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Maddalena
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E-book162 pagine2 ore

Maddalena

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Info su questo ebook

Non sono riuscita a superare la colpa che appesantiva la mia vita e mi faceva affondare. Il senso di essere una abusiva in questo mondo, di non avere pieno diritto neanche di respirare. È come se per tutta la vita avessi cercato con tutte le mie forze di non affogare. Mi ripetevi sempre una frase di Omero, che cambiano cielo, non animo, coloro che corrono al di là del mare.

Io ho cambiato solo cielo.
LinguaItaliano
Data di uscita2 mar 2020
ISBN9788831661287
Maddalena

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    Anteprima del libro

    Maddalena - Cosimo Agostino

    qua­dra­tu.

    Parte prima

    Uno

    Ro­set­ta era rien­tra­ta a ca­sa. Vi­ve­va in un vec­chio pa­laz­zo nel­la zo­na del por­to di Pa­ler­mo. L'ap­par­ta­men­to era si­tua­to al quar­to pia­no e per le sca­le in­con­tra­va i bam­bi­ni che gio­ca­va­no in mu­tan­de e ca­not­tie­ra bian­ca, se­du­ti sui gra­di­ni di pie­tra per cer­ca­re re­fri­ge­rio dal cal­do di ago­sto.

    La sua mam­ma, Ele­na, l’ave­va man­da­ta a com­pra­re la pa­sta ed i po­mo­do­ri al­la bot­te­ga di don Ni­co­li­no. Ro­set­ta sta­va cre­scen­do al­la svel­ta, ave­va qua­si quin­di­ci an­ni, an­da­va in se­con­da su­pe­rio­re. Era mo­ra, ave­va la pel­le chia­ra, gli oc­chi ne­ri e le lab­bra ros­se car­no­se e sen­sua­li. Man­te­ne­va uno sguar­do in­no­cen­te che le da­va un'aria di don­na an­co­ra acer­ba. I ve­sti­ti co­min­cia­va­no a star­le stret­ti, so­prat­tut­to sul se­no che le era sboc­cia­to pro­spe­ro­so. L’ave­va ser­vi­ta Sa­ve­rio, l'aiu­tan­te di bot­te­ga di don Ni­co­li­no. Ave­va di­cias­set­te an­ni ed era for­te e mu­sco­lo­so. Era bru­no di car­na­gio­ne, con i ca­pel­li ne­ri e lo sguar­do se­rio. Guar­da­va Ro­set­ta di sot­toc­chio. Lei gli fe­ce un sor­ri­so ma­li­zio­so.

    Gli dis­se: vie­ni sta­se­ra al­la fe­sta in piaz­za? Si bal­la e si can­ta, c'è la ban­da.

    Sa­ve­rio: non lo so, va­do in gi­ro con i miei ami­ci, se non ab­bia­mo nien­te di me­glio da fa­re ci ve­nia­mo.

    Ro­set­ta: io ci va­do con So­nia e Li­set­ta. For­se vie­ne an­che Mad­da­le­na. Se vuoi ci ve­dia­mo.

    Sa­ve­rio: ve­drò, le ri­spo­se con vo­ce scon­tro­sa.

    Le pia­ce­va Sa­ve­rio. Con quel­le brac­cia for­ti e mu­sco­lo­se. Le pia­ce­va guar­dar­lo di na­sco­sto men­tre gio­ca­va al pal­lo­ne sul­la spiag­gia tra le bar­che o in stra­da. Era at­trat­ta dal­la sua ener­gia sel­vag­gia. Ma sem­bra­va che Sa­ve­rio nean­che la ve­des­se. Ave­va oc­chi so­lo per Mad­da­le­na.

    Ro­set­ta ave­va sa­pu­to dal­le sue ami­che che Sa­ve­rio an­da­va già con le don­ne. As­sie­me ai suoi ami­ci an­da­va­no a but­tà­ne dal­le par­ti del mer­ca­to. Chi sa co­sa pro­va­va­no gli uo­mi­ni ad an­da­re con le don­ne. La sua mam­ma le ave­va spie­ga­to che do­ve­va te­ner­si lon­ta­na dai ma­schi se non vo­le­va guai. Me­no ce li ave­va in­tor­no e me­glio era.

    La mam­ma di Ro­set­ta, Ele­na, ave­va un uo­mo che vi­ve­va con lo­ro, Da­mia­no. Era un omo­ne buo­no, gran­de e gros­so che sgob­ba­va dal­la mat­ti­na al­la se­ra, fa­ce­va il mu­ra­to­re. Il suo pa­pà in­ve­ce non c'era più. La­vo­ra­va as­sie­me a Da­mia­no, con cui era mol­to ami­co. Era ca­du­to da un'im­pal­ca­tu­ra ed era mor­to sul col­po con la te­sta fra­cas­sa­ta. Ro­set­ta era an­co­ra pic­co­la, ave­va qua­si no­ve an­ni quan­do era ac­ca­du­to il fat­to. Ave­va vi­sto la fo­to del suo pa­pà sul gior­na­le, in un la­go di san­gue. Ri­cor­da­va la di­spe­ra­zio­ne del­la mam­ma, le ur­la che sa­li­va­no al cie­lo, si strap­pa­va i ca­pel­li con le ma­ni, ten­ta­va di sbat­te­re la te­sta con­tro il mu­ro, te­nu­ta dal­le al­tre don­ne del pa­laz­zo. Sem­bra­va una paz­za. Le ave­va­no fat­to ve­de­re il pa­pà mor­to nel­la ba­ra. Gli ave­va­no mes­so il ve­sti­to e le scar­pe nuo­ve. Poi glie­lo ave­va­no fat­to ba­cia­re, pri­ma che chiu­des­se­ro la cas­sa. Lei non ave­va avu­to pau­ra, gli ave­va fat­to so­lo un po' im­pres­sio­ne che fos­se fred­do e pal­li­do e non si muo­ves­se. Gli ave­va­no mes­so at­tor­no al­la te­sta una fa­scia­tu­ra per co­prir­gli la fe­ri­ta da cui fuo­riu­sci­va ma­te­ria ce­re­bra­le.

    Ro­set­ta al­lo­ra non ca­pi­va per­ché la mam­ma si di­spe­ras­se tan­to. An­che se il pa­pà era mor­to, lo­ro era­no an­co­ra vi­ve, ave­va­no fa­me, ave­va­no son­no, po­te­va­no man­gia­re un ge­la­to al pi­stac­chio, una gra­ni­ta con la pan­na o un can­no­lo. Cer­to, le di­spia­ce­va, il pa­pà era buo­no e gen­ti­le, le com­pra­va i ve­sti­ti­ni nuo­vi, le scar­pe e le bam­bo­le. Ades­so sa­reb­be­ro ri­ma­ste so­le e sen­za di lui sa­reb­be sta­to più dif­fi­ci­le. L'uni­co pen­sie­ro che Ro­set­ta ave­va era co­me avreb­be­ro fat­to per man­gia­re. La ro­ba da man­gia­re la com­pra­va­no da don Ni­co­li­no, co­me avreb­be­ro fat­to a pa­gar­la? Poi c'era Em­ma, la sua so­rel­li­na, che era più pic­co­li­na ed an­co­ra non ca­pi­va be­ne le co­se. Ma ci avreb­be pen­sa­to lei che era la più gran­de. Sa­reb­be an­da­ta a frig­ge­re le pa­nel­le per la stra­da e ven­de­re il pa­ni­no con la meu­sa. O le aran­ci­ne. In qual­che mo­do avreb­be­ro fat­to.

    Do­po qual­che tem­po Ele­na era an­da­ta a fa­re le pu­li­zie nei pa­laz­zi di lus­so dei si­gno­ri. La se­ra ri­tor­na­va stan­ca, con la schie­na spez­za­ta. E quan­do lo­ro non la ve­de­va­no, pian­ge­va e si di­spe­ra­va tan­to che si be­ve­va le la­cri­me. Ro­set­ta si ac­cor­ge­va che la mam­ma era di­spe­ra­ta per­ché la os­ser­va­va di na­sco­sto. In­co­min­ciò a ca­pi­re quel­lo che le per­so­ne non di­ce­va­no con le pa­ro­le dal lo­ro sguar­do, da­gli oc­chi, da co­me te­ne­va­no le ma­ni. Dal to­no del­la vo­ce. Co­min­ciò a ca­pi­re che la mam­ma ave­va pau­ra. Ed ave­va pau­ra per­ché era una don­na so­la con due bam­bi­ne. E non ave­va nes­su­no a cui ap­pog­giar­si. So­prat­tut­to non ave­va un uo­mo a cui ap­pog­giar­si. Ca­pì che un uo­mo ti pro­teg­ge, ti di­fen­de, ti fa sen­ti­re si­cu­ra se qual­cu­no ti mi­nac­cia o vuo­le far­ti del ma­le. Se la mam­ma si fos­se am­ma­la­ta, chi gli avreb­be da­to da man­gia­re? E se qual­cu­no aves­se ten­ta­to di far­gli del ma­le, ma­ga­ri di ru­bar­se­le e ven­der­se­le co­me schia­ve? Le ave­va­no rac­con­ta­to che gli zin­ga­ri ru­ba­no i bam­bi­ni e poi se li ven­do­no. Ma lei ave­va in clas­se una zin­ga­rel­la, So­nia, che le ave­va det­to che non era ve­ro, era­no tut­te cat­ti­ve­rie per­ché lo­ro vi­ve­va­no li­be­ri e fe­li­ci, e tut­te le se­re bal­la­va­no at­tor­no al fuo­co, can­ta­va­no e fa­ce­va­no fe­sta. Una vol­ta si era spin­ta con So­nia fi­no al cam­po no­ma­di, ma non le era pia­ciu­to, c'era trop­po spor­co. Gli zin­ga­ri che ave­va vi­sto era­no tut­ti vec­chi con la pel­le ru­go­sa e fu­ma­va­no in con­ti­nua­zio­ne. C'era un so­lo ra­gaz­zo più gran­de di lo­ro, che si chia­ma­va Pe­ter, che gio­ca­va con una bi­ci­clet­ta. Era sta­to gen­ti­le e glie­la ave­va fat­ta pro­va­re. Era bel­lis­si­mo, ave­va due oc­chi che splen­de­va­no.

    Poi la sua mam­ma si era ri­pre­sa. Era bel­lis­si­ma Ele­na. Ave­va i ca­pel­li ne­ri che por­ta­va cor­ti e gli oc­chi ne­ri che man­da­va­no scin­til­le. Non era mol­to al­ta, ave­va le lab­bra ros­se e le ma­ni mor­bi­de e leg­ge­re. Quan­do poi si met­te­va la col­la­na e gli orec­chi­ni che le ave­va re­ga­la­to il pa­pà era stu­pen­da. Do­po che era mor­to il pa­pà mol­ti uo­mi­ni l'ave­va­no av­vi­ci­na­ta. Al­cu­ni vo­le­va­no che si cur­càs­se con lo­ro, in­ve­ce di an­da­re a fa­re le pu­li­zie, e le avreb­be­ro da­to tan­ti sol­di. Uno ad­di­rit­tu­ra le dis­se che se si cur­cà­va con tan­ti uo­mi­ni non l’avreb­be più fat­ta la­vo­ra­re. Ma lei li ave­va scac­cia­ti. Una vol­ta si era mes­sa an­che ad ur­la­re con uno, ed ave­va pre­so per scac­ciar­lo il col­tel­lo con cui il pa­pà ta­glia­va la car­ne. E poi si era mes­sa a pian­ge­re di­spe­ra­ta. Ro­set­ta os­ser­va­va di na­sco­sto ed im­pa­ra­va. La sua pre­oc­cu­pa­zio­ne era che la sua so­rel­li­na Em­ma non si ac­cor­ges­se di nien­te e non si spa­ven­tas­se.

    Ro­set­ta ave­va im­pa­ra­to, da quan­do ave­va vi­sto la fo­to del suo pa­pà in un la­go di san­gue, che non bi­so­gna ave­re pau­ra di nien­te. Tan­to poi tut­to pas­sa, la vi­ta va avan­ti ed una so­lu­zio­ne si tro­va sem­pre. In qual­che mo­do si fa­rà, pen­sa­va. Tor­na sem­pre la fa­me, ed un buon ge­la­to al pi­stac­chio, una gra­ni­ta o un can­no­lo tol­go­no tut­ti i pen­sie­ri. E poi da­van­ti al­la mor­te non si può fa­re nien­te. Ed al­lo­ra è inu­ti­le pre­oc­cu­par­si. Ro­set­ta non sa­pe­va co­sa vo­les­se di­re es­se­re so­la. C'era­no sem­pre la mam­ma ed Em­ma, e poi tut­te le per­so­ne del pa­laz­zo e del quar­tie­re. Pe­rò le sa­reb­be pia­ciu­to sta­re un po' da so­la, ave­re un po'  di spa­zio per sé. Ma dor­mi­va con Em­ma, non l'avreb­be mai la­scia­ta so­la. Nell'al­tra stan­za la mam­ma dor­mi­va con Da­mia­no, che era an­da­to ad abi­ta­re con lo­ro do­po un an­no che il pa­pà era mor­to.

    Da­mia­no era una per­so­na buo­na e for­te. Do­po la mor­te del pa­pà an­da­va spes­so a tro­va­re la mam­ma e par­la­va­no a lun­go sen­za far­si sen­ti­re. Una mat­ti­na Ro­set­ta era rien­tra­ta pri­ma dal­la scuo­la per­ché la mae­stra era ma­la­ta ed ave­va sen­ti­to dei ge­mi­ti pro­ve­nien­ti dal­la ca­me­ra da let­to. Si era av­vi­ci­na­ta in si­len­zio ed ave­va vi­sto che la mam­ma e Da­mia­no era­no co­ri­ca­ti nu­di e si muo­ve­va­no in ma­nie­ra stra­na. Era an­da­ta via in si­len­zio, ca­pi­va che sta­va­no fa­cen­do qual­co­sa di na­sco­sto che lei non do­ve­va ve­de­re. Ma era con­ten­ta che la mam­ma stes­se in­sie­me a Da­mia­no, l'istin­to le di­ce­va che era una co­sa bel­la. Poi Da­mia­no le sta­va sim­pa­ti­co, era ru­de nei mo­di, ma si ca­pi­va che era una per­so­na buo­na.

    Ro­set­ta ave­va una ca­rat­te­ri­sti­ca: era bra­vis­si­ma a scuo­la. Al­le ele­men­ta­ri pren­de­va tut­ti die­ci. Le pia­ce­va­no la let­tu­ra, la scrit­tu­ra, ed an­che i nu­me­ri. Il li­bro di let­tu­ra lo ave­va ra­pi­da­men­te im­pa­ra­to a me­mo­ria, ed an­che i li­bri di sto­ria, geo­gra­fia e scien­ze. Fa­ce­va le ope­ra­zio­ni  sen­za bi­so­gno di scri­ve­re i nu­me­ri e ri­sol­ve­va an­che i pro­ble­mi a men­te. Ma la co­sa che le pia­ce­va di più era leg­ge­re. Al­le me­die les­se tut­to quel­lo che tro­va­va nel­la pic­co­la bi­blio­te­ca del­la scuo­la. Non riu­sci­va a sta­re sen­za leg­ge­re, la let­tu­ra la fa­ce­va re­spi­ra­re. Sta­va di­ven­tan­do la sua vi­ta. Gli in­se­gnan­ti ave­va­no chia­ma­to la sua mam­ma e le ave­va det­to che era una bam­bi­na spe­cia­le che ave­va del­le do­ti non co­mu­ni. Ed avreb­be po­tu­to fa­re mol­to be­ne nel­lo stu­dio se fos­se sta­ta se­gui­ta con at­ten­zio­ne. La mam­ma era sta­ta mol­to con­ten­ta e per pre­mio le ave­va pre­pa­ra­to la cas­sa­ta con le sue ma­ni.

    Due

    Ro­set­ta rien­trò a ca­sa con la pa­sta ed i po­mo­do­ri. Don Ni­co­li­no ven­de­va una pa­sta ar­ti­gia­na­le fat­ta col gra­no di Ra­gu­sa che trat­te­ne­va a me­ra­vi­glia il su­go. Ele­na pre­pa­rò un su­ghet­to con i po­mo­do­ri­ni ap­pe­na scot­ta­ti nell'olio in­sie­me ad uno spic­chio d'aglio e due oli­ve, giu­sto il tem­po che ap­pas­sis­se­ro. Ave­va mes­so an­che il fi­noc­chiet­to sel­va­ti­co. Ave­va sco­la­to gli spa­ghet­ti ed ave­va la­scia­to che si in­sa­po­ris­se­ro nel su­ghet­to, ag­giun­gen­do un po' di ac­qua di cot­tu­ra del­la pa­sta. Ro­set­ta ed Em­ma man­gia­ro­no con gu­sto. Ele­na la­sciò da par­te un ab­bon­dan­te piat­to per Da­mia­no che sa­reb­be tor­na­to la se­ra do­po il la­vo­ro.

    Ro­set­ta ave­va qua­si quin­di­ci an­ni. Ad ot­to­bre sa­reb­be an­da­ta in se­con­da su­pe­rio­re. Sta­va di­ven­tan­do una don­na, as­so­mi­glia­va mol­to al­la sua mam­ma, ma ave­va la pel­le più chia­ra ed era più ma­gra e slan­cia­ta. Ap­pe­na fos­se fio­ri­ta com­ple­ta­men­te sa­reb­be sta­ta di una bel­lez­za ab­ba­glian­te, era una ra­gaz­za che sa­reb­be pia­ciu­ta agli uo­mi­ni per il con­tra­sto tra il vi­so in­no­cen­te ed il cor­po che sta­va sboc­cian­do. Sta­va esplo­den­do in tut­ta la sua

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