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Love. Un incredibile incontro
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E-book553 pagine6 ore

Love. Un incredibile incontro

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Info su questo ebook

Bestseller mondiale

La serie più amata dalle lettrici americane è finalmente arrivata!

Alec la possiede. E Alec non rinuncia a quello che possiede.

Keela Daley è la pecora nera della famiglia. È sempre venuta dopo sua cugina, Micah. Anche sua madre aveva occhi solo per la splendida Micah, mentre Keela passava inosservata. Ora sono cresciute, Micah sta per sposarsi e ancora una volta i riflettori sono tutti puntati su di lei. Alec Slater è scapolo, nessuna donna resta nel suo letto per più di una notte. Fa quello che vuole e non deve rispondere a nessuno. Almeno finché non incontra un’irlandese dai capelli rossi come il fuoco. Che lo mette a dura prova. Keela odia ammetterlo, ma ha bisogno di un favore da quell’uomo arrogante. Ha bisogno che lui la accompagni al matrimonio di Micah e finga di essere il suo fidanzato. Alec accetta di aiutarla, ma ad alcune condizioni… 

«Questi fratelli Slater sono irresistibili e incredibilmente hot!»

«Mi è piaciuto tantissimo... I fratelli Slater ti travolgono... nel vero senso della parola. Non vedo l’ora di leggere il seguito...»

«Wowowowow! Mi facevano male le guance per quanto ridevo. Un romanzo fenomenale, tutto passione e amore, davvero stupendo, non vedo l’ora di leggere gli altri romanzi.»

«Pieno di azione, sexy, divertente e intrigante… Vi dico solo che questi “Brothers” sono una cosa indescrivibile, andrete a fuoco non appena li incontrerete!»

«Una storia che cattura, divertente, a tratti folle e mooolto sexy!»

«Ormai è ufficiale: amo i fratelli Slater, li AMO!!! E non posso più fare a meno di loro…»

«Leggendo questo libro ho riso, pianto, sospirato… Sono stata totalmente conquistata: la storia è perfetta, non cambierei neanche una virgola!»
L.A. Casey
È nata a Dublino, dove risiede tuttora. Con la serie LOVE ha scalato le classifiche di «New York Times» e «USA Today». La Newton Compton ha già pubblicato Un nuovo destino, Un incredibile incontro, Un pensiero infinito, Fidati di me e Non smettere di amarmi mai, nonché, in e-book, le novelle Anime gemelle, Amori perduti, Come cuori lontani e Non lasciarmi mai.
LinguaItaliano
Data di uscita16 mar 2016
ISBN9788854194151
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    Anteprima del libro

    Love. Un incredibile incontro - L.A. Casey

    1227

    Titolo originale: Alec

    Copyright © 2014 L.A. Casey

    All rights reserved

    Traduzione dall’inglese di Federica Di Egidio

    Prima edizione ebook: giugno 2016

    © 2016 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-541-9415-1

    www.newtoncompton.com

    Realizzazione a cura di Librofficina

    Progetto grafico: Sebastiano Barcaroli

    Foto: © Ilina Simeonova / Trevillion Images

    L.A. Casey

    Love

    Un incredibile incontro

    Le mie Ragazze.

    La mia famiglia.

    I miei amici.

    I miei lettori.

    Questo è per voi.

    Capitolo uno

    «Signorina Daley? Apra! So che è in casa, la sua auto è nel parcheggio!».

    Al suono forte di quella voce, mi sfuggì un lamento e spalancai di scatto gli occhi, richiudendoli subito dopo. Mi ci volle qualche minuto prima di riuscire a tenerli aperti, anche se non ci vedevo bene. Rimasi con gli occhi socchiusi aspettando che si abituassero alla scarsa illuminazione. Quando finalmente ci vidi, rivolsi subito lo sguardo verso il grasso maschio che russava a fianco a me.

    Lo spinsi sperando di buttarlo giù dal letto, ma invece di cadere, scoreggiò, si girò verso di me e mi piazzò un bacio bavoso sulla bocca.

    «Storm!», gridai e mi pulii, provando a non vomitare, anche se con l’alito che si ritrovava non era una cosa facile.

    Con una certa pigrizia, lui si mise in piedi, stiracchiandosi e facendo qualche rumore strano, poi si tuffò di pancia su di me lasciandomi senza fiato. Dovevo mettere Storm, il mio pastore tedesco di due anni, a dieta, o uno di questi giorni, quel ciccione avrebbe finito per soffocarmi nel sonno.

    «Levati!», gli urlai e diedi una spinta al suo corpo massiccio con entrambe le mani.

    Fece quello che gli avevo ordinato e mi si levò di dosso. Ma non scese dal letto. Al contrario, si rigirò sul suo lato – sì, il mio cane aveva un lato del letto – cosa che non mi stupì affatto. Gli unici momenti in cui si muoveva volentieri erano a colazione, a pranzo, a cena, o praticamente tutte le volte in cui sapeva che c’era del cibo per lui.

    «Sottospecie di cane da guardia», borbottai mentre i forti colpi sulla porta del mio appartamento ricominciavano.

    Storm replicò con un altro peto costringendomi a spalancare la finestra prima di uscire dalla camera e andare verso il corridoio. Mentre camminavo, sbattei il dito del piede contro un suo giocattolo, maledicendo la persona dall’altra parte della porta per avermi buttato giù dal letto: era notte fonda, porca miseria!

    «Arrivo, un attimo!», gridai non appena raggiunta la porta, e iniziai ad aprire le serrature. In tutto, ce n’erano cinque perché, nella zona dove vivevo, una non era sufficiente. Accesi la luce e trasalii quando la lampadina si bruciò, lasciando l’ingresso di nuovo al buio. Sospirai girandomi verso la porta. Anche se ero abbastanza sicura di chi ci fosse dall’altra parte, guardai attraverso lo spioncino, per sicurezza.

    Dopo aver accertato che il rumoroso seccatore era, di fatto, il mio vicino, aprii l’ultima serratura e spalancai la porta, fulminando con lo sguardo il tizio che mi stava davanti. Il signor Pervert – il suo vero nome era Doyle – era un uomo di mezza età e l’amministratore delegato della Perverts ’R Us. Era un grosso verme, e odiavo l’idea di aprirgli con addosso solo la camicia da notte, dandogli carta bianca per mangiarmi con quei suoi occhi erranti.

    «Posso aiutarla, signor Per… Doyle?», gli chiesi, mordendomi la lingua per non scoppiare a ridere dopo aver quasi detto ad alta voce signor Pervert.

    Spalancò gli occhi fissandomi, a bocca aperta, dalla testa ai piedi, e si schiarì la voce mentre sollevava la mano, in cui c’era una busta. Guardai quella busta per un istante, poi alzai lo sguardo verso di lui e mi accorsi che i suoi occhi non erano più sul mio viso. Bussai sul lato esterno della porta con la mano libera: lui saltò dalla paura e io risi sotto i baffi.

    Quando risollevò lo sguardo, feci un cenno alla busta che aveva in mano e alzai le sopracciglia, rivolgendogli una tacita domanda.

    Si schiarì di nuovo la voce e mi disse: «Nelle ultime settimane sono stato fuori e quando sono tornato a casa qualche minuto fa, ho trovato questa nella cassetta delle lettere. È indirizzata a lei ma c’è il numero del mio appartamento invece del suo».

    Avevo voglia di prenderlo a pugni. Usai la luce del corridoio fuori dal mio appartamento per guardare l’orologio sulla parete alle mie spalle. Erano le tre e venti del mattino.

    Non poteva aspettare fino a domani mattina per portarmela? Dannato idiota!.

    Sospirai mentre mi rigiravo verso il signor Pervert, che stava scrutando ancora il mio corpo. Allungai il braccio e presi la busta, tirandola appena finché non la mollò.

    «Grazie, le sono grata di essersi scomodato per assicurarsi che ricevessi la mia posta». Con un finto sorriso, ritrassi la mano con la busta nascondendola al sicuro dietro la porta – insieme a tutto il resto del mio corpo – in modo tale che il signor Pervert non potesse più vedermi.

    Sbatté le palpebre più volte e mi guardò in faccia, dato che ora era tutto quello che poteva vedere.

    «Nessun problema, tesoro».

    Tesoro? No!.

    Sorrisi e annuii mentre, piano piano, accostavo la porta. «Buonanotte».

    «Buona…». La chiusi prima che potesse finire la frase.

    Mi scrollai di dosso i brividi, bloccai di nuovo tutte le serrature e misi il chiavistello in cima alla porta. Tirai un sospiro di sollievo quando sentii il rumore dei passi del signor Pervert lungo il corridoio e dentro il suo appartamento, e la porta che si chiudeva alle sue spalle. Diedi un’occhiata alla busta nella mia mano e decisi di aprirla perché curiosa di sapere cosa ci fosse dentro. Non riuscii a guardare bene perché l’ingresso era ancora al buio, ma sapevo che non era una bolletta. Non somigliava alle buste delle bollette, era più spessa. Da quello che vedevo, sembrava più bella. Più pregiata.

    Mi diressi in cucina, che serviva anche da salotto, e accesi la luce. Gettai la busta sul tavolo e andai verso i cassetti del piano cottura per cercare il tagliacarte. Lo trovai subito ma dovetti metterlo giù quando sentii squillare il telefono in camera da letto. Aggrottai le sopracciglia, confusa.

    Chi diavolo potrebbe chiamarmi alle tre e venti del mattino?.

    «Aideen», dissi ad alta voce e corsi in camera.

    Aideen Collins era la mia migliore amica. Somigliava più a una sorella e le volevo bene con tutto il cuore, ma c’erano dei momenti in cui mi faceva veramente incazzare. Tipo, quando mi chiamava alle tre e mezza del mattino.

    Presi il cellulare e risposi: «Spero tu abbia un buon motivo per telefonarmi a quest’ora, Aideen Collins, o ti prendo a calci!».

    Sentii un sogghigno profondo e rimbombante.

    «Lei ha un buon motivo, perciò non è necessario che la prenda a calci», mi rispose una voce maschile, facendomi sobbalzare dalla paura perché non me l’aspettavo.

    «Tu chi sei? Dov’è Aideen? Perché hai il suo cellulare?», gli chiesi e, con il fiato mozzato, urlai: «Se hai fatto del male alla mia amica, ti spacco la faccia!».

    Questa volta lo sconosciuto scoppiò a ridere e mi disse: «Sei sicura, gattina?».

    Scusa?.

    «Dov’è Aideen? Faresti meglio a dirmelo subito, altrimen­ti io…».

    «Mi spacchi la faccia? Sì, ho capito». Sogghignò di nuovo e, prima che potesse aggiungere altro, sentii una seconda voce maschile.

    «Ti ho chiesto di telefonare all’amica della ragazza, Alec. Perché diavolo ci metti così tanto?».

    A mente presi nota del nome Alec nel caso avessi dovuto chiamare la polizia.

    «Sto parlando con la sua amica, ma non sono riuscito a dirle il motivo per cui ho telefonato. È troppo impegnata a minacciarmi di spaccarmi la faccia se ho fatto del male alla ragazza». Il tizio al cellulare scoppiò a ridere.

    Ero furiosa e, nello stesso tempo, terrorizzata da dove si trovasse Aideen e da chi fossero questi sconosciuti. Sapevo che non erano irlandesi né inglesi – i loro accenti erano troppo diversi – ma non riuscivo a individuare da dove venissero perché c’era parecchio rumore di sottofondo. Sembrava musica.

    «Dille soltanto ciò che ti ho detto così può raggiungerci, forza», disse l’altro ragazzo a quello che mi aveva chiamata.

    Questo sospirò e riprese: «Keela, ti sto chiamando perché la tua amica Aiden ha fatto a pugni e devi venire a prenderla. È stata lei a dirmi di telefonarti».

    «Si chiama Aideen, non Aiden. Si pronuncia Ay-deen», gli risposi, e poi spalancai gli occhi, quando afferrai il resto di ciò che mi aveva detto. Gridai: «Sta bene? Che è successo? Chi le ha fatto del male?»

    «Sta’ calma, iena. Sta bene. Devi solo venire a prenderla. Ti spiego tutto una volta qui».

    «Dov’è qui?», sbottai mentre vagavo per la camera e mi infilavo le scarpe. Presi le chiavi dell’auto dal comodino tenendo con la spalla il cellulare all’orecchio.

    «Playhouse Night Club; è proprio vicino alla tangenziale di Tallaght…».

    «So dov’è. Arrivo tra cinque minuti», gli dissi mettendo giù.

    Con il telefono e le chiavi della macchina ben stretti nella mano, chiusi la finestra della mia camera da letto. Dissi a Storm di non muoversi, ma parlai a vuoto perché non fece una piega né si svegliò. Corsi verso l’ingresso, aprii le serrature e il chiavistello, spalancai la porta e balzai nel corridoio. Chiusi la porta a chiave e schizzai via come un fulmine verso l’atrio, lungo cinque rampe di scale, e poi fuori, nel parcheggio del mio complesso residenziale. Scattai verso la mia auto accorgendomi di essere in camicia da notte solo quando sentii una fresca brezza che mi fece venire i brividi.

    «Cazzo!», sbottai mentre aprivo la portiera, salivo e mettevo in moto.

    Non avevo pensato a cambiarmi, solo a infilarmi le scarpe e a raggiungere l’auto. Non avevo intenzione di tornare indietro. Dovevo andare da Aideen. Assicurarmi che stesse bene era una priorità. Comunque, non mostravo niente di importante. La camicia da notte era solo un po’ corta, era nera e perciò non dovevo preoccuparmi che fosse trasparente. Almeno in questo ero stata fortunata. Anche il tempo stanotte era bello; era fresco ma non c’erano vento né pioggia. Avrei dovuto solo tenere giù l’orlo della camicia da notte scendendo dalla macchina per evitare che si sollevasse se avessi dovuto scappare.

    Uscii dal parcheggio, dritta sulla strada principale, e mi diressi verso il locale. Ora ero completamente sveglia, ma era comprensibile che ancora mi bruciassero gli occhi. Avevo dormito solo quattro ore prima che il signor Pervert bussasse alla mia porta. E prima ancora, non riposavo da ventisette. Lavoravo nel supermercato del posto, il Super Value. Ero al verde e avevo bisogno di fare tutti gli straordinari che potevo, perciò il giorno precedente avevo fatto un turno di undici ore, e invece di andarmene dritta a letto una volta a casa, mi ero messa a scrivere, passando la notte in bianco.

    La mia passione era sempre stata quella di dar vita alle storie che avevo in mente sulla carta, o sullo schermo del portatile. Mi ero dilettata, qua e là, solo con cose di poco conto, mai con un intero romanzo. Fortunatamente per me, Aideen mi aveva, letteralmente, dato il calcio nel sedere che mi serviva, dicendomi di «buttarmi» perché non potevo sapere se quello che scrivevo avrebbe avuto successo o meno se continuavo a tenerlo per me. Dopo questa avvisaglia, tre settimane fa, mi rimboccai le maniche e cominciai a lavorare al mio primo libro. Ieri, anche se ero stanca morta, ero concentratissima e dovevo scrivere. Dentro avevo talmente tanto per la mia storia che se non l’avessi tirata subito fuori dalla testa, sarei esplosa. Così scrissi, scrissi e scrissi ancora. La mancanza di sonno e il bruciore agli occhi per aver fissato il computer mi stavano uccidendo perché mi sentivo uno zombie e, sicuramente, ne avevo anche l’aspetto.

    Quando mi fermai al semaforo, tirai giù l’aletta parasole, mi guardai nello specchietto e sobbalzai. Ritiro tutto, dire che sembravo uno zombie era troppo poco. Le sclere intorno ai miei occhi verdi somigliavano alla carta stradale per l’inferno, tanto erano iniettate di sangue. I capelli rosso fuoco erano un po’ unti e raccolti in un pessimo chignon. Abbassai lo sguardo sulle lunghe gambe nude e pallide e scossi la testa.

    Perché devo essere così alta? Se fossi più bassa, questa camicia da notte sarebbe più lunga e mostrerebbe meno!.

    Quando il semaforo diventò verde, tirai su l’aletta parasole con una certa rabbia e mi diressi a tutta velocità al night club dove stava Aideen insieme a quegli uomini. Mi ci vollero meno di cinque minuti grazie ai semafori verdi e allo scarso traffico di quell’ora. Svoltai nel parcheggio del locale e feci un giro finché non vidi due grossi uomini guardare una donna minuta seduta sulla strada, qualche metro più in là dall’entrata del night club. Era Aideen, ne ero sicura. Parcheggiai di fronte a loro, saltai fuori e sbattei la portiera prima di correre da lei.

    Quando sentirono il rumore dei miei passi, entrambi gli uomini mi fissarono mentre li raggiungevo, ma senza dire nulla. Una volta lì, mi inginocchiai e abbracciai Aideen. Ignorai il lieve dolore alle ginocchia per il cemento a terra che mi si conficcava nella pelle e la strinsi forte.

    «Stai bene? Che è successo?», le chiesi e la liberai dall’abbraccio per poterla osservare.

    Aideen mi guardò e io, vedendola, sussultai. Aveva un taglietto sul sopracciglio e la mandibola era gonfia sul lato destro.

    «Una puttana mi è saltata addosso», borbottò.

    «Chi?», sbottai. «L’ammazzo, cazzo!».

    Ero sorpresa dal fatto che sembrava che potessi davvero mettere in atto la mia minaccia.

    Non ero una combattente.

    Cioè, quando serviva sapevo difendermi, ma non ero proprio Mike Tyson.

    In tutta la mia vita avevo fatto a botte una sola volta, e soltanto perché da bambina, mia cugina più piccola, Micah, mi aveva dato un pugno in faccia per vedere se il mio sangue fosse blu. Aveva detto a tutti che ero un’aliena con il sangue blu venuta dallo spazio, e l’unico modo per dimostrare che ero un essere umano era quello di lasciarmi prendere a pugni e farmi sanguinare il naso. Avevo accettato poiché non pensavo che facesse tanto male: avevo torto, avevo proprio torto, perché faceva male da morire.

    Dopo che Micah mi aveva picchiata e dal naso perdevo sangue rosso, avevamo la conferma che di fatto ero un essere umano. Ma allora le ero saltata addosso perché mi faceva malissimo e avevo deciso che doveva essere punita per ciò che mi aveva fatto. Invece di darle una lezione, ottenni un occhio nero e un dente scheggiato. Micah mi aveva fatto il culo ed era stata l’unica volta che avevo fatto a botte. Nonostante la mia incapacità di far del male, se qualcuno ferisse Aideen o Storm, mi trasformerei in Bruce Lee contro quei bastardi.

    Era la realtà nuda e cruda.

    Aideen mi sorrise e mi abbracciò a sua volta.

    «So che lo faresti, ma ora voglio solo tornare a casa. Posso restare con te?».

    Me l’aveva chiesto sul serio?

    La scossi. «Certo, idiota».

    Aideen scoppiò a ridere e così i due uomini che ci osservavano.

    Non sapevo come, ma avevo dimenticato che fossero vicino a noi. Mi alzai velocemente in piedi e tirai Aideen su con me. Non era proprio ubriaca, solo un po’ brilla. Non dovevo tenerla in equilibrio, ma continuavo a stringerla per sicurezza.

    «Lui è Alec», disse Aideen e indicò con una certa pigrizia l’uomo a destra che mi stava palesemente scrutando dalla testa ai piedi, «…e lui Kane». Serrai la presa sulla mia amica quando vidi Kane, l’uomo a sinistra. Era alto e muscoloso come il coglione che osservava il mio corpo, ma faceva paura. Aveva una grossa cicatrice che girava attorno al lato sinistro della bocca, e altre simili a graffi che scendevano dalla tempia destra oltre il sopracciglio, lasciando dei buchi tra i peli come se fossero stati tagliati in quel modo.

    «Ciao», mormorai evitando di guardarli negli occhi.

    «Kane è venuto a salvarmi quando la ragazza di Alec mi ha colpita», mi disse Aideen, e sorrise a Kane, che contraccambiò.

    «Era una che mi sono scopato la settimana scorsa, non la mia ragazza… e ho chiesto scusa per il suo comportamento», fece Alec sospirando.

    Ignorai l’idiota che aveva appena parlato, e guardai Kane, che quando mi sorrise mi fece sentire immediatamente rilassata. Non faceva paura se sorrideva in quel modo. Aggrottai la fronte non appena realizzai il resto di ciò che Aideen aveva detto. Prima di rendermene conto, la lasciai e diedi ad Alec una spinta al petto con tutta la forza che avevo. Non se l’aspettava, perciò perse l’equilibrio e cadde a terra grugnendo.

    «Questo è perché la tua ragazza ha ferito la mia amica, e se scopro chi è la troia, la uccido!», urlai.

    Aideen mi afferrò per un braccio e mi tirò indietro implorandomi di fermarmi, mentre Alec mi scrutava con gli occhi spalancati, dopo aver guardato Kane, che a sua volta lo fissava con gli occhi sbarrati e la bocca aperta. Dopo qualche istante scoppiarono a ridere come se ciò che era appena successo fosse una cosa divertentissima. Non ci vidi più dalla rabbia e provai di nuovo a scagliarmi contro Alec, ma Aideen mi si mise davanti e mi scostò, tenendomi per le spalle.

    «Te l’avevo detto, fratello; è un’arpia del cazzo!», blaterò Alec mentre afferrava la mano tesa di Kane e si faceva aiutare ad alzarsi.

    Kane continuava a ridere e scuoteva la testa. «Vorrei che l’avessero visto i gemelli. Dominic l’avrebbe aiutata a colpirti mentre Damien riprendeva tutto».

    Non avevo la minima idea di cosa e di chi stessero parlando, ma con il dito sopra la spalla di Aideen indicai pericolosamente Alec e gli ringhiai contro.

    «Continua a ridere, bello, e ti spacco la faccia!», lo avvertii.

    Alec fece un passo avanti con un gran sorriso. «In questo momento mi sento molto attratto da te. Che ne dici di tornare a casa con me, visto che sei già pronta per andare a letto?».

    Io e Aideen rimanemmo senza parole per lo shock. Lei si voltò e gli diede una spinta sul petto ma non riuscì a buttarlo a terra. «Finiscila! Vi ringrazio per avermi aiutata, ma non voglio che tratti la mia amica come una delle tue vecchie clienti, Alec. Lei è una brava ragazza!».

    Clienti?

    Che diavolo significava?

    Alec le sorrise prima di spostare lo sguardo su di me.

    «Oh, scommetto che da qualche parte dentro di lei c’è una cattiva ragazza. Mi basterà usare le dita, la bocca e l’uccello per portarla alla luce e giocare con lei».

    Ma. Che. Cazzo?

    «Chi diavolo credi di essere?», sbottai.

    Mi sorrise e mi fece l’occhiolino dicendomi: «Alec Slater, la tua prossima – o unica – fantastica scopata».

    Parlava sul serio?

    «Tu stai per essere Alec Slater vittima di omicidio, se non chiudi la bocca!».

    Kane scoppiò a ridere mentre cercava di afferrare il braccio di Aideen e la tirava verso di lui e lontano da me. «Ti prego, non metterti in mezzo. Finora non ho mai visto una donna, a parte Bronagh, rispondergli così male», le disse, e le spostò i capelli biondi dagli occhi. Quel gesto la fece sciogliere, dato che si accasciò su di lui.

    Alzai gli occhi al cielo e guardai Alec, che era venuto più vicino a me, prima di sbraitare: «Prova a toccarmi e non sarai più in grado di avere figli. Ti avverto».

    Lui sogghignò e incrociò le braccia sul petto largo; in questo modo tutti i muscoli che riuscivo a vedere si contrassero e irrigidirono. Decise di restare fermo, ma con lo sguardo mi scrutava palesemente dalla testa ai piedi, soprattutto le gambe, facendomi sentire parecchio a disagio.

    «Smettila di fissarmi, sporco bastardo!», ringhiai.

    Sollevò lo sguardo su di me. «Perché saresti uscita vestita in quel modo, se non vuoi che le persone ti guardino?», mi chiese.

    Strinsi i pugni e feci un passo verso di lui. Dovetti inclinare la testa leggermente all’indietro perché era molto più alto del mio metro e settanta, e quando me ne resi conto, mi sentii intimidita. Ma non ero disposta a cedere.

    «Sono uscita in camicia da notte perché la mia amica aveva bisogno di me e non ho pensato a vestirmi quando mi hai telefonato, idiota».

    Mi sorrise mostrandomi tutti i denti. «Sembri la ragazza di mio fratello; anche lei mi dà spesso dell’idiota».

    Lo scrutai, le mie labbra si arricciarono in un’espressione di disgusto. «Deve essere gentile, perché ci sono un sacco di termini che ti si addicono molto di più. Checca potrebbe essere uno», gli dissi sbraitando, poi mi voltai verso Aideen e la sorpresi a baciare Kane. Non stavano solo pomiciando, era completamente avvinghiata a lui. Feci qualche passo, l’afferrai per il braccio, e la tirai non proprio delicatamente a fianco a me. Brontolai: «Non ricordi il video che diceva di non dare confidenza agli sconosciuti che abbiamo visto quando eravamo a scuola?».

    Aideen mi guardò incredula prima di ridacchiare e scuotere la testa. «Non sono pericolosi. Kane mi ha salvata dal pericolo».

    Indicai da sopra la spalla. «Già, e la ragazza della checca ti ha messa in pericolo, quindi lascia perdere».

    «Ho la sensazione che mi stai chiamando gay», disse Alec dietro di me.

    Serrai la mascella e continuai a tirare Aideen, mentre lei gli lanciava un’occhiataccia da sopra la mia spalla e gli diceva: «Ti sta dando del gay, ma per lei non è un insulto. Non è omofoba; l’ha detto solo perché sperava che ti arrabbiassi».

    Sul serio?

    «Non dovresti dirglielo, Ado!», ringhiai.

    «Ado? Mi piace questo nomignolo». La voce di Kane ronzava dalla mia destra.

    Aveva pronunciato Ado così bene.

    Ay-doh.

    Spinsi Aideen dietro di me, ignorando le sue proteste, mentre fissavo Kane, e più lo guardavo, più il mio sguardo fermo vacillava. «Senti, grazie per aver aiutato la mia amica dopo che si è fatta male, ma non ha intenzione di ringraziarti con una lap dance, quindi smettila di provarci».

    Kane alzò le sopracciglia mentre guardava sopra le mie spalle e le chiese: «Sei una spogliarellista?»

    «No, sono un’insegnante». Aideen lo prendeva in giro. «Niente lap dance significa che non si scopa».

    Kane scoppiò a ridere. «La tua amica ti sta vietando di fare sesso con me?»

    «Sì», rispondemmo io e Aideen all’unisono.

    «E tu sei d’accordo?», le domandò Alec mentre girava attorno a noi e si appoggiava alla stessa auto a cui si era accostato Kane.

    Sembravano due modelli fitness, e averlo notato mi fece incazzare.

    «Sì», sospirò lei. «È abbastanza intransigente sul fatto di non fare sesso con gli sconosciuti e… anch’io».

    Kane sostenne lo sguardo di Aideen e poi disse sorridendo: «Peccato».

    «Uh-huh». Aideen concordò con un triste sospiro.

    Alzai gli occhi al cielo e dissi: «Tornando a casa mi fermo in un negozio aperto fino a tardi e ti compro le batterie per il vibratore, così potrai superare la notte. Starai alla grande».

    «Keela!», ansimò Aideen, e mi diede uno schiaffo sul sedere, facendomi urlare e saltare.

    I ragazzi ridevano per ciò che avevo detto e scuotevano le teste continuando a guardarci. Mi infastidii e continuai rivolta a Aideen: «Forse potrebbero fare domanda alla Perverts ’R Us. Con quegli sguardi sono perfetti».

    Lei si mise a ridere e mi diede di nuovo uno schiaffo sul sedere.

    «Come?», disse Alec.

    Aideen ridacchiava mentre gli rispondeva: «Il vicino di Keela, il signor Doyle, è un tipo che sta sempre a fissare, perciò l’ha chiamato signor Pervert e ha supposto che lui sia l’amministratore delegato di un’azienda di nome Perverts ’R Us».

    Socchiusi gli occhi quando quelle due iene cominciarono di nuovo a ridere. Sembravano non smettere mai.

    Con una certa rabbia, allungai il braccio dietro di me e afferrai Aideen. «Ce ne andiamo. Devo tornare a casa da Storm».

    «Storm?», domandò Alec.

    «Storm è il suo…».

    «Fidanzato». Sorrisi interrompendo Aideen e suggerendole con lo sguardo di assecondarmi. Lei mi guardò, e lessi nei suoi occhi che si stava divertendo, mentre annuiva e tornava a fissare Alec.

    «Storm è piuttosto protettivo nei suoi confronti», gli disse.

    Alec sollevò un sopracciglio. «Se è tanto protettivo, allora come mai ti ha lasciata venire qui da sola vestita così?».

    Detto in quel modo, la mia camicia da notte sembrava striminzita!

    Digrignai i denti e feci qualche passo in avanti per dargli una lezione, ma Aideen si frappose tra me e lui dicendo: «Storm ha il sonno pesante durante la notte. Probabilmente, non l’ha nemmeno sentita uscire, ma è comunque uno splendido… ragazzo».

    Dentro di me sbuffai.

    «Sì, e ti farà il culo per aver solo insinuato di fare sesso con me!», dichiarai.

    Alec fece capolino da dietro Aideen e mi sorrise. «Io sono un amante, non un combattente».

    Buone notizie!

    «Allora, meglio che la pianti perché un altro commento esplicito e sarò io a spaccarti la faccia, altro che Storm!», ringhiai.

    Si morse il labbro inferiore e sogghignò. Sapevo che stava pensando a cose oscene, così lo fulminai con lo sguardo, facendo ridacchiare Kane.

    «Possiamo tenerla? Mi piace sentire qualcuno che ti rimette al tuo posto. Il fatto che sia una donna è meglio ancora. Non hai fatto colpo. Stai perdendo il tuo tocco magico». Kane rise sotto i baffi e, scherzando, spinse Alec quando si mise più comodo accanto a lui sulla macchina.

    Alec continuava a sorridermi mentre parlava con Kane. «È ancora presto. Non smontarmi subito».

    «Ti smonto io, cazzo», mormorai facendo sbuffare Aideen che cercava di afferrare la mia mano.

    «È stato… interessante. Tuttavia, Keela ha ragione. Sarà meglio andare».

    «Grazie, Gesù», esultai, e Kane ridacchiò prima di guardare Aideen.

    Le sorrise e le disse: «Credo che ci vedremo in giro, Ado».

    Socchiusi gli occhi. «Io sono l’unica a poterla chiamare Ado».

    Kane mi lanciò uno sguardo sorridendomi. «Mi piaci».

    Arrossii, ma mi sforzai di restare ben dritta mentre gli dicevo: «Be’, tu non mi piaci e nemmeno quel pervertito del tuo amico…».

    «Fratello. Sono quel pervertito di suo fratello». Alec mi interruppe e Aideen rise sotto i baffi.

    Le diedi una spinta e fulminai Alec con lo sguardo prima di tornare a guardare Kane, che continuava a fissarmi con un’espressione divertita. Mi schiarii la voce e dissi: «Tu non mi piaci e nemmeno quel pervertito di tuo fratello. È evidente che portate solo guai se le persone che frequentate aggrediscono le ragazze senza motivo. Siete anche dei gran maleducati!».

    Mi voltai, afferrai la mano di Aideen e mi allontanai dai fratelli, camminando verso la mia auto.

    «Come? Neanche un bacio d’addio? Ora chi è il maleducato?». La voce forte di Alec fece ridacchiare Aideen.

    Mugugnai. «’Fanculo!», gli urlai poi, senza girarmi.

    «Dimmi dove e quando, gattina». Aideen scoppiò in una risata fragorosa sentendo la risposta di Alec.

    Gattina?.

    Me ne stavo in silenzio, furiosa, mentre trascinavo la mia amica per il parcheggio fino alla mia macchina. «Dimmi dove e quando, gattina», imitai la voce di Alec facendo ridere ancora più forte Aideen che si allacciava la cintura di sicurezza.

    Sistemai la mia e misi in moto l’auto. Uscii dal posto in cui ero e lasciai subito il parcheggio. Non pensavo di calmarmi abbastanza da respirare normalmente prima che fossimo sulla tangenziale di Tallaght.

    «Non è incredibile? Che testa di cazzo!», sbraitai.

    Aideen sbuffò. «Secondo me, l’intera conversazione è stata un vero spasso».

    Scossi la testa. «Be’, non avrebbe dovuto esserlo. Guarda la tua faccia, Aideen!».

    Lei sospirò. «Lo so, ma sinceramente non è stata colpa loro. Ci stavamo divertendo quando all’improvviso quella ragazza mi è saltata addosso».

    Strinsi talmente forte il volante che le nocche diventarono bianche.

    «Perché eri con loro?», sputai fuori.

    Non ero arrabbiata con lei, ma soltanto con la stronza che le aveva fatto del male.

    «Non ero neanche con loro. Li ho conosciuti stasera. Ero uscita con Branna. C’era una piccola festa di compleanno per i ventuno anni di Bronagh. Branna, Ryder, Nico e Bronagh erano appena andati via. Io me ne stavo seduta con Kane e Alec quando una ragazza ubriaca è arrivata e mi ha accusata di essere l’ultima scopata di Alec. Lui si è messo a prenderla in giro ma non l’ha negato, così mi è saltata addosso».

    Grugnii.

    Branna Murphy era un’amica di Aideen dai tempi dell’asilo. Aideen aveva qualche anno più di me, perciò il loro rapporto era più vecchio del nostro. Ero una donna adulta, per niente gelosa. Dopo tutto, Branna era forte. Anche sua sorella, Bronagh era eccezionale. Io avevo due anni più di lei, che oggi ne compiva ventuno. Ero stata invitata anch’io a uscire con loro, Aideen mi aveva tormentata perché andassi, ma ero stanca morta, perciò avevo detto di no.

    Le mie riflessioni mi calmarono abbastanza da allentare la presa sul volante, anche se scuotevo ancora la testa per la rabbia. «Dovevi lasciare che li prendessi a pugni».

    Aideen ridacchiò, poi sollevò la mano per sorreggere il viso. «Ti saresti rotta la mano! Non hai visto quant’era grosso?».

    Grugnii e annuii. «Suo fratello era ancora più muscoloso. Per caso vivono in una palestra?».

    Rise sotto i baffi. «Branna mi ha detto che hanno una palestra in casa. Lei era andata a vivere con Ryder, e il fratello gemello più grande, Nico, era andato a vivere con sua sorella. Ricordi? Te ne avevo parlato».

    Feci di sì con la testa.

    «Branna non è andata a stare solo con Ryder, ma anche con Alec e Kane. Ha detto che al posto del soggiorno c’è una palestra e che si allenano parecchio. Dovresti vedere Nico; ha ventuno anni ed è molto muscoloso. È un lottatore o qualcosa del genere».

    La guardai con gli occhi spalancati. «Perché diavolo frequenti quegli armadi ambulanti, Aideen?».

    Lei scoppiò in una risata irrefrenabile che mi fece sorridere, anche se ero furiosa.

    «Sono adorabili – grandi e spaventosi – ma adorabili».

    Immaginando la faccia di Kane ebbi un brivido, il termine adorabile non era proprio quello che avrei usato per descriverlo.

    «Secondo te, Kane come si è procurato le cicatrici che ha sul volto? Sono piuttosto profonde».

    Aideen sospirò. «Non ho la minima idea di quello che gli è successo, ma è ancora fantastico!».

    «Ti piace anche il suo accento, giusto?», le chiesi.

    Mormorò: «Oh, mio Dio. Potrei restare ad ascoltarlo tutto il giorno! Riesce a farmi bagnare solo dicendo Ciao!».

    Alzai gli occhi al cielo. «Giuro che pensi con l’uccello».

    Lei ridacchiò. «Vuoi dire con la vagina?»

    «Sì, intendo vagina ma dicendo uccello suona meglio».

    Continuò a ridere, coprendosi il viso con le mani. Di tanto in tanto le lanciavo un’occhiata durante i cinque minuti di tragitto per tornare al mio complesso residenziale. Parcheggiai al solito posto, dopodiché io e Aideen scendemmo dall’auto. La chiusi, quindi attraversammo velocemente il parcheggio fino al mio condominio. Salimmo le scale due alla volta finché non arrivammo al quinto piano, dov’era il mio appartamento. Aprii la porta alla velocità della luce perché non volevo essere di nuovo beccata dal signor Pervert con addosso solo la camicia da notte.

    Per fortuna, riuscimmo a entrare senza che nessuno ci vedesse. Io e Aideen andammo in bagno, dove tirai fuori la cassetta di primo soccorso mentre si toglieva il vestito, si tirava giù la biancheria e si sedeva sul gabinetto.

    Stavo aprendo un pacchetto di tamponi antisettici quando le lanciai un’occhiata attraverso lo specchio e sbuffai. «Secondo te, anche i ragazzi lo fanno?».

    Aideen aprì gli occhi e mi sorrise con una certa pigrizia dicendomi: «Usare volentieri il bagno con un altro ragazzo nella stanza? No, si insulterebbero chiamandosi a vicenda gay».

    Sogghignai e guardai di nuovo la cassetta di primo soccorso, mentre Aideen finiva di usare il bagno. Mi voltai quando tirò lo sciacquone e aspettai che si lavasse le mani prima di iniziare a pulirle il viso. Senza i tacchi, era dieci centimetri più bassa di me, quindi tenerle ferma la testa era molto facile.

    «Ahi!», urlò all’improvviso, meritandosi un latrato di risposta che proveniva dalla mia camera da letto.

    «Torna a dormire, grassone di merda!», gridò Aideen quando le passai un tampone antisettico su un taglietto sull’occhio.

    Le sussurrai: «Lascialo in pace; non è grasso. Ha solo un manto folto!».

    Aideen rideva piano. «Già, un manto folto di ciccia».

    Le lanciai uno sguardo duro. «Non insultare il mio piccolino mentre ti pulisco. Il dito potrebbe scivolare e finirti nell’occhio».

    Mi guardò sospettosa e chiuse la bocca, io sorrisi dentro di me mentre finivo di disinfettarle il viso. Subito dopo, lei andò in camera da letto per prendere un pigiama e io in cucina per bere un po’ d’acqua. Accesi la luce e mi avvicinai al lavello, riempii un bicchiere e trangugiai l’acqua. Diedi un’occhiata alla mia sinistra e notai la busta che il signor Pervert mi aveva dato prima, ancora sigillata sul tavolo della cucina.

    «Storm, scendi dal letto… o perlomeno spostati!», urlò Aideen in camera da letto.

    Mi massaggiai velocemente dietro il collo e sospirai. Gettai uno sguardo sulla busta un’altra volta prima di scuotere la testa, avvicinarmi all’interruttore e spegnere la luce della cucina. Mi girai e mi diressi verso i ringhi e le urla che venivano dalla camera da letto, e decisi che avere a che fare con Storm e Aideen era abbastanza da sopportare per una sola notte.

    Qualunque cosa ci fosse dentro la busta poteva aspettare fino a domattina.

    Capitolo due

    Quando mi svegliai, mi sentii come se avessi preso una sbornia colossale nonostante la sera prima non avessi toccato neanche una goccia di alcol. Era tutta colpa della mancanza di sonno, a cui avrei posto rimedio durante il giorno, e per questo mi sentii subito di pessimo umore. Non ero mai stata una di quelle che poteva essere definita mattiniera, ma se mi alzavo con il mal di testa, il malumore era garantito.

    Piagnucolai quando sentii delle urla provenire dalla cucina, seguite da un latrato. Cosa che senz’altro non faceva bene al martellamento fisso nella mia testa.

    Era troppo presto per questa merda.

    «Maledetti», borbottai mentre con un calcio mi toglievo le coperte di dosso. Mi sedetti e piano piano scossi la testa per cercare di schiarirmi le idee, dopodiché mi alzai e mi stiracchiai finché la schiena non scrocchiò. Trascinai i piedi mentre uscivo dalla camera da letto, percorrevo il corridoio ed entravo in cucina. Incrociai le braccia e sbadigliai quando la pancia brontolò per il delizioso profumo di fritto. Salsicce, pancetta, uova e pudding a colazione nel weekend non si battono. Non c’era niente di meglio. Appoggiai la spalla contro il muro della cucina e osservai la scena davanti a me leggermente divertita.

    «Ascoltami, grosso cucciolo ciccione. Questa pancetta è per me e Keela. Non puoi prenderla!».

    Sì, Aideen stava battibeccando, più o meno, con Storm.

    Il cane le ringhiò e fece qualche passo nella sua direzione; lei aveva in mano un coltello per il burro e glielo puntava contro. «Provaci e, ti avverto, friggerò carne di cane!».

    Scoppiai a ridere, attirando l’attenzione di entrambi.

    Quando mi sentì, Storm si dimenticò di Aideen. Saltò e abbaiò venendo nella mia direzione. Grugnii mentre urtava le mie gambe, e poi risi quando si alzò in piedi, mi mise le zampe anteriori sulle spalle e mi leccò la faccia. Era un cane enorme: in piedi

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