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Il diario del vampiro. L'alba
Il diario del vampiro. L'alba
Il diario del vampiro. L'alba
E-book280 pagine4 ore

Il diario del vampiro. L'alba

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Info su questo ebook

Il male incombe su Fell’s Church. Basterà l’amore a fermarlo?

Stefan è salvo. Elena, con il suo amore, è riuscita a strapparlo alle tenebre. Ma Damon e Bonnie sono ancora nella Dimensione Oscura, e per salvarli Elena e Stefan saranno costretti ancora una volta a scendere in quel mondo infernale. Nel cuore di Elena, però, l’attrazione per Damon non si è mai spenta. E lui è ancora deciso a conquistare l’amore della sua vita. Intanto, a Fell’s Church, spiriti demoniaci hanno preso possesso della città. Matt e Meredith combattono con tutte le loro forze, ma presto capiranno che la fonte di quel terribile male è più vicina di quanto avrebbero mai potuto immaginare…

La saga che ha ispirato la serie TV The Vampire Diaries


Lisa Jane Smith

ha iniziato a scrivere quando era ancora una bambina e ha pubblicato il suo primo romanzo nell’anno in cui si è diplomata. I suoi libri sono stati tradotti in tutto il mondo e hanno conquistato il cuore di due generazioni di fan. La Newton Compton ha pubblicato il suo primo romanzo, La notte del solstizio, e le sue saghe di maggior successo: Dark visions; Il diario del vampiro (Il risveglio, La lotta, La furia, La messa nera, Il ritorno, Scende la notte, L’anima nera, L’ombra del male, Mezzanotte, L’alba, La genesi, Sete di sangue e Strane creature); I diari delle streghe; La setta dei vampiri e Il gioco proibito. La saga Il diario del vampiro è ora diventata una serie TV. Scoprite tutto su Lisa Jane Smith visitando i siti www.ljanesmith.net e www.lasettadeivampiri.com
LinguaItaliano
Data di uscita16 dic 2013
ISBN9788854137950
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    Anteprima del libro

    Il diario del vampiro. L'alba - Lisa Jane Smith

    1

    «Mama dice che Matt non è a Fell’s Church», ripeté a Stefan la signora Flowers. «Quindi non serve cercarlo nel boschetto».

    «D’accordo», disse Stefan. «Allora se non è lì, dov’è?»

    «Be’», disse esitante Elena, «si tratta della polizia, vero? Lo hanno preso». Si sentiva il cuore nello stomaco.

    La signora Flowers sospirò. «Suppongo di sì. Mama avrebbe dovuto dirmelo, ma ci sono strani influssi nell’aria».

    «Ma il dipartimento dello sceriffo è a Fell’s Church. O almeno quel che ne è rimasto», obiettò Elena.

    «Allora», disse la signora Flowers, «potrebbero averlo portato al dipartimento di polizia di una città vicina. Quelli che sono venuti a cercarlo prima…».

    «Ridgemont», disse con gravità Elena. «Venivano da lì i poliziotti che hanno perquisito la pensione. Meredith ha detto che anche lo sceriffo Mossberg veniva da lì». Guardò Meredith, che non fiatò nemmeno. «Il padre di Caroline ha degli amici in quella città. Pezzi grossi. E anche il padre di Tyler Smallwood. Fanno parte di quei circoli preclusi alle donne con tutti i loro rituali tipo strette di mano segrete e robe simili».

    «Abbiamo qualcosa che somigli a un piano per quando arriveremo lì?», chiese Stefan.

    «Io ho una specie di piano A», ammise Elena. «Ma non so se funzionerà. Forse tu puoi saperlo meglio di me».

    «Parla».

    Elena gli illustrò il piano. Stefan ascoltò, trattenendosi dal ridere. Poi si fece serio e disse: «Credo che potrebbe funzionare».

    Elena cominciò subito a pensare ai piani B e C, così avrebbero saputo che cosa fare se il piano A non avesse funzionato.

    Dovevano attraversare Fell’s Church per raggiungere Ridgemont. Elena guardò tra le lacrime le case bruciate e gli alberi anneriti. Era la sua città, la città che aveva sorvegliato e protetto quando era uno spirito. Come avevano potuto ridurla così?

    E c’era qualche speranza che tornasse tutto come prima?

    Elena cominciò a tremare senza riuscire a controllarsi.

    ***

    Matt era seduto nella sala della giuria, perso nei suoi pensieri tetri. L’aveva esplorata già da un bel pezzo, e aveva scoperto che le finestre erano sbarrate dall’esterno con delle tavole. Non era sorpreso, perché a Fell’s Church tutte le finestre erano sbarrate e, inoltre, aveva già avuto modo di saggiare la resistenza di quelle tavole e sapeva che avrebbe potuto romperle, se avesse voluto.

    Ma non voleva.

    Era il momento di affrontare i propri problemi. Avrebbe voluto affrontarli prima, ma Damon aveva portato le ragazze nella Dimensione Oscura e Meredith lo aveva convinto a non farlo.

    Matt sapeva che il signor Forbes, il padre di Caroline, aveva parecchi amici nella polizia e nella magistratura lì a Ridgemont. E anche il signor Smallwood, il padre del vero colpevole. Era improbabile che gli concedessero un processo equo. Ma, in qualsiasi caso, a un certo punto avrebbero dovuto almeno ascoltarlo.

    E non avrebbero sentito altro che la pura verità. Forse non gli avrebbero creduto subito. Ma più tardi, non appena i gemelli di Caroline avessero acquisito un minimo di controllo sulla propria forma, come succedeva a tutti i cuccioli di licantropo, be’, allora la giuria avrebbe ripensato a Matt e alle sue parole.

    Si rassicurò, dicendosi che stava facendo la cosa giusta. Anche se in quel momento aveva la sensazione che il suo stomaco fosse di piombo.

    Qual è la cosa peggiore che possono farmi?, si chiese, e purtroppo sentì come risposta la triste eco della voce di Meredith. Possono metterti in prigione, Matt. Una vera prigione; sei maggiorenne. Forse questa sarà una bella notizia per certi vecchi criminali incalliti, depravati e muscolosi, con tatuaggi fatti in casa e bicipiti grossi come tronchi, ma non sarà una bella notizia per te. E poi, dopo una serie di ricerche in internet, Matt, in Virginia possono darti l’ergastolo. E il minimo è cinque anni. Matt, per favore, ti imploro, non permettergli di farti questo! Qualche volta è vero che mostrare coraggio significa essere ragionevoli. Loro hanno tutte le carte in mano, e noi invece brancoliamo nel buio….

    Meredith si è agitata tantissimo, e si è lasciata prendere dalla situazione, pensò Matt, avvilito. Ma non è che io sia finito qui perché mi sono offerto volontario. E scommetto che sanno benissimo che queste tavole sono piuttosto fragili. Se evado, mi daranno la caccia da qui a chissà dove. Se non mi muovo, almeno avrò l’opportunità di dire la verità.

    Per molto, moltissimo tempo, non accadde nulla. Dalla luce del sole che filtrava attraverso le crepe fra le tavole, Matt intuì che era pomeriggio inoltrato. Un uomo entrò e gli offrì di accompagnarlo alla toilette e una Coca-Cola. Matt accettò entrambe le cose, ma chiese anche un avvocato e di fare la sua telefonata.

    «Avrai un avvocato», borbottò l’uomo appena Matt uscì dal bagno. «Te ne sarà assegnato uno».

    «Non lo voglio. Voglio un vero avvocato. Uno scelto da me».

    L’uomo sembrava disgustato. «I ragazzi come te non hanno un soldo bucato. Prenderai l’avvocato d’ufficio».

    «Mia madre ce li ha i soldi. Lei vorrebbe che io avessi un avvocato di nostra scelta, non qualche ragazzino appena uscito dalla facoltà di giurisprudenza».

    «Uh», fece l’uomo, «che tenero. Vuoi che la mammina si prenda cura di te. Scommetto che avrà superato Clydesdale da un pezzo, con quella donna nera, la dottoressa».

    Matt s’irrigidì.

    Rinchiuso di nuovo nella sala della giuria, cercò freneticamente di riflettere. Come facevano a sapere dove stavano andando sua madre e la dottoressa Alpert? Ripensò alle parole dell’uomo: Quella donna nera, la dottoressa. Avevano un suono sinistro, d’altri tempi e semplicemente brutto. Se si fosse trattato di un maschio bianco, avrebbe detto: "…è andata con l’uomo bianco, il dottore". Sembrava il dialogo di un vecchio film di Tarzan.

    Matt sentiva crescere dentro di sé una gran rabbia. E insieme alla rabbia, una gran paura. Gli giravano in testa parole come: sorveglianza, spie, cospirazione, insabbiamento. Lo avevano fregato.

    Dovevano essere passate le cinque, poiché tutti gli impiegati del tribunale se n’erano andati, quando lo portarono nella stanza degli interrogatori.

    Capì che era tutta una messa in scena: due agenti cercavano di farlo parlare in una stanzetta angusta con una videocamera in un angolo del soffitto, perfettamente visibile anche se molto piccola.

    Facevano a turno: uno gli urlava che gli conveniva confessare tutto, mentre l’altro si fingeva amichevole e diceva frasi tipo: «È solo che le cose ti sono sfuggite di mano, ho ragione? Abbiamo una foto del succhiotto che ti ha fatto. Era una gran figa, eh?». Gli fece l’occhiolino. «Io ti capisco. Ma poi lei ha cominciato a mandarti dei segnali ambigui…».

    Matt perse le staffe. «No, non eravamo usciti insieme, no, non mi ha fatto un succhiotto, e quando dirò al signor Forbes che avete chiamato suo figlia una gran figa, facendomi l’occhiolino, vi farà licenziare, signore. E ho sentito parlare di segnali ambigui, ma non li ho mai visti. Mi sembra di aver detto no. L’ho sentito come lo avete sentito voi, e presumo che no significhi "no"!».

    Dopo lo pestarono un po’. Matt era sorpreso, ma non più di tanto, considerando che li aveva appena minacciati e trattati con insolenza.

    Alla fine gli agenti rinunciarono a interrogarlo e lo lasciarono solo nella stanzetta, che, diversamente dalla sala della giuria, era priva di finestre. Matt continuò a dire senza posa, di fronte alla telecamera: «Sono innocente e mi stanno negando il mio avvocato e la mia telefonata. Sono innocente…».

    Finalmente tornarono a prenderlo. Il poliziotto buono e quello cattivo lo portarono a spintoni in un’aula per le udienze completamente vuota. No, non proprio vuota, notò Matt. In prima fila c’erano dei giornalisti; alcuni avevano già il taccuino pronto.

    Quando Matt li vide lì seduti, proprio come in un vero processo, e immaginò gli schizzi che avevano fatto sui taccuini, proprio come si vedeva in televisione, la palla di piombo nel suo stomaco si trasformò in un tremito di panico.

    Ma era quello che voleva, no? Rendere pubblica quella storia.

    Lo condussero a un banco vuoto. A un altro banco sedevano parecchi uomini, tutti ben vestiti, ognuno davanti alla propria pila di carte.

    Ma qualcuno su quel banco attrasse l’attenzione di Matt: Caroline. In un primo momento non la riconobbe. Indossava un vestito di cotone grigio tortora. Grigio! Non indossava gioielli ed era truccata in modo leggero. L’unica nota di colore era nei suoi capelli, di un vivace castano dorato. Era il suo colore solito, non quel marrone chiazzato che aveva quando era cominciata la trasformazione in lupo mannaro. Alla fine quindi aveva imparato a controllare la sua forma? Quella era una brutta notizia. Davvero brutta.

    E infine, tutta impettita, con l’aria di camminare sui gusci d’uovo, entrò la giuria. Tutti loro dovevano sapere quanto fosse irregolare quel processo, ma non si fermarono. Erano in dodici, un numero sufficiente a riempire i posti al banco dei giurati.

    Matt all’improvviso si accorse che c’era un giudice seduto al banco sopra di lui. Era lì dall’inizio? No…

    «In piedi; entra il giudice Thomas Holloway», tuonò un usciere. Matt si alzò e si chiese se il processo sarebbe cominciato davvero senza il suo avvocato. Ma prima che tutti tornassero a sedere, la porta si aprì con fracasso e si vide entrare di fretta nell’aula un’alta pila di fogli con le gambe, che divenne una donna di poco più di vent’anni e scaricò le carte sul tavolo accanto a lui. «Gwen Sawicki, presente», disse con l’affanno la giovane donna.

    Il collo del giudice Holloway si protese di scatto come quello di una tartaruga, per includerla nel suo campo visivo. «Lei è stata nominata per conto della difesa?»

    «Con il Vostro permesso, sì, Vostro Onore. Appena trenta minuti fa. Non avevo idea che ci fossero sessioni notturne, Vostro Onore».

    «Non faccia l’impertinente con me!», sbraitò il giudice Holloway. Mentre si presentavano gli avvocati dell’accusa, Matt rifletté sulla parola impertinente. Era un’altra di quelle parole, pensò, che difficilmente veniva associata a un uomo. Un uomo impertinente era un buffone. Mentre una ragazza o una donna impertinente era ok, non c’era nulla di strano. Ma perché?

    «Chiamami Gwen», sussurrò una voce accanto a lui, e Matt si girò, vedendo una ragazza con gli occhi castani e i capelli bruni raccolti a coda di cavallo. Non era molto carina, ma aveva un’aria schietta e onesta che faceva di lei la cosa più carina in quella stanza.

    «Io sono Matt… Be’, è ovvio», rispose.

    «Lei è la tua ragazza, Carolyn?», bisbigliò Gwen, mostrando una foto della vecchia Caroline, scattata a una serata di ballo, con tacco dodici e gambe abbronzate che salivano vertiginosamente fino a incontrare una minigonna nera di pizzo. Indossava una camicetta bianca così aderente che a stento riusciva a contenere le risorse di cui la natura l’aveva dotata. Il trucco era tutt’altro che leggero.

    «Si chiama Caroline e non è mai stata la mia ragazza, ma sì, è lei… la vera Caroline», bisbigliò Matt. «Prima che arrivasse Klaus e mettesse nei guai il suo ragazzo, Tyler Smallwood. Ma devo raccontarle quello che è successo quando lei ha scoperto di essere incinta…».

    Era impazzita, ecco che cosa era successo. Nessuno sapeva dove fosse Tyler. Forse era morto nello scontro finale contro Klaus, forse si era trasformato definitivamente in lupo e si era dato alla macchia, chissà. Così Caroline aveva cercato di dare la colpa a Matt, finché non era apparso Shinichi, che era diventato il suo ragazzo.

    Ma Shinichi e Misao stavano facendo un gioco crudele con lei: lui diceva di volerla sposare ma non era vero. Quando aveva scoperto che a Shinichi non importava niente di lei, Caroline era andata su tutte le furie e aveva fatto di tutto per incastrare Matt, perché riempisse quel grosso buco nella sua vita. Matt fece del suo meglio per spiegare tutto a Gwen, così che lei potesse riferirlo alla giuria, finché la voce del giudice lo interruppe.

    «Tralasceremo i discorsi di apertura», disse il giudice, «data l’ora tarda. L’accusa vuole chiamare il suo primo testimone?»

    «Aspettate! Obiezione!», gridò Matt, ignorando Gwen, che gli diede una gomitata sul braccio e sibilò: «Non puoi obiettare alle decisioni del giudice!».

    «E il giudice non può farmi questo», disse Matt, tirando il lembo della maglietta che aveva arrotolato fra le dita. «Non ho nemmeno avuto la possibilità di parlare con il mio difensore!».

    «Forse avresti dovuto accettare un difensore per tempo», rispose il giudice, sorseggiando un bicchier d’acqua. Poi girò di scatto la testa verso Matt e sbraitò: «Giusto?»

    «È ridicolo», gridò Matt. «Non mi avete concesso la telefonata a cui avevo diritto per chiamare un avvocato!».

    «L’imputato ha mai chiesto di fare una telefonata?», domandò brusco il giudice Holloway, scrutando gli astanti.

    I due agenti che avevano pestato Matt scossero solennemente la testa. Dopodiché l’usciere, che Matt all’improvviso identificò come il tipo che lo aveva rinchiuso per circa quattro ore nella sala della giuria, cominciò a scuotere la testa anche lui avanti e indietro in segno di diniego. Scuotevano tutti e tre la testa, quasi in sincrono.

    «Allora hai rinunciato a questo diritto dal momento che non hai chiesto di esercitarlo», sbraitò il giudice. Sembrava che non sapesse parlare in altro modo. «Non puoi farne richiesta nel bel mezzo di un processo. Ora, come stavo dicendo…».

    «Obiezione!», gridò Matt ancora più forte. «Stanno tutti mentendo! Guardate le registrazioni dell’interrogatorio. Ho ripetuto tutto il tempo…».

    «Avvocato», ringhiò il giudice a Gwen, «faccia in modo che il suo cliente si controlli o sarete arrestati per oltraggio alla corte!».

    «Devi stare zitto!», sibilò Gwen a Matt.

    «Non potete farmi tacere! State infrangendo tutte le regole… Questo processo non è valido!».

    «Chiudi il becco!». Il giudice urlò a un volume sorprendente. Poi aggiunse: «Il prossimo che fa un’osservazione senza il mio esplicito permesso, sarà arrestato per oltraggio alla corte e condannato a una bella notte in prigione e a una multa di cinquecento dollari».

    Si fermò per guardarsi attorno e controllare che le sue parole avessero fatto effetto. «Ora», disse. «Accusa, chiamate il vostro primo testimone»

    «Chiamiamo al banco Caroline Beulah Forbes».

    L’aspetto di Caroline era cambiato. Con quella pancia somigliava a un avocado. Matt udì dei mormorii in sala.

    «Caroline Beulah Forbes, giuri di non dare falsa testimonianza e di dire la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità?».

    Dentro di sé, Matt tremava. Non sapeva se più per la rabbia, la paura o per una combinazione di entrambe. Ma si sentiva come un geyser pronto a esplodere. Non perché lo volesse, ma perché delle forze incontrollabili stavano per impadronirsi di lui. Matt il Ragazzo Gentile, Matt Sempre Quieto, Matt l’Obbediente se li era lasciati tutti alle spalle. Matt Furioso e Matt Scatenato erano gli unici che potesse impersonare.

    Voci provenienti dal confuso mondo esterno filtrarono nella sua fantasticheria. E ce n’era una che pungeva e bruciava come una foglia d’ortica.

    «Il ragazzo con cui hai detto di aver avuto una relazione, Matt Jeffrey Honeycutt, è qui, in questa stanza?»

    «Sì», mormorò la voce fastidiosa e urticante. «Indossa una maglietta grigia ed è seduto al banco della difesa».

    Matt alzò la testa di scatto. Guardò Caroline dritto negli occhi.

    «Sai che è una bugia», disse. «Noi non siamo mai usciti insieme. Mai».

    Il giudice, che sembrava essersi appisolato, si svegliò di colpo. «Usciere!», sbraitò. «Blocchi subito l’imputato».

    Matt s’irrigidì. Gwen Sawicki gemette, mentre due uomini lo tenevano fermo e gli avvolgevano del nastro adesivo intorno alla testa per tappargli la bocca.

    Si dibatté. Cercò di alzarsi. Così gli avvolsero il nastro intorno alla vita, legandolo alla sedia. Quando finalmente lo lasciarono in pace, il giudice disse: «Se prova a scappare con quella sedia, la multa sarà detratta dalla sua parcella, Zignorina Sawicki».

    Matt si accorse che Gwen Sawicki stava tremando. Non di paura. Riconobbe l’espressione di chi sta per esplodere e capì che lei sarebbe stata la prossima. Allora il giudice non l’avrebbe più tenuta in considerazione, e chi avrebbe parlato in sua difesa?

    La guardò negli occhi e scosse la testa con decisione. Ma scuoteva la testa anche a ogni bugia che Caroline inventava.

    «Eravamo costretti a tenere segreta la nostra relazione», disse Caroline in tono falsamente pudico, raddrizzando le pieghe del suo vestito grigio. «Perché non volevamo che Tyler Smallwood, il mio ex ragazzo, ci scoprisse. Avrebbe potuto… Insomma, non volevo avere nessun problema con lui».

    Già, pensò amaramente Matt, faresti meglio a stare attenta, perché anche il padre di Tyler ha molti buoni amici qui. Forse più del tuo. Matt si distrasse finché sentì l’avvocato dell’accusa che diceva: «E quella notte è successo qualcosa di insolito?»

    «Be’, siamo usciti con la sua macchina. Siamo tornati passando vicino alla pensione… Nessuno poteva vederci lì… Sì, io… temo di avergli dato un bacio un po’… focoso. Dopo volevo smettere, ma lui non si fermava. Ho provato a respingerlo. L’ho graffiato con le unghie…».

    «L’accusa presenta la prova numero due: una foto di graffi profondi provocati da unghie sul braccio dell’imputato…».

    Gwen fissò negli occhi Matt con uno sguardo stanco. Stremato. Gli mostrò una foto di quello che lui già ricordava: i segni profondi lasciati dai grossi denti del malach quando aveva estratto il braccio dalla sua bocca. «La difesa converrà su…».

    «Prova accolta, dunque».

    «Ma per quanto urlassi e mi dibattessi… be’, lui era troppo forte e io… non riuscivo…». Caroline chinò il capo, sopraffatta dal dolore per il sentimento di vergogna che tornava vivido nella memoria. Le lacrime le sgorgavano copiose dagli occhi.

    «Vostro Onore, forse la testimone ha bisogno di una pausa per rinfrescarsi il trucco», suggerì con amarezza Gwen.

    «Signorina, lei mi sta dando sui nervi. L’accusa può prendersi cura da sola dei propri clienti… testimoni, intendevo dire».

    «…Prosegua pure con la sua testimonianza», disse l’avvocato d’accusa.

    Mentre la recita di Caroline andava avanti, Matt aveva descritto nel modo più dettagliato possibile la vera storia su un foglio di carta bianca. Adesso Gwen lo stava leggendo.

    «Dunque», disse Gwen, «il suo ex, Tyler Smallwood, non è e non è mai stato un…», deglutì, «lupo mannaro».

    Piangendo lacrime di vergogna, Caroline emise una risatina. «Certo che no. I lupi mannari non esistono».

    «Come i vampiri».

    «Certo, neppure i vampiri sono reali, se è quello che intende dire. Come potrebbero esserlo?». Mentre parlava, Caroline scrutava ogni ombra della stanza.

    Gwen stava facendo un buon lavoro, pensò Matt. La patina di falso pudore di Caroline cominciava a rompersi.

    «E la gente non torna mai a vivere dopo la morte… in questi tempi moderni, intendo», disse Gwen.

    «Be’, quanto a questo», la voce di Caroline si tinse di un velo di malizia, «se andate alla pensione di Fell’s Church, vi troverete una ragazza di nome Elena Gilbert, che pare sia annegata lo scorso anno. Il giorno dei Fondatori, dopo la parata. Era Miss Fell’s Church, naturalmente».

    Fra i giornalisti corse un mormorio. Le storie sovrannaturali vendevano meglio di qualunque altra cosa, soprattutto se vi erano coinvolte delle ragazze carine. Matt vide che si scambiavano parecchi sorrisi compiaciuti.

    «Ordine! Zignorina Sawicki, la prego di attenersi ai fatti riguardanti il caso!».

    «Sì, Vostro Onore». Gwen sembrava contrariata. «D’accordo. Caroline, torniamo al giorno del presunto stupro. In seguito agli eventi narrati, ha chiamato subito la polizia?»

    «Io mi… vergognavo troppo. Ma poi ho pensato che forse ero rimasta incinta o avevo preso qualche orribile malattia, e ho capito che dovevo dirlo a qualcuno».

    «Ma l’orribile malattia di cui parla non era forse la licantropia? Lei non era diventata un lupo mannaro, giusto? Perché questo non può essere vero».

    Gwen rivolse a Matt un’occhiata ansiosa e lui le restituì uno sguardo tetro. Aveva sperato che, se Caroline fosse stata costretta a parlare di lupi mannari, alla fine avrebbe cominciato ad avere degli spasmi, a trasformarsi. Ma pareva che lei avesse raggiunto il completo autocontrollo ormai.

    Il giudice sembrava furioso. «Signorina, non le permetterò di prendersi ancora gioco della corte con altre sciocchezze sovrannaturali!».

    Matt guardò il soffitto. Sarebbe finito in prigione. Per molto tempo. Per qualcosa che non aveva fatto. Per qualcosa che non avrebbe mai fatto. E per giunta i giornalisti sarebbero andati a infastidire Stefan ed Elena alla pensione. Dannazione! Caroline era riuscita a portare i riflettori su Elena, nonostante il giuramento di sangue con cui si era impegnata a non divulgare il segreto. Anche Damon aveva firmato quel giuramento. Per un attimo Matt desiderò che Damon tornasse per vendicarsi di lei. Poteva anche chiamarlo Mutt, purché si facesse vivo. Ma Damon non arrivò.

    Matt si accorse che il nastro adesivo intorno alla

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