con i jeans attillati, una gonna avrebbe fornito un accesso più facile per ciò che avevo in mente. Sperai che Clancy avrebbe apprezzato il sacrificio che stavo compiendo per lui.

    Scelsi una minigonna di jeans e una canottiera blu non troppo volgare. Vi abbinai una giacca di jeans, assicurandomi di avere i preservativi nella borsetta, e uscii.

    Non mi preoccupai di lasciare un biglietto, per non creare un precedente.

    Mentre guidavo verso il bar, mi resi conto che stavo esaurendo il carburante e, poiché avevo perso l’unico lavoro che ero riuscita a trovare, il mio saldo bancario era ben poco saldo e più calante verso lo zero.

    Avevo ancora qualche moneta delle mance che avevo preso al ristorante. Accostai al lato della strada e contai il denaro: nove dollari e qualche centesimo. Non sarebbero bastati per un pieno di benzina.

    Sospirai e rimisi i soldi nel portamonete. Mi domandai se mio padre mi avrebbe allungato almeno un migliaio di dollari. Forse se era ancora in estasi per la luna di miele con la sua ragazzina avrebbe potuto sganciarmi un po’ di contanti. Valeva il costo di una telefonata.

    Mi rispose la segreteria telefonica. Perfetto. Almeno non aveva bloccato il mio numero.

    «Ciao, papà. Sono io. Mi domandavo come stavi e se tu e, ehm, Ginger vi siete divertiti a St. Thomas. Scommetto che è stato fantastico. Ecco, ti chiamo perché non sembra così facile trovare lavoro da queste parti come assistente legale, o qualsiasi altro impiego in realtà, e mi chiedevo se tu potessi prestarmi mille o duemila dollari, giusto per tirare avanti fino a che non trovo un lavoro. Domani andrò a Freetown, quindi... comunque, spero che stiate bene e, ehm... grazie, papà.»

    Sì, poteva andare. Un po’ di umiltà mescolata a finta sincerità. Con un po’ di fortuna, avrebbe depositato un paio di migliaia di dollari sul mio conto bancario senza doverci parlare.

    Sentendomi meglio nei riguardi del mondo, usai la carta di credito per riempire il serbatoio. Almeno, non avrei pagato da bere, quella sera. Clancy avrebbe dovuto offrire le birre se voleva scoparmi.

    Quando arrivai, lui era già là. Mi piaceva che fosse impaziente, ma ero meno contenta che sembrasse piuttosto ubriaco. Non avevo fatto tutta quella strada per un ragazzo che non riusciva a farselo drizzare.

    «Eccola!» farfugliò verso nessuno in particolare. «La cowgirl più carina dello Stato.»

    Alzai gli occhi al cielo e gli sedetti in grembo.

    «Cowgirl? Davvero? Ti sembro il tipo di donna che indossa camicie scozzesi e uno Stetson?»

    Rise fragorosamente e strinse le mani sui miei fianchi.

    «Sei divertente, bella ragazza.»

    Grandioso: doveva aver dimenticato il mio nome. Che diamine, gli era apparso sul cellulare! Non era così difficile ricordarlo.

    Fece un cenno alla cameriera che ci portò due birre. Non ci fu una grande conversazione e Clancy non fece che tentare di palparmi. Forse non aveva sentito parlare del concetto di andare sul sicuro.

    Era attraente, in senso generico. Altezza media, corporatura media, bei denti. Insomma, carino. Non potei fare a meno di paragonarlo al ragazzo della caffetteria. Clancy lasciava decisamente a desiderare.

    Decisi di passare subito al divertimento della serata e tornare a casa. Ero stanca e un po’ frastornata.

    «Coraggio, amico» lo esortai, tirandolo per un braccio. «Fammi vedere cosa sai fare.»

    Lo spinsi fuori e, dopo aver recuperato le chiavi dalla sua tasca, riuscii a farlo salire sul retro del suo pick-up. Si distese sul sedile e indicò la cerniera.

    «Succhiamelo, piccola.»

    Oh, diavolo, no. Non avrei fatto io tutta la fatica senza ottenere niente. Gli aprii i pantaloni, ma non andai oltre: era già svenuto.

    Sospirando frustrata, mi accinsi a scendere dal veicolo. Poi mi venne un’altra idea. Lottai con il suo culo ubriaco e riuscii a estrargli il portafoglio dalla tasca posteriore. Ero certa che avrebbe perso il denaro se lo avessi lasciato così, e non volevo essere incolpata se glielo avessero rubato. L’idiota avrebbe creduto che ero stata io e chiamato la polizia.

    Infilai il portafoglio nella fodera sul retro del sedile del conducente e gli inviai un messaggio per informarlo dove lo avevo messo e di non chiamarmi mai più. Quindi, cancellai il suo numero.

    Quando tornai a casa, l’auto della mamma era nel vialetto, ma le luci erano spente perciò doveva essere andata a letto. Fui sollevata. In quel momento, non avevo voglia di stringere alcun legame madre e figlia, né di discutere sulle mie scelte di vita.

    Feci un’altra rapida doccia, la terza della giornata, e mi abbandonai sul letto, maledicendo il caldo e la mancanza di un impianto di condizionamento decente. Probabilmente non si trattava dell’apparecchio, ma del fatto che mia madre lo aveva messo al minimo per risparmiare. Il Texas in estate era allucinante.

    Frustrata e incazzata per l’inettitudine di Clancy, usai la mia amica a cinque dita per divertirmi da sola e mi domandai se avrei avuto la chance di rimorchiare qualcuno di meglio in una città più grande.

    Qualcosa in cui sperare.

    Jordan


    Non appena la vidi, seppi chi era. Anche se nessuno parlava con me, avevo sentito i pettegolezzi. Era la figlia del pastore: la scapestrata.

    Tuttavia, il caffè mi aveva fatto piacere. Di solito, quando andavo al lavoro, mi portavo un thermos, ma oggi me lo ero dimenticato e avevo proprio bisogno della mia dose di caffeina. Era sorprendente come si divenisse dipendenti da quella roba, così in fretta.

    Detestavo il fatto di essere il suo caso umano. Ero stufo. Ma non ero nella posizione di fare nulla e la cosa mi faceva incazzare.

    Dovevo ammettere, però, che lei era un bel bocconcino da guardare. Aveva un viso dolce, a forma di cuore, incorniciato da una chioma di riccioli castano dorato che le ricadevano fino a metà schiena. Un uomo poteva perdersi per giorni in capelli come quelli.

    Il suo corpo poi era qualcosa di spettacolare, con le curve nei posti giusti.

    Era parecchio tempo che non andavo con una donna – otto lunghi anni – e non vedevo avvicinarsi la fine di quella carestia. Perciò una ragazza come quella mi portava a fantasticare su tutto.

    Sua madre sembrava essere una brava signora. Tentava in ogni modo di farmi accettare dalla gente. Avrei dovuto dirle che era una scommessa persa in partenza. Ero nato in quella piccola città ed ero sicuro che nessuno mi volesse tra i piedi lì. Ma, anche così, era sempre meglio del posto da cui venivo. Sarei rimasto per altri quattro mesi, forse di più, e poi me ne sarei andato. Mi sarei tolto la polvere di quella cittadina dalle scarpe e non mi sarei guardato indietro. Non avevo idea di dove sarei andato, ma qualsiasi posto diverso da quello sarebbe andato bene. E nessuna maledetta persona avrebbe sentito la mia mancanza.

    Parcheggiai davanti alla canonica, come mi era stato detto, e il reverendo Meredith Williams uscì, non appena udì il mio pick-up. Di solito, ci incontravamo nel posto in cui mi procurava un lavoro ma, quella mattina, mi aveva chiesto di andare a casa sua. Aveva affermato che il suo giardino aveva bisogno di essere sistemato e che sarebbero state necessarie alcune settimane. A me non importava di quello che dovevo fare.

    «Buongiorno, Jordan. Come stai in questo bel giorno d’estate?»

    «Bene, grazie, signora. Vuole che inizi dal cortile sul retro, oggi?»

    «In realtà, Jordan, mi domandavo se potessi farmi un favore. Ha chiamato Hector Kees. A quanto pare, la sua auto si è rotta, e tu sai che la domenica accompagna in chiesa le tre sorelle Soper. Tua madre mi ha detto che ci sai fare con i motori, perciò mi chiedevo se potessi dare un’occhiata.»

    «Ehm, certo. Ma lui vorrà che io gli aggiusti l’auto?»

    Assunse un’espressione determinata. «Non preoccuparti di Hector. Lascia che me ne occupi io. Tu pensa solo alla sua macchina.»

    Non ero contento di quel favore, ma non potevo rifiutarmi. La seguii con il pick-up, sobbalzando sulla strada polverosa e disastrata. Non avevo bisogno di indicazioni, avrei trovato la direzione anche nel buio, a occhi chiusi.

    La casa di Hector era nella periferia della città, vicino alla baia. Un tempo ci andavo con Mikey per sballarmi o ubriacarmi. Era il nostro posto. Avevamo anche il patto di non portarci mai le ragazze.

    Non mi piacque tornare lì, ma non ebbi scelta.

    Rimasi sul pick-up mentre il reverendo discuteva animatamente con il vecchio Hector. Non volendo sentire gli appellativi che lui mi rivolgeva, accesi la radio e ascoltai un brano degli Evanescence dal titolo Bring me to life, cioè ridammi la vita. Non mi sfuggì l’ironia e cambiai canale, trovando quello dedicato alla musica country texana.

    Mi ero perso un bel po’ di canzoni negli ultimi otto anni. Poi, avevo trascorso la maggior parte del tempo libero a casa dei miei, ascoltando la radio mentre lavoravo nel garage ristrutturato. Risparmiando a mio padre e a mia madre il fatto di dovermi guardare in faccia.

    Alla fine, le grida si placarono e Hector rientrò nella sua schifosa casetta di legno. Il pastore mi fece segno di scendere. Sorrideva, ma non era un vero sorriso. Era uno di quelli che s’incollava sul viso per incoraggiarmi.

    Fece ciondolare le chiavi dell’auto di Hector e me le lasciò cadere in mano.

    «Mi dispiace per la discussione, ma sarà felice come una Pasqua quando l’avrai aggiustata.» Si voltò per andarsene.

    «Aspetti, lei non resta?»

    L’ansia mi ruppe la voce e il reverendo mi posò una mano sul braccio.

    «Andrà tutto bene, Jordan. Hector dice che gli attrezzi sono nel camion. Ricorda di lasciare le chiavi sui gradini della porta d’ingresso quando avrai finito.»

    «Quel vecchio stronzo mi sparerà piuttosto che star qui a tenermi d’occhio... scusi il linguaggio, signora.»

    «Ti posso assicurare che Hector te ne sarà molto grato» affermò lei con esitazione.

    Suonava bene ogni volta che lo diceva a proposito di uno degli abitanti della città, ma questo non lo rendeva vero.

    Mi batté di nuovo sul braccio e, da cane bastonato quale ero, mi accinsi a esaminare la Chevrolet in panne che era stata abbandonata sotto una vecchia quercia.

    La polvere sollevata dagli pneumatici del reverendo stava ancora turbinando nell’aria quando la porta della baracca si aprì di colpo e Hector apparve sulla soglia, impugnando una calibro 12 che mi puntò addosso.

    «Ti tengo d’occhio, ragazzo» sbraitò. «Potrai anche avere abbindolato il pastore, ma io so che sei marcio fino alle ossa. Quindi, fai quello che devi. Solo una mossa falsa e non mi pentirò di sprecare il caricatore nella tua direzione. Capito, ragazzo?»

    «Sì, signore. Non avrà problemi da parte mia.»

    Puoi dirlo forte.

    Agitò di nuovo l’arma, indicandomi di andare avanti, e raccolsi la chiave inglese che avevo lasciato cadere a terra.

    Avvertii un formicolio freddo sulla nuca. Non mi piaceva affatto permettere a quel vecchio bastardo di parlarmi così, e non mi rendeva felice volgere la schiena a un uomo che mi detestava a morte e che teneva in mano una pistola carica.

    Tentai di ignorarlo e di capire perché la sua vecchia e malandata Chevrolet sembrasse un fumatore incallito.

    Il sole si stava alzando nel cielo e sudavo parecchio. Sentivo il calore bruciarmi la nuca, anche se avevo rigirato la visiera del mio berretto da baseball dei Ranger per proteggermi.

    Guardai sopra la spalla, ma Hector non si era mosso. Era ancora seduto sulla sua sedia a dondolo, una bottiglia di birra al suo fianco, e l’arma sempre puntata nella mia direzione.

    «Ehm, signor Kees, potrei avere un bicchiere d’acqua, per favore? Si crepa di caldo qui fuori.»

    «Credi che sia tanto stupido da girarti le spalle, ragazzo? Mia madre non ha cresciuto un idiota.»

    Non potevo avere neppure un fottuto bicchiere d’acqua in quella città.

    Poi mi ricordai del caffè da asporto che era ancora nel supporto dentro il mio furgone. Sarebbe stato freddo ormai, ma mi sarebbe andato bene ugualmente.

    «Okay. Vado a prendere qualcosa nel mio pick-up.»

    La canna dell’arma mi seguì mentre gli passavo davanti. I peli sul collo mi si rizzarono quando udii il rumore della pistola che veniva caricata. Indietreggiai adagio con il bicchiere di carta nelle mani alzate.

    «È solo un bicchiere di caffè» spiegai con tono calmo.

    Grugnì, il che poteva anche non significare nulla. Ma, almeno, non mi aveva sparato.

    Il caffè era forte ma non male, e riuscì in qualche modo a liberarmi la gola dalla polvere. Lo bevvi tutto e tornai al lavoro.

    La Chevrolet era un ammasso di rottami, ma reputai di riuscire a farla funzionare di nuovo.

    Mezz’ora più tardi, terminai e avviai il motore. Partì al secondo tentativo e un raro sorriso mi illuminò il volto.

    Non ne sapevo molte di cose, ma conoscevo le auto.

    Spensi il motore e cadde il silenzio.

    «Vattene, adesso! Smamma!» sbraitò Hector. «Il pastore ha fatto la buona azione del giorno e io non ti voglio più nella mia proprietà.»

    Non aspettandomi niente di diverso, annuii.

    «Assassino!» mi gridò dietro mentre mi allontanavo.

    Mi aspettavo anche quello.

    Dato che non avevo niente di meglio da fare e nessun posto in cui andare, mi diressi a casa.

    Per fortuna, era vuota. Papà era al lavoro e la mamma... diavolo, non avevo idea di dove fosse. Non l’avevo vista molto da quando ero tornato. Forse mi sarei dovuto sentire in colpa per averla allontanata da casa sua, ma in realtà non me ne fregava niente.

    Feci una lunga doccia rinfrescante, mi preparai un sandwich con prosciutto e formaggio, e poi mi sedetti all’ombra del portico, finendo di mangiare.

    Udii l’auto di mia madre nel vialetto e la tensione mi attanagliò lo stomaco mentre i suoi passi risuonavano sul pavimento della cucina dietro di me. Non mi voltai, ma avvertii che mi stava osservando.

    «Cosa ci fai a casa a quest’ora?»

    La sua voce stridula mi giunse attraverso la zanzariera.

    «Ho finito il lavoro per il reverendo e sono tornato a mangiare qualcosa.»

    Non replicò e se ne andò, lasciandomi solo.

    Mi stava bene. Era comunque una dannata vacanza stare per i fatti miei.

    Rientrai e mi distesi sul letto per un po’ a riflettere. Potevo trascorrere ore perso nei miei pensieri. Ero solito fantasticare su come sarebbe stata la mia vita se, quella notte, avessi preso una decisione diversa. Ma considerazioni come quelle potevano far perdere la ragione a un uomo. Invece, provai a fare quello che il mio consulente mi aveva consigliato, e mi focalizzai su ciò che desideravo per il futuro.

    Avevo ottenuto il diploma e frequentato un paio di corsi universitari, ma non mi ero neppure avvicinato a prendere la laurea. Era stata dura mantenere salde le mie motivazioni in quelle circostanze, ma adesso... L’Università Statale era una possibilità, ma non sarei rimasto lì una volta terminata la libertà vigilata. Pensavo che i miei stessero contando i giorni che mancavano, tanto quanto me.

    Era difficile fare progetti su quello che desideravo fare della mia vita, quando non meritavo di averne una. Non meritavo di vivere, ma ero troppo codardo per fare qualcosa a riguardo. Ci avevo provato un paio di volte, ma senza successo. Immaginavo che la mia punizione fosse continuare a vivere.

    La mente tornò alla figlia del pastore. Era davvero un tipo eccitante. Mi divenne duro al solo pensiero. Era anche bella, ma si comportava come se non gliene fregasse niente. Era consapevole di essere sexy, ma faceva parte del suo essere e non usava la sua sensualità come un’arma. Ripensare alle sue labbra carnose mi procurò inevitabilmente un’erezione e stavo per risolvere la cosa quando udii il pavimento scricchiolare, fuori dalla porta.

    Mi sollevai a sedere, assicurandomi che non ci fosse nulla di evidente in mostra.

    La voce di mia madre rimbombò attraverso il pannello di legno. «Sto uscendo. Hai detto che avevi bisogno di un paio di jeans. Credo che dovrò fare un salto al centro di beneficenza. Che misura porti adesso?»

    Saltai giù dal letto e aprii la porta per guardarla. «Porto la quarantotto.»

    Annuì e se andò.

    La breve conversazione fu sufficiente per smontarmi, così, invece di rientrare nella mia stanza, mi diressi in garage a sollevare i pesi. Mikey ne aveva lasciati lì alcuni e, da quando ero tornato, avevo trasformato lo spazio in una mini-palestra.

    Mi allenai per un paio d’ore fino a quando non sentii l’auto di mia madre che si fermava, seguita dal furgone di mio padre.

    Mi domandai se rientrare a casa o no, ma decisi di rimanere in garage dove sarei stato fuori dai piedi.

    Dopo mezz’ora, la mamma bussò alla porta.

    «La cena è pronta.»

    La cucina odorava di pollo fritto. Mia madre aveva un suo modo di utilizzare le spezie, a grosse manciate, che lo rendevano leggermente saporito e con un gusto straordinario. Era l’unica cosa che mi piaceva del vivere qui.

    Il primo giorno in cui ero arrivato, aveva sistemato tre coperti a tavola così che potessimo mangiare insieme. Ero quasi sicuro che ognuno di noi avesse rischiato l’indigestione, mentre tentavamo di mangiare, fissandoci l’un l’altro. Da allora, aveva lasciato il mio cibo in cucina mentre lei e papà mangiavano su dei vassoi in soggiorno.

    Era divenuta una tacita intesa: meno tempo avremmo trascorso insieme, più saremmo andati d’accordo.

    Sapevo che non mi volevano lì ma, per il momento, eravamo legati dai ricordi. Frustrazione e sofferenza da parte mia, odio dalla loro.

    Ero consapevole che il pastore pensava di avermi fatto un dannato favore a parlare con i miei per convincerli a riprendermi, ma, decine di volte al giorno, desideravo che non lo avesse fatto. Non serviva a niente; la speranza era per gli stolti.

    Risciacquai il mio piatto nel lavello e lo sistemai nella lavastoviglie prima di tornare in camera.

    Sperai di riuscire a dormire di notte, ma da quando ero tornato a casa gli incubi erano orribili. Il consulente mi aveva avvertito. Tuttavia, non avevo creduto che sarebbero stati tanto spaventosi. La prima notte, dopo il mio ritorno, avevo pensato di avere un infarto. Mio padre mi aveva scosso per svegliarmi e poi se n’era andato senza una parola. Forse era incazzato perché gli avevo rovinato il sonno.

    Non mi sorpresi di

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