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L'imprevisto
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E-book423 pagine6 ore

L'imprevisto

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Info su questo ebook

The Campus Series

Fenomeno di TikTok

Sabrina sta per laurearsi e il suo futuro è già minuziosamente pianificato: dopo il college, studierà per diventare avvocato e poi cercherà lavoro in un prestigioso studio legale. Nella vita che la aspetta non c’è posto per il suo passato ingombrante, di cui intende liberarsi fuggendo via subito dopo la consegna del diploma. Ma una notte di passione incandescente e di inaspettata tenerezza con John Tucker, un affascinante giocatore di hockey, sconvolge i suoi piani per sempre. Il risultato del loro incontro potrebbe avere nove mesi d’attesa e una vita di conseguenze. Per fortuna, John crede fermamente nell’amore a prima vista e non è disposto a farsi mettere in panchina, anche perché Sabrina è bellissima, intelligente e ha un fascino magnetico. Ma, con il caratterino che si ritrova, è troppo testarda per accettare il suo aiuto. Se John vuole una vita con la donna dei suoi sogni, dovrà convincerla che alcuni gol possono essere realizzati soltanto con il giusto assist.

Oltre un miliardo di visualizzazioni su TikTok
Bestseller di USA Today, New York Times e Wall Street Journal
Tradotta in tutto il mondo

«Intelligente, sexy e irresistibile: non potevo non innamorarmi di Tucker. Sono in estasi per questo libro, potrei persino appassionarmi all’hockey!»
Vi Keeland

«Tucker è mio, ragazze. Fatevene una ragione. Questa serie è una meraviglia continua.»
Sarina Bowen
Elle Kennedy
È cresciuta a Toronto. I suoi libri sono ai primi posti delle classifiche USA. La Newton Compton ha pubblicato la Campus Series (Il contratto, Lo sbaglio, Il tradimento, L’imprevisto, L'eredità), i primi quattro romanzi della Briar U Series (Resta con me per sempre, Il mio rischio sei tu, Sei l’amore che cercavo, Ti ho trovato quasi per caso), il romanzo Ti ho incontrato a mezzanotte, e i primi titoli della Avalon Bay Series: Il complesso della brava ragazza. Good Girl Complex e Una ragazza (quasi) cattiva. Bad Girl Reputation.
LinguaItaliano
Data di uscita10 mag 2017
ISBN9788822708694
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    Anteprima del libro

    L'imprevisto - Elle Kennedy

    Capitolo uno

    Sabrina

    «Merda. Merda. Merda. Meeerda. Dove sono le chiavi?».

    L’orologio del corridoio mi informa che ho a disposizione cinquantadue minuti per compiere un tragitto per cui ne occorrono sessantotto se voglio arrivare in tempo alla festa. Controllo di nuovo la borsa, ma le chiavi non ci sono. Ripercorro i vari luoghi della casa. Credenza? No. Bagno? Ci sono appena stata. Cucina? Forse. Sono sul punto di voltarmi quando sento un rumore metallico dietro di me.

    «Stai cercando queste?».

    Sento un certo disgusto salirmi in gola mentre mi giro ed entro nel soggiorno talmente piccolo che i cinque complementi d’arredo – due tavoli, un divanetto per due, un divano e una poltrona – sono stipati come sardine. L’idiota sul sofà agita le chiavi per aria. Quando si accorge della mia irritazione sogghigna e le fa scivolare sotto il sedere.

    «Vieni a prenderle».

    Mi passo una mano sui capelli piastrati prima di muovermi minacciosa verso il mio patrigno.

    «Dammi le chiavi», ordino.

    Ray mi guarda malizioso. «Cavolo, sei proprio sexy stasera. Sei diventata proprio una bella ragazza, Rina. Io e te dovremmo combinare qualcosa».

    Ignoro la mano grassoccia che scivola sul pacco. Non ho mai conosciuto un uomo tanto disperato da toccarsi in modo così spudorato. Fa sembrare Homer Simpson un gentiluomo.

    «Io e te non esistiamo l’uno per l’altra. Quindi non guardarmi e non chiamarmi Rina». Ray è l’unica persona che mi chiama così, ed è una cosa che odio. «Adesso dammi le chiavi».

    «Te l’ho detto: vieni a prenderle».

    Serrando i denti infilo la mano sotto il suo culo flaccido alla ricerca delle chiavi. Ray geme e si contorce come il disgustoso pezzo di merda che è, finché finalmente la mia mano non sente il metallo. Prendo le chiavi e mi dirigo verso la porta.

    «Che c’è di male?», dice con tono beffardo. «Non siamo parenti, quindi non è mica un incesto».

    Mi fermo e uso trenta secondi del mio prezioso tempo per guardarlo sbigottita.

    «Sei il mio patrigno. Hai sposato mia madre», dico ingoiando bile. «E adesso vai a letto con la nonna. Quindi no, non si tratta affatto di parentela. È solo che sei la persona più schifosa del pianeta e il tuo posto è in galera».

    I suoi occhi color nocciola si scuriscono. «Bada a come parli, signorina, o un giorno di questi quando tornerai a casa troverai la porta chiusa».

    Come no. «Pago un terzo dell’affitto», gli ricordo.

    «Be’, magari il prezzo si alzerà».

    Torna a guardare la televisione e passo altri trenta preziosi secondi a immaginare di spaccargli la testa con la borsa. Ne varrebbe la pena. In cucina, mia nonna è seduta al tavolo, intenta a fumare una sigaretta e a leggere un numero di People.

    «Hai visto?», esclama. «Kim K nuda un’altra volta».

    «Buon per lei». Prendo la giacca appoggiata sullo schienale della sedia e vado verso la porta della cucina. Ho scoperto che è più sicuro uscire dal retro. In genere ci sono gruppi di teppisti che si riuniscono nei portici dei palazzi della nostra strada deserta in questa zona deserta di Boston. Inoltre, la rimessa della nostra macchina è dietro casa.

    «Ho sentito che Rachel Berkovich è rimasta incinta», osserva mia nonna. «Avrebbe dovuto abortire, ma immagino che vada contro la sua religione».

    Serro la bocca un’altra volta e mi volto per guardare mia nonna. Come al solito, indossa una vestaglia logora e un paio di ciabatte rosa consumate, ma i capelli biondi tinti sono pettinati alla perfezione e ha il viso truccato, anche se raramente esce di casa.

    «Lei è ebrea, nonna. Non credo che sia contro la sua religione, ma anche se fosse tocca solo a lei decidere».

    «Forse vuole altri buoni pasto del governo», conclude, soffiando una lunga scia di fumo nella mia direzione. Merda. Spero di non puzzare come un posacenere quando sarò arrivata a Hastings.

    «Credo che non sia questo il motivo per cui Rachel vuole tenere il bambino». Con una mano sulla porta, mi agito irrequieta in attesa di un’occasione per salutare la nonna.

    «Tua madre aveva pensato di abortire quando era incinta di te».

    Ed eccoci qua. «Va bene, basta», borbotto. «Vado a Hastings, torno stasera».

    Alza la testa dalla rivista e i suoi occhi si fanno stretti mentre osserva la mia gonna nera lavorata a maglia, il maglione nero a maniche corte che lascia scoperto il collo e le scarpe tacco otto. Riesco a vedere le parole che le si formano in mente prima ancora che le escano dalla bocca.

    «Hai l’aria altezzosa. Vai in quella tua università raffinata? Hai lezione il sabato sera?», domanda.

    «C’è una festa», rispondo a malincuore.

    «Ah, le feste. Spero che non ti si secchi la lingua a leccare tutti quei culi».

    «Sì, grazie, nonna», dico aprendo la porta. «Ti voglio bene», mi sforzo di aggiungere.

    «Ti voglio bene anch’io, piccola».

    Mi vuole bene davvero, ma a volte il suo affetto è così malsano che non so se voglia farmi del male o aiutarmi. Il viaggio verso la cittadina di Hastings non dura né cinquantadue minuti né sessantotto. Anzi, impiego un’ora e mezza dato che le strade sono in pessime condizioni. Passano altri cinque minuti prima che trovi parcheggio, e quando arrivo a casa della professoressa Gibson sono più tesa di una corda di violino – e mi sento altrettanto fragile.

    «Salve, signor Gibson. Mi scusi per il ritardo», dico all’uomo con gli occhiali che è sulla porta.

    Il marito della professoressa Gibson mi accoglie con un lieve sorriso. «Non preoccuparti, Sabrina. Il tempo è orrendo. Dammi pure la giacca», dice allungando una mano e aspettando con pazienza che mi tolga la giacca di lana.

    La professoressa Gibson arriva proprio quando il marito sta appendendo il mio soprabito a buon mercato in mezzo agli altri giubbetti costosi. Mi sento fuori luogo, ma ignoro la sensazione di inadeguatezza e sorrido radiosa.

    «Sabrina!», esclama con gioia la professoressa Gibson. La sua presenza autorevole mi fa tornare sull’attenti. «Sono contenta che sei arrivata tutta intera. Sta già nevicando?», chiede.

    «No, piove soltanto».

    La donna sorride e mi prende sottobraccio. «Ancora peggio. Spero che tu non abbia in mente di tornare in città stanotte. Le strade saranno delle lastre di ghiaccio».

    Dato che domattina devo andare al lavoro farò il viaggio di ritorno incurante delle condizioni stradali, ma non voglio che la professoressa si preoccupi, quindi la rassicuro con un sorriso. «Stia tranquilla. Lei è ancora qui?».

    Mi stringe l’avambraccio. «Sì, e muore dalla voglia di conoscerti».

    Fantastico. Faccio il primo respiro profondo da quando sono arrivata e mi lascio condurre attraverso la stanza fino a una donna minuta e con i capelli grigi, vestita con una giacca squadrata color pastello e un paio di pantaloni neri. L’abbinamento è piuttosto scialbo, ma i diamanti che splendono sulle sue orecchie sono più grandi del mio pollice. Che altro? Sembra troppo geniale per essere un’insegnante di Giurisprudenza. Le ho sempre immaginate come creature rigide e austere. Come me.

    «Amelia, lascia che ti presenti Sabrina James. È la studentessa di cui ti ho parlato. È la migliore del suo corso, fa due lavori e ha totalizzato un punteggio di centosettantasette al test di ammissione a Giurisprudenza».

    La professoressa Gibson si volta verso di me. «Sabrina, Amelia Fromm, studiosa di diritto costituzionale».

    «Sono davvero felice di conoscerla», dico, porgendole la mano e pregando che sia asciutta e non umidiccia. Mi sono esercitata a stringere la mano per un’ora prima di venire qui.

    Amelia mi stringe la mano con leggerezza. «Madre italiana, nonno ebreo, ecco spiegata la strana combinazione di nomi. James invece è scozzese. È da lì che viene la tua famiglia?». I suoi occhi luminosi mi esaminano con attenzione e resisto all’impulso di giocare nervosamente con i miei vestiti di poco prezzo.

    «Non saprei dirle, signora». La mia famiglia viene dalla strada. La Scozia mi sembra troppo regale ed elegante per essere la nostra patria. Lei risponde con un gesto della mano.

    «Non è importante. Mi diletto anche di genealogia. Allora, hai fatto richiesta per Harvard? Me lo ha detto Kelly».

    Kelly? Conosco una Kelly?

    «Si riferisce a me, cara», dice la professoressa Gibson con una risatina.

    «Oh, scusate. Penso a lei come Prof», dico arrossendo.

    «Come sei formale, Kelly!», la accusa la professoressa Fromm. «Sabrina, in quali altre università hai fatto domanda?»

    «Boston College, Suffolk e Yale, ma il mio sogno è Harvard».

    Amelia alza un sopracciglio al mio elenco di università esclusivamente di Boston, ma la professoressa Gibson si intromette in mia difesa.

    «Vuole rimanere vicino a casa. E ovviamente merita molto di più di Yale».

    Le due professoresse sbuffano all’unisono. La mia Prof viene da Harvard, e a quanto pare i laureati a Harvard saranno sempre contro Yale.

    «Da quello che ha raccontato Kelly sembra che Harvard sarebbe onorata di averti tra i suoi studenti».

    «L’onore sarebbe mio».

    «Le lettere di referenze stanno per essere spedite», dice ammiccando con malizia. «Farò in modo di mettere una buona parola».

    Amelia esibisce un altro sorriso e io quasi svengo dalla gioia. Non ho affatto cercato di ingannarla. Harvard è davvero il mio sogno.

    «Grazie», riesco finalmente a dire con voce roca.

    La professoressa Gibson mi indica il buffet. «Perché non prendi qualcosa da mangiare? Amelia, voglio parlarti del rapporto dettagliato elaborato alla Brown. Hai avuto modo di guardarlo?».

    Le due si voltano e si immergono in una conversazione sull’intersezionalità del femminismo nero e sulla teoria della razza, un argomento di cui la professoressa Gibson è esperta.

    Mentre mi avvicino al tavolo del rinfresco, che ha una tovaglia bianca ed è ricoperto di formaggi, tartine e frutta, vedo due delle mie migliori amiche – Hope Matthews e Carin Thompson – già lì vicino. Una di carnagione scura e una chiara, sono gli angeli più belli e in gamba di tutto il mondo. Mi affretto a raggiungerle e quasi collasso tra le loro braccia.

    «Allora? Come è andata?», domanda Hope con impazienza.

    «Bene, credo. Ha detto qualcosa del tipo che Harvard sarebbe onorata di avermi tra i suoi studenti e che le prime lettere di referenze stanno per essere spedite».

    Prendo un piatto e comincio a riempirlo, desiderando che i pezzi di formaggio fossero più grandi. Sono così affamata che ne mangerei una forma intera. Sono stata in ansia tutto il giorno per questo incontro, e adesso che è finito voglio fiondarmi sul cibo.

    «Oh, quindi è fatta», esclama Carin.

    Noi tre siamo le studentesse che hanno il sostegno della professoressa Gibson, la quale è una grande sostenitrice dell’aiuto alle donne. Nel campus ci sono altre organizzazioni di consulenza professionale, ma la sua influenza è indirizzata esclusivamente all’emancipazione femminile, e io non potrei esserle più grata.

    La festa di stasera ha lo scopo di presentare i suoi studenti ai membri delle università più prestigiose della nazione. Hope spera di entrare alla facoltà di Medicina di Harvard, mentre Carin punta al mit.

    Sì, c’è un mare di estrogeni a casa della professoressa Gibson. A parte il marito sono presenti solo un altro paio di uomini. Questo posto mi mancherà tantissimo dopo la laurea, mi sono sentita come a casa.

    «Dita incrociate», replico a Carin. «Se non dovessi entrare a Harvard allora sarà Boston College o Suffolk. Mi andrebbe anche bene, però Harvard mi garantisce la possibilità di mirare al lavoro che voglio – un posto in uno degli studi legali più grandi del Paese».

    «Ce la farai», dice Hope con sicurezza. «E spero che quando avrai finalmente quella lettera la smetterai di tormentarti, perché Dio mio, B, sei tesa come non mai».

    Giro la testa con rigidità. Sì, eccome se sono tesa. «Lo so. I turni di questi giorni sono brutali. Stanotte sono andata a dormire alle due perché la ragazza che avrebbe dovuto fare la chiusura a Boots & Chutes se n’è andata prima ed è toccato a me chiudere, poi mi sono svegliata alle quattro per smistare la posta. Sono tornata a casa verso mezzogiorno, sono crollata e ho fatto una fatica enorme per svegliarmi».

    «Fai ancora entrambi i lavori?», dice Carin scostandosi i capelli rossi dal viso. «Hai detto che avresti smesso di fare la cameriera».

    «Ancora non posso. La professoressa Gibson ha detto che non vogliono che lavoriamo durante il primo anno di Giurisprudenza. Per cui l’unico modo che ho per cavarmela è mettere da parte abbastanza denaro per il cibo e l’affitto prima di settembre».

    Carin fa un suono di empatia. «Ti capisco. I miei genitori stanno contrattando un finanziamento così grande che potrei comprarci uno Stato».

    «Quanto vorrei che venissi a vivere con noi», dice Hope con voce lamentosa.

    «Davvero? Non ne avevo idea», replico scherzando. «Lo ripeti solo due volte al giorno dall’inizio del semestre».

    Arriccia il naso grazioso verso di me. «Tu adoreresti questo posto che papà ha preso in affitto per noi. Ha delle finestre a parete ed è proprio accanto alla metropolitana. Trasporto pubblico», dice sbattendo le palpebre entusiasta.

    «Costa troppo, H».

    «Sai benissimo che coprirei io la differenza – o meglio, i miei genitori», si corregge. La sua famiglia ha più soldi di un petroliere, anche se parlando con lei non si capirebbe mai. Hope è una ragazza con i piedi ben piantati a terra.

    «Lo so», dico tra un boccone e l’altro di minisalsicce. «Ma mi sentirei in colpa, e la colpa si trasformerebbe in risentimento e non saremmo più amiche, e non essere tua amica farebbe schifo».

    Scuote la testa. «Se, a un certo punto, il tuo ostinato orgoglio ti permetterà di chiedere aiuto, io ci sono».

    «Noi ci siamo», si intromette Carin.

    «Visto?», dico brandendo la forchetta verso di loro. «Ecco perché non posso vivere con voi. Perché rappresentate troppo per me. E comunque posso farcela. Ho quasi dieci mesi per accumulare risparmi prima che le lezioni comincino il prossimo autunno. È tutto sotto controllo».

    «Almeno vieni a bere qualcosa con noi dopo la festa», mi implora Carin.

    «Devo tornare a casa», dico con una smorfia. «Domani devo fare lo smistamento dei pacchi».

    «Di domenica?», domanda Hope.

    «Mi pagano lo straordinario. Non ho potuto dire di no. Anzi, credo che tra un po’ dovrei ripartire». Poso il piatto sul tavolo e cerco di guardare cosa succede al di là dell’enorme finestra che dà sulla baia. Vedo solo l’oscurità e scrosci di pioggia sul vetro. «Prima mi metto in viaggio, meglio è».

    «Non con questo tempo», dice la professoressa Gibson comparendo accanto a me con un bicchiere di vino. «Le previsioni del tempo dicono ghiaccio. Le temperature sono in picchiata e le strade diventeranno lastre di ghiaccio».

    Mi basta uno sguardo negli occhi della mia professoressa per sapere che devo cedere. Quindi mi arrendo, ma a malincuore.

    «Va bene», dico. «Ma lo faccio controvoglia. E tu», dico puntando la forchetta in direzione di Carin, «faresti meglio ad avere una scorta di gelato se devo addormentarmi insieme a te, altrimenti ti giuro che mi arrabbierò da morire».

    Tutte e tre scoppiano a ridere, poi la professoressa Gibson si allontana lasciandoci fare amicizia con le altre persone, per quanto riescano a fare tre studentesse dell’ultimo anno. Dopo un’ora di relazioni sociali, Hope, Carin e io prendiamo le giacche.

    «Dove andiamo?», domando alle ragazze.

    «D’Andre è da Malone’s, e gli ho detto che lo avrei raggiunto là», risponde Hope. «Sono solo due minuti di macchina».

    «Davvero? Malone’s? Ma è un ritrovo di fanatici di hockey», piagnucolo. «Che ci fa D’Andre lì?»

    «Beve e aspetta me. E poi devi farti una scopata, e gli atleti sono il tuo tipo preferito».

    «Il suo unico tipo», sbotta Carin.

    «Ehi, ho davvero ottimi motivi per preferire gli atleti», ribatto.

    «Lo so. Ce l’hai detto», prosegue facendo roteare gli occhi. «Se vuoi risolvere un’equazione, va’ da un matematico. Se vuoi soddisfare una necessità fisica, va’ da un atleta. I corpi sono gli strumenti degli atleti. Se ne prendono cura, sanno come arrivare al limite, e bla bla bla», dice Carin con un gesto della mano.

    Le rispondo alzando il dito medio.

    «Ma fare sesso con un ragazzo che ti piace è molto meglio», dice Hope, che sta con D’Andre, il fidanzato giocatore di football, sin dal primo anno di università.

    «Mi piacciono», protesto. «Per quell’oretta in cui li uso».

    Ridiamo tutte, finché Carin non ci ricorda un ragazzo che ha abbassato la media.

    «Vi ricordate di Greg Dieci Secondi?».

    Ho un brivido improvviso. «Primo, grazie per aver riesumato questo brutto ricordo, e secondo, non sto dicendo che non facciano mai cilecca. Solo che con gli atleti ci sono meno probabilità».

    «E i giocatori di hockey fanno cilecca?», domanda Carin.

    Scrollo le spalle. «Non saprei. Non li ho esclusi dalla mia lista di pretendenti per le loro prestazioni a letto, ma perché sono degli stronzi privilegiati che ottengono favori speciali dai professori».

    «Sabrina, ragazza mia, devi smetterla con questa storia», mi esorta Hope.

    «Non se ne parla. I giocatori di hockey non passano il turno».

    «Dio, ma guarda che cosa ti perdi», dice Carin leccandosi le labbra con esagerata malizia. «Quel ragazzo con la barba? Voglio scoprire com’è. Quelli con la barba sono sulla mia lista».

    «Fatti avanti, allora. Il mio boicottaggio dei giocatori di hockey vuol dire che ci sono più possibilità per te».

    «Io non mi faccio problemi, ma…», sogghigna. «Devo ricordarti che sei andata a letto con il puttaniere Di Laurentis?».

    Ugh. È un promemoria di cui non ho assolutamente bisogno.

    «Primo, ero ubriaca fradicia», brontolo. «Secondo, ero al secondo anno. E terzo, è il motivo per cui ho maledetto i giocatori di hockey».

    Anche se la Briar University ha una squadra di football che ha vinto il campionato, è più famosa per la squadra di hockey. I ragazzi con i pattini sono considerati delle divinità. Un esempio significativo è Dean Heyward-Di Laurentis. È all’ultimo anno di Scienze politiche come me, e perciò abbiamo seguito molte lezioni insieme, tra cui il corso di Statistica al secondo anno. Quel corso è stato difficile da morire, e chiunque ha dovuto sputare sangue.

    Chiunque tranne Dean, che si scopava l’assistente del professore. E – sorpresa! – ha ottenuto una a, che non meritava affatto. Lo so per certo, perché ci hanno messo insieme per il lavoro finale e ho visto la spazzatura che ha consegnato.

    Quando ho scoperto che aveva superato il test volevo tagliargli il pisello. È stata una cosa ingiusta. Mi sono fatta il culo per superare quel corso. Anzi, mi faccio il culo per ogni cosa. Ogni mio successo è dovuto a sangue, sudore e lacrime. Mentre invece qualche stronzo ha il mondo intero servito su un piatto d’argento. Cavolo.

    «Si sta arrabbiando di nuovo», dice Hope a Carin, facendo finta di sussurrare.

    «Sta pensando a come Di Laurentis abbia preso una a in quel corso», replica Carin con lo stesso tono di voce. «Ha davvero bisogno di scopare. Da quanto tempo non va a letto con qualcuno?».

    Le mostro ancora il dito medio e mi viene in mente che non riesco a ricordare la mia ultima avventura.

    «C’è stato, uhm, Meyer? Il tizio che gioca a lacrosse. A settembre. Poi c’è stato Beau…», dico rinfrancata. «Ah! Visto? È solo poco più di un mese. Non mi sembra un’emergenza nazionale».

    «Tesoro, chiunque faccia una vita come la tua non può restare un mese senza fare sesso», ribatte Hope. «Sei un concentrato di stress che cammina, il che vuol dire che hai bisogno di una dose di sesso… al giorno», decide.

    «Un giorno sì e uno no», replica Carin. «Lascia che il suo giardino si prenda un po’ di riposo».

    Hope annuisce. «Va bene. Ma stasera nessun riposo per la tua fica».

    Io scoppio a ridere.

    «Hai sentito, B? Hai mangiato, ti sei riposata, e ora hai bisogno di un po’ di divertimento», esclama Carin.

    «Ma proprio da Malone’s?», ripeto. «Abbiamo appena detto che quel posto è stracolmo di giocatori di hockey».

    «Non solo. Scommetto che c’è anche Beau. Vuoi che lo chieda a D’Andre?», dice Hope prendendo il telefono, ma io scuoto la testa.

    «Con Beau ci vuole troppo tempo. Tipo, voleva parlare mentre facevamo sesso. Voglio solo fare quello che devo e andarmene».

    «Oh, questo sì che è parlare. Quasi mi spaventi».

    «Sta’ zitta».

    «Costringimi». Hope muove bruscamente la testa facendo sbattere le lunghe trecce sulla mia giacca, poi esce dalla casa della professoressa Gibson.

    Carin scrolla le spalle e la segue, e dopo un secondo di esitazione le seguo anche io. Quando arriviamo alla macchina di Hope siamo completamente zuppe, ma per fortuna abbiamo tutte il cappuccio per cui riusciamo a salvare i capelli dal diluvio.

    Stasera non sono proprio dell’umore giusto per chiacchierare con i ragazzi, ma non posso negare che le mie amiche abbiano ragione. Sono settimane che mi tormento per la tensione, e negli ultimi giorni ho cominciato a sentire… il prurito. Quel genere di prurito che può scomparire solo con un corpo sodo e muscoloso, e un cazzo più lungo della media.

    L’unico problema è che sono estremamente selettiva nelle mie conquiste, e, proprio come temevo, Malone’s trabocca di giocatori di hockey quando io e le ragazze facciamo il nostro ingresso cinque minuti dopo. Però, ehi, se questa è la mano che mi è stata servita immagino che non ci sia niente di male nel giocarla e vedere cosa succede. Tuttavia, non ho nessuna aspettativa mentre seguo le mie amiche al bancone del bar.

    Capitolo due

    Tucker

    «Sta’ lontano da quella ragazza, amico. È velenosa».

    Dean sta dispensando la sua (fuorviante) saggezza alla nostra ala sinistra – Hunter Davenport, una matricola – mentre entro da Malone’s e trovo riparo dalla pioggia scrosciante.

    Le strade sono pessime, e non ho particolarmente voglia di essere qui stasera, ma Dean ha insistito che dovevamo festeggiare. Per tutto il giorno non ha fatto altro che camminare avanti e indietro dentro casa, brontolando irritato, ma quando gli ho chiesto il perché ha risposto scrollando le spalle dicendo di sentirsi sulle spine. Ma è una cavolata. Potrei essere considerato più pacato rispetto ai miei loquaci compagni di squadra, ma non sono stupido. E non mi serve neanche essere un detective per mettere insieme gli indizi.

    Allie Hayes, la migliore amica della fidanzata dell’altro coinquilino, stanotte ha dormito da noi. Dean è un puttaniere. Le ragazze adorano Dean. Allie è una ragazza. Ergo, Dean è andato a letto con Allie. E poi c’erano vestiti sparsi in tutto il soggiorno perché Dean è fisicamente incapace di fare sesso in camera sua.

    Non ha ancora confessato, ma sono certo che lo farà. Sono anche sicuro che, qualsiasi cosa sia successa tra di loro, Allie non sta cercando il bis. Ma il motivo per cui questa situazione dovrebbe infastidire Dean, il re delle avventure di una notte, sto ancora cercando di capirlo.

    «A me non sembra velenosa», dice Hunter strascicando le parole mentre io cerco di togliermi l’acqua dalla testa.

    «Ehi, Fido», borbotta Dean rivolto a me. «Va’ ad asciugarti da qualche altra parte».

    Giro gli occhi e seguo lo sguardo di Hunter, che è incollato a una ragazza mora e magra al bancone, che ci dà le spalle. Vedo una gonna corta, gambe da urlo e capelli neri e folti che le cadono sulla schiena. Per non parlare del culo più sexy e rotondo che abbia mai avuto il piacere di ammirare.

    «Bello», sottolineo prima di lanciare un sorriso a Dean. «Quindi immagino che ti sia già prenotato».

    Mi guarda con orrore. «Non esiste. Quella è Sabrina, amico. Mi scassa già le palle a lezione tutti i giorni. Non mi serve che me le rompa anche fuori dall’università».

    «Aspetta, quella è Sabrina?», domando lentamente. La ragazza che Dean giura essere la sua nemesi? «L’ho già vista in giro, ma non avevo capito che era lei quella di cui ti lamenti sempre».

    «L’unica», borbotta.

    «Che peccato. Di sicuro è molto carina».

    Più che carina, a dire il vero. Sul dizionario accanto alla parola bello c’è la foto del suo culo. Potrebbe stare accanto anche a fantastico, meraviglioso e mozzafiato.

    «Che è successo tra di voi?», domanda Hunter. «È la tua ex?».

    Dean trasalisce. «Cazzo, no».

    La matricola increspa le labbra. «Quindi non infrangerei nessuna regola se ci provassi?»

    «Vuoi provarci? Fa’ pure. Ma ti avverto, quella stronza ti mangerà vivo».

    Volto la testa per celare un sogghigno. Sembra quasi che qualcuno abbia rifiutato Dean. C’è sicuramente qualcosa tra loro, ma nonostante le pressioni di Hunter, Dean non si lascia sfuggire nessun altro indizio. Dall’altra parte della stanza, Sabrina si gira. Probabilmente ha sentito tre paia di occhi sul culo – due dei quali sono davvero affamati. Il suo sguardo incrocia il mio, e non guarda da un’altra parte. C’è sfida nei suoi occhi, e il contendente che è in me esce fuori per raccoglierla.

    Sei abbastanza per me?, sembra chiedere. Non ne hai idea, tesoro.

    Una scintilla di calore le illumina lo sguardo, almeno finché quest’ultimo non cade su Dean. Immediatamente la ragazza serra le labbra e alza il medio verso di noi. Hunter geme deluso e borbotta qualcosa a proposito di Dean che gli ha rovinato le possibilità. Ma Hunter è un bambino, e quella ragazza ha abbastanza fuoco dentro di sé da incendiare il mondo. Non riesco a immaginare che voglia portarsi a letto un diciottenne, soprattutto se questo si arrende al primo ostacolo. Il piccolo deve crescere se vuole giocare con i grandi.

    Metto una mano in tasca per cercare dei contanti. «Vado a prendere una birra. Voi ne volete un’altra?».

    Entrambi scuotono la testa. Avendo onorato l’impegno con i miei amici mi dirigo verso il bancone e Sabrina, arrivando proprio quando il barista le porge il bicchiere. Metto una banconota da venti sul bancone.

    «Ci penso io, e per me una Miller appena puoi».

    Il barista prende i soldi e va alla cassa ancora prima che Sabrina possa obiettare. Mi lancia uno sguardo contemplativo e poi si porta la bottiglia di birra alle labbra.

    «Non vengo a letto con te perché mi hai offerto da bere», dice con la bocca attaccata al bordo.

    «Spero di no», rispondo scrollando le spalle. «Ho standard più alti».

    La saluto educatamente con un cenno del capo e mi incammino verso il tavolo in cui si sono riuniti alcuni miei compagni di squadra. Dietro di me, riesco a sentire i suoi occhi che mi bucano la schiena. Visto che non può vedermi, mi concedo un sorriso di soddisfazione. Lei è una ragazza abituata a essere inseguita, quindi devo inserire un elemento di sorpresa nella mia caccia.

    Al tavolo, Hunter sta osservando un altro paio di ragazze mentre Dean ha la faccia incollata al telefono, probabilmente intento a scrivere ad Allie. Mi chiedo se gli altri sappiano già di questa tresca. Forse no. Garrett e Logan sono a Boston con le rispettive fidanzate fino a domani, quindi è possibile che siano ancora all’oscuro. Anche se Garrett è stato chiaro: Dean doveva tenere le mani a posto con Allie. Non voleva che si creassero dei problemi con la sua attuale vita perfetta insieme alla migliore amica di Allie, Hannah. Dato che non ci sono state esplosioni o discussioni telefoniche scommetterei che Dean e Allie vogliono tenere segreta l’avventura della notte scorsa.

    Proprio mentre Hunter apre la bocca per rivolgere qualche epiteto poco elegante a una delle ragazze che si è avvicinata al tavolo, le luci lampeggiano minacciosamente.

    Dean corruga la fronte. «C’è l’Apocalisse lì fuori?»

    «Sta diluviando in modo incredibile», rispondo.

    Dean decide che è il momento di andar via, ma io resto al mio posto anche se stasera non volevo neanche venire al bar. Non so perché, ma quel breve scambio con Sabrina mi ha eccitato. Non che ci sia penuria di ragazze nella mia vita. Di certo non mi vanto delle mie conquiste come fanno Dean e Logan, ma mi diverto parecchio. Mi concedo anche avventure di una notte se ne ho voglia. E adesso ne ho proprio voglia. Voglio Sabrina sotto di me. Sopra di me. In qualsiasi modo decida di mettersi per me va bene. E la voglio così tanto da dovermi portare una mano alla barba e accarezzarla in mondo da non farla scivolare più in basso e accarezzare qualcos’altro.

    Ancora non so come mi sento con la barba. L’ho fatta crescere la scorsa primavera quando c’era la partita decisiva per il campionato, ma in seguito è cresciuta fuori controllo e l’ho rasata durante l’estate. Poi visto che sono pigrissimo l’ho lasciata ricrescere, e spuntarla di tanto in tanto è molto più facile che raderla del tutto.

    «Siediti, amico», mi incoraggia Hunter. I suoi occhi mi fanno capire chiaramente che loro sono in tre e noi siamo in due, ma queste ragazze, nonostante siano molto carine, non mi interessano affatto.

    «Tutte tue, ragazzo».

    Scolo la bottiglia e torno al bancone, dove c’è ancora Sabrina. Un altro paio di predatori si sono avvicinati. Li guardo con occhi taglienti mentre mi infilo in uno spazio libero accanto a lei. Mi appoggio all’indietro con un gomito sul bancone, per darle un’illusione di spazio. Mi ricorda un po’ i pony selvaggi, occhi grandi, gambe lunghe, e la promessa non detta della migliore cavalcata della tua vita. Ma giocare la propria mano troppo in fretta vuol dire farla scappare, e non ci sarà modo di riacciuffarla.

    «Quindi sei amico di Di Laurentis?».

    Queste parole vengono pronunciate con nonchalance, ma considerando che lei e Dean non si piacciono c’è solo un modo giusto per rispondere, cioè negare tutto. Però non farei mai una cosa del genere a un amico, neanche per farmi una scopata. E qualsiasi sia il problema tra Dean e Sabrina non mi importa, così come l’opinione di Dean non mi farà cambiare idea su di lei. Inoltre, credo fermamente nel detto che bisogna sempre partire col piede giusto.

    «È il mio coinquilino».

    Non fa nessuno sforzo per nascondere il suo disgusto e comincia ad allontanarmi. «Grazie per la birra, ma credo che le mie amiche mi stiano chiamando», dice indicando un gruppetto di ragazze.

    Osservo la folla – nessuno guarda verso di noi – e mi rivolgo di nuovo a lei con un triste movimento della testa.

    «Devi fare di meglio. Se vuoi che me ne vada, dimmelo. Sembri una ragazza che sa quello che vuole e non ha paura di dirlo».

    «È questo quello che ti ha raccontato Dean? Scommetto che ha detto che sono una stronza».

    Stavolta tengo la bocca chiusa, e prendo da bere.

    «Ha ragione», prosegue. «Sono una stronza e non mi dispiace affatto».

    Sporge il mento all’infuori in modo adorabile. Lo prenderei

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