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Le donne del lago
Le donne del lago
Le donne del lago
E-book327 pagine4 ore

Le donne del lago

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Info su questo ebook

Dall'autore del bestseller Incubo bianco

Due cadaveri restituiti dalle acque ghiacciate
Un giovane fotografo annebbiato dalle allucinazioni
Uno spietato assassino che non dimentica…

Svezia, giorni nostri. Nell’area industriale nei pressi del lago Järla sono state assassinate due ragazze e i loro cadaveri restituiti dalle acque gelide.
Johan, giovane fotografo del posto, nota che nelle immagini pubblicate sui quotidiani qualcosa non torna. Decide allora di andare sul luogo del ritrovamento a cercare spiegazioni. Ma di lì a poco gli omicidi diventano un pensiero ossessionante per lui, fino a scatenargli la stessa malattia che lo colpiva da bambino: Johan inizia ad avere potenti allucinazioni in cui le donne morte sul lago lo avvertono che scorrerà ancora sangue… Sedici anni dopo, la zona è stata trasformata in uno splendido quartiere residenziale per famiglie e Johan vi si trasferisce insieme alla moglie. Ma i fantasmi del passato sembrano averlo aspettato e ricominciano a tormentarlo: fra emicranie, ricordi e allucinazioni per Johan l’incubo è davvero tornato…

Dopo il grande successo di Incubo bianco e Il mosaico di ghiaccio, il nuovo romanzo del maestro svedese del thriller

Puoi scappare lontano quanto vuoi, ma il Male non dimentica…

Hanno scritto dei libri di Lars Rambe:

«Un racconto oscuro e spaventoso. Emozionante dall’inizio alla fine.»
Caroline L. Jensen

«Un libro sapientemente composto, dallo stile accurato. Imperdibile per tutti gli amanti del genere.»
Eleni Schmidt

«La trama più raggelante della stagione. Rambe ha la capacità di mantenere la bellezza anche dove regnano l’oscurità e la morte. Il talento di trasformare l’orrore in speranza e la suspense in letteratura.»
Il Messaggero


Lars Rambe
È un avvocato svedese. il suo primo libro, Incubo bianco, pubblicato con successo in diversi Paesi, ha scalato le classifiche anche in italia. Il mosaico di ghiaccio è il secondo romanzo che ha come protagonista Fredrik Gransjö, mentre Le donne del lago è un thriller a sé stante che riproduce però le cupe atmosfere nordiche cui Rambe ci ha abituato.
LinguaItaliano
Data di uscita16 dic 2013
ISBN9788854156432
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    Anteprima del libro

    Le donne del lago - Lars Rambe

    1

    Indietro nel tempo

    2008

    Johan Åberg scuote la testa irritato, come se volesse liberarsi di qualcosa che vi è rimasto incastrato. Dei rottami che sferragliano e vagano qua e là e che presto saranno fuori dalla sua portata.

    È una sera d’estate a Nacka e tutto è tranquillo. Johan si trova sulla piazzetta del mercato sul lago Järla e guarda la facciata di un edificio. Socchiude gli occhi sotto la luce del sole e solleva una mano davanti al viso. Lentamente distende i pollici per formare un quadrato attraverso cui guardare. Una cornice per le grosse lettere che vi sono dipinte. Rovine di un’epoca ormai sepolta da tempo insieme agli uomini che vi lavoravano. Sepolta e perduta, tranne che nel profondo della memoria dei pochi che ancora la ricordano. Lo fa spesso. È una delle caratteristiche dei fotografi cercare un motivo, trovare la messa a fuoco. La sicurezza è sempre nei dettagli. Nella ricerca della fotografia totale e dell’estetica perfetta.

    Oggi non riesce a vedere luce senza ombre. Minacciano di soffocarlo, di fagocitarlo interamente. Non vuole stare lì. Sotto il sole accecante, cammina tra ombre roventi. Si muovono sulle facciate e sul terreno. Il mondo è sul punto di rovesciarsi e Johan non ha niente a cui aggrapparsi. Lascia ricadere le mani e smette di fissare la facciata. Il mondo intero vacilla.

    Lentamente attraversa il parcheggio incespicando per arrivare al piccolo supermarket. La barba risplende di un grigio chiaro e il volto è pallido. È una serata meravigliosa e il sole si riflette ovunque: sui tetti neri metallici, sui muri appena ridipinti e sulle balaustre dei tanti balconi. Una luce dolorosa che penetra gli occhi di Johan, mandando a fuoco il suo cervello già ferito.

    Ha promesso a Jenny di comprare il giornale prima di cena. Si sono appena trasferiti. Una decisione di cui lui si è pentito ancora prima che divenisse effettiva. Ovviamente è stata lei a trovare l’appartamento. Ha subito sentito come sua la descrizione dell’agente immobiliare. Non riesce a smettere di parlare di quanto sarebbe perfetto. Una posizione appartata, quasi segreta, che diventerebbe la loro casa. Qui, dove la ferrovia del Saltsjö gioca a rincorrersi con la strada di Värmdö, prima che i binari passino oltre, affondando nella montagna per sparire in direzione di Lillängen, lasciando dietro di sé le barriere antirumore, come una protezione contro il resto del mondo. In meraviglioso contatto con il lago, a due passi dalla porta di casa. Un magnifico specchio d’acqua con le villette di lusso di Hästhagen sullo sfondo, che salgono verso il bosco della riserva di Nacka.

    Il lago Järla ha una forma allungata, con spiagge per lo più scoscese che si gettano negli abissi. Nella zona abitata tutto è stato rimesso a nuovo, abbellito e smussato. Le banchine seguono il profilo del lago, invitando a fare il bagno o a raggiungere gli amici sui balconi. Nel mezzo si trova il molo con il piccolo faro AGA automatico di Fårösund, un tributo al suo inventore Gustaf Dahlén. Da lì si può vedere il caos di edifici vecchi e nuovi riuniti in un sogno architettonico. Qui esistono prospettive impossibili, appartamenti su diversi piani o che si librano liberi sul terreno, terrazze che incontrano altre terrazze e piccoli spazi aperti dove il moderno convive con case ricavate da fabbriche di vecchi mattoni sciupati. Il tutto rivestito da un verde ben curato.

    Non è passato molto tempo da quando tutto questo non era altro che un monumento privo di attrattiva alla storia dell’industria svedese. Una zona industriale abbandonata senza un vero futuro, dove artisti bohémien ricercavano il caos occupando locali da demolire con il frastuono delle officine tutto intorno a fare da colonna sonora. Agli occhi di molti era un luogo di immondizie nella terra del crepuscolo, una chiazza fuligginosa su una bella spiaggia. La decisione di raderlo al suolo sembrava inevitabile. Tuttavia all’ultimo minuto trionfò la visione di un grandioso progetto. E così invece di ruspe rumorose arrivarono architetti e costruttori, muratori e giardinieri. Le catapecchie da demolire si riscossero attonite e si risollevarono lentamente dalla sporcizia. Le macchie di olio, l’inquinamento e i cattivi odori furono spazzati via una volta per tutte e la metamorfosi divenne un fatto. Un quartiere completamente nuovo.

    Tutto è stato modificato con mano attenta, ricavato a partire dai vecchi locali fatiscenti e restituito a nuova vita. Gli architetti hanno lavorato duramente per far emergere la bellezza del quartiere. Adesso questo è il sogno di ogni urbanista: un luogo pieno di armonia e di bellezza. Chiunque possa pagare è il benvenuto. Qui viene offerta la bella vita accompagnata dalle grida dei gabbiani e dal gorgoglio del lago. Per chi ha i mezzi per godersela.

    All’interno del negozio alcuni uomini seduti intorno a un tavolo, senza dubbio amici del proprietario, riempiono delle schedine. Facce comuni, che scrutano curiose Johan quando la porta si apre. Lui non li guarda negli occhi, ma va dritto verso la cassa. Li sente bisbigliare in una lingua sconosciuta. Qui, in mezzo agli scaffali ci sono due mondi diversi che si incontrano l’uno accanto all’altro. Con ogni probabilità nessuno dei giocatori è della zona ma vengono da Fisksätra o da Finntorp.

    Un uomo anziano all’interno del negozio cerca qualcosa su uno scaffale. Non si intona molto con quel posto. Una tuta logora con sotto una camicia sporca. Sembra preoccupato per qualcosa e farfuglia in modo sconclusionato tra sé e sé. Johan non osa guardarlo.

    Il proprietario ride, prende i soldi di Johan e cerca di vendergli un gratta e vinci, ma non insiste quando lui dice di no, afferra il resto e gira i tacchi.

    Nella sua testa si fa subito strada il panico. Adesso quel vecchio lo sta guardando, con i baffi marroni di tabacco.

    «Non ti ricordi di me, ragazzo? Sten, il vecchio amico di tuo padre. Ne è passato di tempo».

    Johan chiude rapidamente gli occhi, fa un bel respiro e si incammina con passo vacillante verso l’uscita. Il campanello della porta suona ancora una volta mentre Johan lascia il negozio.

    Ha le gambe rigide e dolenti, ma si rende subito conto che qualcosa sta per spezzarsi dentro di lui. Perché Sten è morto ormai da tempo.

    Prosegue incespicando, sempre più veloce. Deve ritornare alla porta di casa, lontano dagli sguardi della gente, i vivi e i morti. Jenny qui vede il futuro, ma per lui ci sono solo ombre urlanti e mattoni rosso sangue.

    2

    Era cominciato tutto quando era ancora piccolo, quasi quaranta anni prima. Si ammalò e gli trapanarono la testa. Gli sembra di vederselo ancora davanti agli occhi, l’incavo che avevano scavato. L’immagine ai raggi X con il foro nero nel cervello. Lo porta con sé ovunque va. Un luogo per i segreti e i ricordi dimenticati. Una palude fangosa in cui è proibito andare a pescare, ma dove ogni tanto si costringe ad avventurarsi.

    I dottori dissero che avevano tolto il tumore, ma i fantasmi erano rimasti. C’erano sempre stati. Da bambino aveva amici particolari che solo lui riusciva a vedere. Amici immaginari, li chiamavano i suoi genitori. Tuttavia gli amici immaginari di Johan erano spiacevolmente reali. Erano come la maggior parte delle persone, ma comparivano e sparivano a loro piacimento, entrando o uscendo dalle finestre o dalle pareti, oppure andavano letteralmente in fumo.

    A lui non sembrava affatto strano, prima di scoprire di essere il solo a vederli. Parlarne faceva sì che la mamma e il papà si scambiassero sguardi preoccupati. Ma non poteva farci niente. Loro erano lì, che lui lo volesse o meno. A volte gli urlava contro e loro sparivano, ma tornavano presto. Riempivano le sue serate e le sue notti con racconti e aneddoti fantastici. Lo invitavano a entrare in un mondo spaventoso e suggestivo che è ancora suo, oggi, mentre si affretta a varcare l’arco che lo porta nel vicolo Buddes, dove vive.

    Quando la porta di casa si richiude alle sue spalle, riconosce subito il profumo dei piatti cucinati da Jenny. C’è qualcosa di profondamente tranquillizzante nel vano delle scale, soprattutto le sue. Il mondo circostante si chiude, ma ancora non si è del tutto a casa. C’è ancora libertà di scegliere. Tornare fuori o chiudersi dentro. O restare semplicemente lì ad ascoltare i rumori della casa.

    Aggira una carrozzina fissata con un lucchetto da bicicletta alla ringhiera delle scale, ovviamente in contrasto con le norme antincendio, e intanto cerca di scacciare il pensiero di Sten. Che cosa ci faceva lì? Non c’è altra spiegazione logica, se non che loro sanno e lo stanno aspettando.

    Al primo piano nota che Persson non è ancora tornato, dato che il giornale è infilato nella buca delle lettere. Arrivato in cima, apre la porta dell’appartamento, si toglie le scarpe e si dirige a passi felpati in cucina. Ha ancora difficoltà a adattarsi a quella sistemazione. Tutto è così ben ordinato e privo di storia. Gli sportelli della cucina lucidi senza maniglie, in netto contrasto con il piano di marmo arrivato appositamente dall’Estonia, nero come la notte. Decisamente diversa dalla cucina vecchia ma deliziosa della villa di Bromma.

    Jenny alza lo sguardo e gli rivolge un sorriso mentre apparecchia la tavola con movimenti svelti. È leggermente più rotondetta di prima, ma ancora terribilmente carina. I capelli castano chiaro sono tagliati a caschetto, con una corta frangia. L’abbigliamento si è fatto decisamente più studiato da quando ha cominciato a lavorare nell’atelier di moda, ma su questo lui non le dice niente. Lei si trova bene, e questa è la cosa più importante.

    Va da lei e le dà un bacio. Ha il sapore del nuovo rossetto che le ha comprato una settimana prima.

    «Meno male che sei arrivato. È pronto».

    «Fantastico! Che cosa ti sei inventata oggi?».

    Jenny fa la spesa nel quartiere dello shopping di Sickla e lo sorprende con qualche piatto nuovo quasi ogni sera. Johan spera che sia per la felicità del trasferimento e della loro nuova vita, ma si accorge anche che il suo umore non passa inosservato a Jenny. Si conoscono troppo bene. Lui lo apprezza, ma al contempo prova vergogna. Ha avuto abbastanza tempo per abituarsi all’idea di vivere lì e non c’è bisogno che lei lo tratti come una vittima sacrificale.

    Gli mostra orgogliosa quello che ha preparato. È una cena da tre portate, nonostante sia un giorno feriale. Prima una zuppa cremosa di asparagi, poi cannelloni con ripieno di salmone e per finire una mousse di fragole e cioccolato bianco. Ovviamente abbinati a un Riesling Renano acquistato dalla nuova amica di Jenny al Monopolio dei vini del centro commerciale Forum di Nacka. Ma si accontentano di berne solo un bicchiere a testa.

    Jenny ha arredato l’appartamento dopo aver letto centinaia di riviste e dopo aver visto innumerevoli programmi con Ernst, Martin Timell e altri divi della televisione. L’entusiasmo è stato alto e i costi altrettanto. Ci ha messo tutta se stessa, mentre lui quasi non ha mosso un dito. Paralizzato, ecco cos’è, ma per il momento solo all’interno. Tutti i begli oggetti scelti con cura per lui sono sprecati e senza valore. Non importa che sia Feng Shui, per Johan nella stanza c’è ancora un’eco, come se fosse vuota.

    Ora Jenny porta la conversazione, come tante altre volte in passato, su quello che lui dovrebbe fare, su quello che lo renderebbe felice. Benché entrambi sappiano che la questione interessa soprattutto lei.

    L’opera di persuasione di Jenny verte sulla sua attività di fotografo. Quanto sarebbe bello per lui ricominciare. Era così bravo. Jenny fa del suo meglio per motivarlo. Accumula argomenti su argomenti e non aspetta le sue obiezioni. Pensa, l’estate sul lago Järla! Potrebbero venirne fuori delle foto stupende. Il posto davanti al divano sarebbe perfetto per una serie di fotografie. Moli, persone e barche. La bella vita sulle rive del lago, rondini che passano in volo sotto i pontili e pesci che perforano la superficie dell’acqua. Lui sospira. È chiaro qual è il motivo di tutto questo. Lei si sente più creativa che mai e vuole che anche lui provi lo stesso. È una cosa così infantile. Tuttavia deve riconoscere che quando lei parla di foto lui riesce quasi a capire come quel luogo deve apparire agli occhi degli altri.

    Una volta aveva veramente sognato di diventare un fotografo professionista ed era arrivato a buon punto. Era il 1992. È per questo che Jenny affronta l’argomento. Crede di sapere quello che lui è in grado di fare. Ma tutto era cambiato in un batter d’occhio e da allora lui si era impegnato duramente per dimenticare e andare avanti. Le fotografie della mostra che aveva allestito le ha sepolte in fondo a un magazzino. Anche per questo aveva lasciato che l’idea della fotografia perfetta si spegnesse e morisse. In realtà non era affatto difficile. Non doveva fare niente, solo continuare come prima. Affrontava un giorno alla volta, aveva continuato ad andare a lavorare alla compagnia di assicurazione e aveva abbandonato ogni ambizione, a parte quella di fare il proprio lavoro. È ancora lì, congelato nel tempo. Si occupa di tutta una serie di danni, di quelli grandi come di quelli piccoli, in un flusso imprevedibile di incidenti e malattie. Molti sono tragici, altri più comici. Lui è lì per valutare le disgrazie altrui, giorno dopo giorno. Salvare o mandare a picco, questo è il potere che ha. Si può accontentare. Chiude la porta al vuoto che ha in testa e poi chiude quella dell’ufficio, si lancia all’attacco dei mucchi di moduli e ricorda a se stesso tutto il dolore che esiste là fuori e che lo aspetta se non fa attenzione.

    Era quasi riuscito a dimenticare tutti gli orrori, quando Jenny lo aveva convinto a trasferirsi lì. Sul lago Järla, dove era successo tutto, anche se lei non ne sapeva niente. Dopo l’aborto di Jenny non era proprio possibile dirle di no. Lei voleva andarsene dalla vecchia casa a ogni costo. Lontano dalla stanza del bambino che avevano appena finito di sistemare. Lontano da tutto ciò che le ricordava come avrebbe potuto essere la loro vita. Lo avevano desiderato così tanto. Solo dopo l’aborto Johan aveva capito quanto quella crudele mancanza di figli li aveva consumati.

    Adesso rabbrividisce, ma ha l’accortezza di accettare la proposta di Jenny. Ovviamente è un’idea strepitosa. Lo farà. Quando avrà tempo e sentirà che è il momento giusto. Quando vedrà tornare la voglia e al lavoro ci sarà un po’ più di calma. Presto.

    Sparecchiano, vanno in salotto e si siedono sul divano. Lei inclina la testa sulla sua spalla e gli accarezza distrattamente la gamba mentre continua a parlare. Lui si sforza di ascoltare, ma ben presto la voce di lei diventa un brusio lontano. Gli racconta di qualcosa che Agneta ha detto quel giorno in ufficio. A proposito di uno stilista arrogante con delle pretese assurde. I pensieri di Johan tornano a Sten e all’ultima volta che lo ha incontrato. Era stato molto tempo prima, quando era ancora un bambino.

    Aveva undici anni quando erano cominciati i mal di testa. Spesso sveniva e faceva sogni strani. Per lo meno mamma e papà dicevano che erano sogni. Sogni alla luce del sole. Sogni notturni. Incubi.

    Quando scoprirono il tumore per i suoi genitori fu quasi un sollievo. Finalmente avevano una spiegazione. Quello che ricorda meglio di quanto accadde in seguito è il dolore, le visite in ospedale, i dottori.

    I genitori lo viziavano, infinitamente grati per il fatto che fosse ancora in vita. Erano stati così vicini a perderlo. Se il tumore fosse cresciuto anche solo una briciola in più, non sarebbe stato possibile operare. Perciò il mondo era un luogo minaccioso da cui lui doveva essere protetto. Era il loro bambino, debole e malaticcio. La testa continuò a fargli male per molto tempo dopo l’operazione e all’inizio non volevano neppure lasciarlo uscire. Era in quel periodo che Sten aveva preso l’abitudine di andare a fargli un saluto. Spesso con un regalo e sempre con una bella storia. Un vecchio vedovo, anche lui senz’altro molto solo. Quelle visite erano una pausa apprezzata dalle attenzioni dei genitori, così soffocanti seppure piene di buone intenzioni.

    Fu con la macchina fotografica della Chinon che arrivò il cambiamento liberatorio, la sua nuova alba. I genitori gli comprarono una macchina per principianti con tutti gli accessori. Una macchina fotografica incredibilmente bella, aveva pensato all’epoca. Una buon diaframma, un obiettivo che apriva un mondo di possibilità.

    Era stato in parte merito di Lovisa se aveva avuto quel regalo. Anche lei andava a fargli visita, entrava svolazzando dalla finestra, da fantasma qual era, e si sedeva sul bordo del letto. Lui ne era sempre stracontento. Una sera erano seduti a parlare e ridevano, quando la mamma fece capolino alla porta e lo guardò sgranando gli occhi, il volto contratto. Lovisa gli diede un buffetto sulla guancia e sparì. La mamma restò lì ferma. Poi Johan si accorse che aveva le lacrime agli occhi e le chiese perché era triste, ma lei si voltò senza proferire parola, spense la luce e si chiuse la porta alle spalle. E allora pianse anche lui.

    Il giorno seguente lo riportò in ospedale e raccontò preoccupata ai medici che Johan parlava ancora con i suoi amici invisibili, proprio come se il tumore ci fosse ancora. Fu visitato un’altra volta, ma poterono constatare rapidamente che tutto era a posto. Probabilmente aveva solo bisogno di prendere un po’ d’aria e di avere un po’ di compagnia, secondo il parere dei medici.

    Ricorda ancora la sensazione di libertà quando finalmente poté muoversi senza la fasciatura intorno alla testa e come la mamma lo aveva coccolato prima di lasciarlo uscire nella tersa aria autunnale per un primo giro esplorativo con la macchina fotografica. Lo aveva infagottato in tre strati di vestiti, gli aveva abbottonato scrupolosamente la giacca e gli aveva calcato il berretto di lana sulla fronte. Prudeva un pochino, ma andava bene così. Ancora non voleva mostrare il cranio coperto di peluria e la grossa cicatrice lasciata dall’operazione.

    Quel primo giorno era sceso lungo la ripida strada di Lavalvägen in direzione della zona industriale con la macchina fotografica che penzolava appesa intorno al collo con la sua cinghia. Spesso si fermava per sbirciare dentro i giardini delle ville. Rimase ammaliato dall’albero che risplendeva rosso e oro sopra il prato scintillante per il gelo notturno. Aveva fatto molte foto già prima di arrivare al lago. Lo Järla gli parlava e lo attirava con i suoi segreti. Su quelle rive fece diversi esperimenti con il grandangolo, quello da 28 millimetri, che divenne subito il suo preferito.

    Adesso che è tornato, gli sembra di non essersene mai andato da lì. Evidentemente non sono spariti neppure i suoi vecchi amici, e può ancora vederli, proprio come ha sempre temuto. In genere quelle che vedeva più spesso erano donne. Vestivano di grigio o di verde e si facevano avanti fluttuando con passo leggero. Gli capitava di vederle muoversi al mattino presto sui prati, danzando tra veli di nebbia e lasciando impronte sulla rugiada.

    Sono reali? Se l’è chiesto molte volte, ma non esiste una risposta certa. L’unica cosa che sa è che li vede e che a volte non riesce a distinguerli dai vivi. In questo la macchina fotografica gli era d’aiuto. Perché gli spiriti non erano quasi mai visibili attraverso l’obiettivo.

    Prende il quotidiano del giorno dal tavolino. Per lo meno quello Jenny non l’ha riposto quando ha riordinato. Lo sfoglia fino ad arrivare a un reportage nella pagina della cultura sul giovane e rinomato fotografo Simon Cederquist. Foto artistiche in cui ambientazioni assurde creano un’intensità espressiva. Colori cupi. Non convenzionale e audace secondo l’opinione del critico. Johan non può che essere d’accordo. Angosciante è un’altra definizione che gli viene subito in mente. Nello stile della pop-art.

    Non è il suo modo di esprimersi abituale, anche se forse dovrebbe esserlo. Lui sa cosa vuol dire sentirsi spaventato e pieno di colpe, essere continuamente a un passo dall’abisso.

    Jenny non sembra turbata dalle sue relazioni extra-coniugali. Ha cambiato di nuovo argomento. Adesso sta parlando di uno che ha fatto una pessima figura consegnando le taglie sbagliate per una sfilata.

    Leggere non lo aiuta. Ha bisogno di aria fresca.

    «Credo che andrò fuori a fare un giro».

    Lei si tira su a sedere e gli lancia uno sguardo sorpreso.

    «Di già?».

    Lui annuisce, si alza e va verso il mobile. Spera che lei non noti quanto vacilla.

    «Pensavo di portare con me la macchina fotografica. Per vedere se riesco a trovare un buon soggetto».

    Il volto di Jenny si schiude in un cauto sorriso.

    «Ma è magnifico. Va bene se beviamo il caffè tra un’ora?».

    Lui annuisce di nuovo e le dà un abbraccio maldestro.

    «Torno presto».

    Prende la sua Nikon D80 e un paio degli obiettivi preferiti. Poi si sbriga a uscire nell’ingresso, prima che lei abbia il tempo di dire qualcos’altro. Non sa esattamente perché lo sta facendo. Solo poco prima si era affrettato a salire le scale, impaziente di sfuggire al mondo esterno.

    La macchina fotografica gli pende dal collo mentre si richiude alle spalle la porta dell’appartamento. Questo gli permette di respirare più liberamente. Forse oggi non riuscirà a fare neppure una foto, ma non ha alcuna importanza. Deve andarsene dall’appartamento e da Jenny prima di essere assalito dalla rigidità del corpo. Una paralisi che non può finire in altro se non in catastrofe, portandolo a distruggere quello che ancora gli resta e a fare del male a Jenny. Questo è il suo vero incubo. La ama così tanto, più di quanto sappia dire, più di quanto lei possa comprendere.

    Forse l’avrebbe aiutato saper fotografare il dolore come fa Simon Cederquist, adesso invece deve procedere in maniera più brutale. Piuttosto che a un’estetica accuratamente calcolata si affida ai contrasti.

    È un’idea pazza e non è affatto da lui, ma pensa di andare nel posto dove tutto è cominciato e finito. Non ha senso continuare a evitarlo. La macchina fotografica è il suo patetico scudo. Forse adesso si aprirà l’ultima porta, quella che pensava fosse rimasta bloccata dalla ruggine. Ciò che solitamente filtra attraverso le fessure non è altro che spazzatura senza coerenza e senza un vero significato. È quello che lo fa soffrire più di ogni altra cosa, queste chiazze nere nella coscienza che lui fa di tutto per nascondere. Luoghi a cui non ha neppure accesso, che tuttora lo spaventano. Perché ci sono cose nascoste nella palude, ricordi che non sa se è capace di affrontare. Sogni che potrebbero essere realtà. Ricordi che sono fantasie.

    Non vuole neppure pensarci, ma è ben consapevole del fatto che sta per fare qualcosa che potrebbe liberare l’ombra più nera di tutte. Il ricordo dell’assassino dentro di lui. A volte infatti non sa bene chi sia, né cosa abbia fatto. A volte percepisce l’altro, ma non sa se è se stesso quello che vede. Perché la verità raramente è la benvenuta.

    Ricordi d’infanzia

    Una storia di fantasmi

    Il malessere viene e va. Ha qualche problema di equilibrio. Non appena si alza dal letto compaiono i capogiri e la nausea. Il dottore dalla voce cupa che ha parlato con lui prima che tornasse a casa dall’ospedale, gli ha spiegato che è normale che si senta così. Il cervello deve ricicatrizzarsi, ha detto. È in un momento molto impegnativo. Non c’è nessun pericolo e non deve avere paura. Il peggio è passato. Adesso lo aspetta un miglioramento.

    Ma Johan ha paura di restare sdraiato e immobile. È allora che arrivano. Non ha paura di morire, ma piuttosto di quello che potrà succedere se resta in vita.

    Mette e rimette il disco dei Bee Gees a basso volume perché il papà e la mamma non lo sentano. Il ritmo della musica è bello, forse perché ha la stessa cadenza che c’è dentro la sua testa. È come se qualcosa lo rosicchiasse per entrargli dentro il cranio, un morso alla volta. Se chiude gli occhi e resta disteso e immobile, gli sembra di fluttuare nell’acqua. Il corpo è caldo e quasi senza peso. Non è affatto sgradevole. Ma poi arrivano le immagini: il bosco, il vecchio cimitero e a volte una ragazza che urla.

    La porta cigola e Johan apre gli occhi. Solleva subito il braccio per andare a spegnere il piccolo giradischi. Si apre uno spiraglio nella porta e compare un ciuffo scuro. Johan sbatte gli occhi sorpreso. È Andreas, il suo compagno di classe.

    «Ciao».

    Andreas sembra incerto, come se neanche lui sapesse bene cosa ci faccia lì.

    «Ciao».

    Andreas richiude la porta dietro

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