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Broken. Prenditi cura di me
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E-book226 pagine3 ore

Broken. Prenditi cura di me

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Info su questo ebook

Broken Trilogy

Savannah ha intenzione di riprendere il controllo della sua vita. Si è stancata di tutte le bugie e i tradimenti e questa volta non si lascerà intimidire. Ma più cerca di trovare la sua strada e più i fantasmi del passato sembrano farsi insistenti, ricordandole i traumi che hanno rischiato di spezzarla. 
Savannah si aggrappa con tutte le forze al suo precario equilibrio, decisa a guardare avanti, grazie anche all'aiuto di Cole Logan, l'uomo che sta facendo di tutto per dimostrarle la forza dei suoi sentimenti.
Basteranno la determinazione di Savannah e l'amore di Cole a dissipare tutte le ombre?

J.L. Drake
è un'autrice bestseller internazionale. È nata in Nuova Scozia, in Canada, ma attualmente vive con la famiglia in California. Quando non è impegnata a scrivere adora trascorrere il suo tempo viaggiando. Le piace inserire sempre una punta di mistero nelle sue storie d'amore.
LinguaItaliano
Data di uscita27 nov 2019
ISBN9788822739957
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    Anteprima del libro

    Broken. Prenditi cura di me - J.L. Drake

    Prologo

    Dicono che il tempo guarisca tutte le ferite, ma dimenticano di aggiungere che il viaggio per arrivare alla meta è dannatamente tortuoso.

    A ventinove anni ho la sensazione di non aver mai vissuto per davvero. La mia vita finora non è stata altro che una montagna di bugie, perdite, morti, tradimenti e delusioni profonde. Dopo mesi d’inferno ho superato il periodo più buio e finalmente inizio a riprendermi, a raccogliere e a ricomporre i pezzi della mia esistenza.

    È giunto il momento di vivere… A modo mio.

    Capitolo uno

    Savannah

    Accosto la porta appena esce Keith, lo vedo scomparire lungo il corridoio. Chiudo a doppia mandata, aggancio la catenella, giro il chiavistello e tiro un sospiro. Keith ha montato tutto appena mi sono trasferita nel mio nuovo appartamento, mentre io fingevo che sarei stata bene anche senza. Non è vero. Si è raccomandato con il custode di tenermi d’occhio, ha perfino installato dei sistemi di sicurezza su ogni finestra… e abito al quinto piano.

    Mangio un boccone e subito dopo mi metto davanti allo specchio: mi guardo il vestito, sistemo i capelli con le mani. Posso farcela. Prendo le chiavi, non prima di essermi fatta forza tra me e me, ed esco controvoglia, costringendomi a mettere un piede davanti all’altro. L’ascensore lentissimo è allettante, ma opto per le scale. È passata una settimana da quando mi sono trasferita qui dalla casa, e dall’ultima volta che ho visto Cole. Keith continua a trovare dei lavoretti strani tutti vicino al mio bilocale, sempre in orario notturno perché di giorno lavora. So che il pensiero di sapermi sola lo rende nervoso e, in tutta sincerità, vederlo seduto sul mio divano mi fa piacere. Ovviamente continuo a ripetergli di lasciarmi in pace e di smetterla di trattarmi come se fossi una mocciosa, ma è soltanto l’ennesima bugia da aggiungere a una lista già lunga.

    Ho il segreto timore che i miei amici a casa si stiano stancando di me, quindi cerco di rendermi il più indipendente possibile. Ecco perché in questo momento sto andando a piedi fino al ristorante di Zack, a tre isolati dall’appartamento. Tanto so bene che Keith mi osserva da una caffetteria dall’altro lato della strada per assicurarsi che arrivi sana e salva. Sorrido e tiro fuori gli occhiali da sole. Chi avrebbe mai immaginato che il vecchio e temibile Keith sarebbe diventato il mio fratellone iperprotettivo?

    Ripenso all’altro giorno e mi scappa un sorriso.

    L’appartamento è silenzioso, questa situazione non mi piace più. Melanie è uscita con gli amici, mi ha chiesto se mi andava di unirmi a loro, ma ho preferito rimanere a guardare i vecchi episodi di Lie to Me. Magari imparerò qualcosa. Poso il bicchiere di vino su una coscia e tiro su la coperta. Fa freddo, ma non mi va di accendere i riscaldamenti. Non voglio pagare una bolletta esagerata. Daniel vorrebbe darmi una mano, ma non glielo permetterei mai. Appena inizierò a lavorare, fra qualche giorno, guadagnerò abbastanza. Non ho grandi pretese.

    Non so che ore sono quando qualcuno bussa piano alla porta e mi sveglia. Oh, accidenti, devo essermi addormentata. Alzo il mio culo pigro dal divano e vado ad aprire. Guardo attraverso lo spioncino e trovo Keith che mi fissa a sua volta.

    Dopo aver aperto cinque serrature e chiavistelli, giro la maniglia. Ha in mano una busta di plastica.

    «Ti ho portato un pesciolino».

    Cosa?

    Solleva la busta e vedo un pesce arcobaleno viola che mi guarda attraverso il sacchetto trasparente. Ugh…

    «Perché?».

    Odio i pesci.

    Sorride, ha capito che non sono entusiasta. «Perché sei sola e ti farebbe comodo qualcuno che non puoi allontanare». Mi sfila davanti, ma appena faccio per chiudere la porta si volta. «Aspetta».

    «Io non allontano le persone». Incrocio le braccia sul petto e guardo verso il corridoio, domandandomi se stia arrivando qualcun altro.

    «Sì, come dici tu». Ridacchia e versa dell’acqua in una boccia di vetro che aveva portato in un’altra busta. «Resterai sorpresa per quanto ti affezionerai a Ghiacciolo, qui».

    Scuoto il capo. «Ghiacciolo?».

    Con un cenno del capo sistema il pesciolino nella sua nuova casa. «Un nome che ti si addice, considerando come ti sei comportata ultimamente».

    Chiudo gli occhi, le sue parole mi colpiscono come un pugno allo stomaco. «Perdonami, Keith. Non era mia intenzione allontanare nessuno. Soprattutto te. Io, io… non so neanche chi sono».

    Posa la boccia sul ripiano e passa un dito lungo la superficie di vetro per attirare l’attenzione del mio nuovo animale domestico.

    «So che negli ultimi tempi è stata dura. Ti prego soltanto di non tagliarci fuori». Assento con aria mortificata. C’è una scatola di biscotti sopra il frigorifero. Li prendo e glieli poso davanti.

    «Tregua?»

    «Non sono mai stato arrabbiato con te, solo che a volte mi manca la vecchia Savannah». Mi afferra una mano e mi trascina in un abbraccio, mentre divora due biscotti in una sola volta. «Hai bisogno di qualcosa?».

    Mi stringo nelle spalle. Capisco che in realtà è lui che vorrebbe tanto rendersi utile. «In effetti, in bagno c’è un rubinetto che perde».

    La sua espressione si fa di colpo felice. «Vado a prendere gli attrezzi».

    «Aspetta, Keith, chi c’è…».

    «Perché quest’ascensore ci mette un secolo per salire al quinto piano?», domanda June in tono scherzoso, posando una scatola enorme sul tavolo della cucina. Quasi mi fiondo fra le sue braccia. Sono incredibilmente felice di avere la mia famiglia qui, a casa mia.

    June rivolge un cenno ad Abigail, che porta una busta piena di cibo fatto in casa.

    «Ho pensato che ti avrebbe fatto piacere mangiare qualcosa di diverso». Apre il frigo e trova un barattolo di burro d’arachidi e delle bottiglie d’acqua. «Be’, sospettavo che avessi fame».

    «Grazie!». Sbircio alle sue spalle e vedo un contenitore con la sua zuppa di lenticchie. Gnam.

    June si versa un bicchiere di vino e poi si avvicina al divano a recuperare quello che avevo lasciato sul tavolino lì accanto. «Hai un appartamento incantevole, cara».

    «Grazie». Siedo sul ripiano della cucina e guardo Abigail.

    «Ecco», dice porgendomi un grosso regalo incartato. «Questo è per far felice Keith».

    Sorrido e mi domando che diamine sia. Sciolgo il fiocco argentato e strappo la carta. Appena scopro cos’è non riesco più a muovere le mani. «Oh mio…».

    «Spero di aver scelto il colore giusto».

    «Sì». Apro la scatola e tiro fuori delicatamente il piccolo elettrodomestico dall’involucro. Passo le dita sulla vernice rossa, lungo il braccetto e sulla ciotola in metallo lucido. «Proprio come il Mixmaster di mamma». Serro le labbra, cercando di trattenere la commozione. Quanto sono stata fortunata ad avere queste due donne fantastiche nella mia vita? «Vi ringrazio moltissimo!».

    «Prego, cara». Mi abbracciano, tutte e due insieme.

    Sta benissimo accanto alla macchina del caffè. Quando mi volto le trovo ad ammirare il soggiorno. Mi appoggio contro il ripiano e sono felice che siano qui. È bellissimo. Devo proprio impegnarmi di più.

    ***

    «Questo è il tuo armadietto, qui trovi i grembiuli e lì i bagni, e qui è dove timbrerai a inizio e fine turno». Zack prende il cartellino lungo e giallo e lo infila nella macchina che stampa data e ora. «Ecco, hai ufficialmente iniziato il tuo primo giorno di lavoro». Mi fa un cenno con la mano per invitarmi a seguirlo lungo un breve corridoio, verso il bar adiacente alla sala ristorante. «Considerando che hai già lavorato come barista, non dovrebbe essere difficile per te. Jake ti mostrerà tutti gli attrezzi del mestiere».

    «Va bene». Ho lo stomaco in subbuglio. Il pensiero di trovarmi davanti a tanta gente mi fa agitare, è passato tanto tempo dall’ultima volta.

    Mi consegna la targhetta con il mio nome inciso sopra. «Ecco come funziona, Savi. Se dovessi avere qualche problema con i clienti, dillo a Jake. Lui ci sa fare, ti aiuterà in qualunque situazione. Di solito non succede mai nulla, ma potrebbe capitare… Be’, sai di cosa parlo. Nel caso in cui Savannah dovesse aver bisogno d’aiuto…». Mi rivolge uno sguardo eloquente, per essere certo che abbia capito che devo rivolgermi a lui, nel caso dovessi avere un problema personale. «Parlane con me. Dovrei coprire i tuoi stessi turni, ma se per qualche motivo non dovessi esserci, Keith o Daniel non saranno mai troppo lontano. Domande?». Scuoto il capo e memorizzo ogni cosa. «Jake», chiama a gran voce, «vieni a conoscere la tua nuova aiutante».

    Vedo avvicinarsi un ragazzo alto e ben piantato, più o meno della mia età, che mi rivolge un sorriso con i suoi denti bianchissimi. «Be’, dannazione, se non sono un uomo fortunato. Lieto di conoscerti, io sono Jake».

    «Savi». Ci stringiamo la mano, ma prima che riesca a ritrarla mi fa piroettare per osservarmi attentamente.

    «Ok, prima di tutto, così non va». Scuote il capo, si abbassa e prende una maglietta da un ripiano sotto il bancone. «Va’ a metterti questa». Sorride e mi indica una porticina. La indosso al volo: è nera, con uno scollo a

    V

    che mette in mostra più di quanto vorrei. L’orlo mi copre appena l’ombelico, lasciando scoperto qualche centimetro di pelle sopra i pantaloni. Appena mi vede, Jake si passa le dita sulle labbra. «Bene, ma…», tira via l’elastico con cui avevo raccolto i capelli, che mi ricadono sulle spalle, «così va meglio». Assente in segno di approvazione. «Il sesso vende. Nel tardo pomeriggio e di notte questo posto si riempie di uomini stanchi con una gran voglia di bere. Con quel corpo e quel viso, Savi, il locale sarà stracolmo, e questo significa… mance!».

    Poco dopo le sette il bar è già affollatissimo. Per fortuna Jake ha molta pazienza e la memoria non mi sta giocando brutti scherzi. Non avevo mai preparato quattro Apple Martini in una volta sola, ma ora ne sono capace. Non ci metto molto a capire che le clienti sono ricche e impazienti, mentre gran parte degli uomini pratica un qualche tipo di sport estremo. Ho a stento il tempo di respirare tra un ordine e l’altro, ma riesco comunque a tenere il ritmo.

    «C’è un signore che ti cerca», sento dire da Jake alle mie spalle, mentre inserisco una comanda nel computer.

    Mi volto e vedo Mark che mi sorride, mentre si accomoda a un posto libero al centro del bancone. Finisco e vado da lui, asciugandomi le mani con un canovaccio.

    «Ma ciao, straniero». Mi chino e lo abbraccio. «È bello rivedere la tua faccia».

    Guarda la maglietta che indosso. «Non gli piacerà». Sento quel doloroso nodo allo stomaco che si stringe, ma fingo comunque indifferenza. «Come va, Savi?».

    Scoppio a ridere e mi sporgo sul bancone per rendere l’idea. «Già, come va?». Come se non veniste informati costantemente da Keith. Sorride e mi indica la Stella alla spina con un cenno del capo. Prendo un bicchiere e gli verso la birra. «Tutto bene, ma mentirei se ti dicessi che non mi mancate. Come vanno le cose a casa? Come sta Abby? June vive ancora da voi?»

    «Puoi tornare quando vuoi, sai?». Sbircia da sopra al bordo del bicchiere, ma appena nota che mi stringo nelle spalle cambia argomento. «June è ancora da noi. Sta pensando di trasferirsi una volta per tutte. Detesta vivere lontano da sua sorella, sai come sono lei e Abby», commenta con un sorriso.

    Sbatto il canovaccio sul bancone. «Davvero? Sarà bellissimo averla sempre vicino!».

    «Sì, proprio così». Si volta verso un cliente che mi chiama con insistenza. Sollevo un dito e vado da quel tizio.

    «Salve, cosa posso servirle?», domando.

    L’uomo si tira su le maniche e si accomoda. «Tanto per cominciare, vorrei te». Sospiro nella mia mente e cerco di mantenere un’espressione inalterata.

    «Che ne dice di qualcosa da bere?», ribatto, ma la mia domanda lo fa sorridere.

    «Scotch, liscio, portane uno ogni volta che avrò vuotato il bicchiere, e se a fine serata avrai fatto per bene il tuo lavoro ti mostrerò la mia riconoscenza». Mi allunga la carta di credito e la chiave della sua stanza d’hotel, facendole strisciare sul tavolino. Le guardo con espressione sconvolta. Questo tizio non perde tempo. Prendo la carta di credito, ignoro la chiave e vado a preparargli da bere. Appena gli porto il bicchiere mi stringe le dita tra le sue. «Mi chiamo Don». Allunga l’altra mano e mi sfiora la targhetta. «Savi, bel nome».

    «Grazie», rispondo scostando la mano. «Ora mi scusi». Torno da Mark che mi tiene d’occhio come un falco. Mi stampo un sorriso in faccia e gli domando se vuole un’altra birra.

    «Savi, davvero vuoi lavorare qui? A contatto con questi individui?». Mark rigira il bicchiere con una mano mentre indica Don con un cenno del capo. «A Cole non piacerà».

    Scuoto il capo, porto le mani ai fianchi e sollevo un sopracciglio. «Ti ha mandato lui a controllarmi, Mark, oppure sei venuto a trovare un’amica?».

    Mi rivolge uno sguardo contrariato. «Prima di tutto, sono venuto a trovare un membro della mia famiglia, non una semplice amica. Credi davvero che non mi darà il tormento quando telefonerà stasera? Per favore, risparmiami quello sguardo. Dovrò pur raccontare qualcosa a quel pover’uomo».

    Prendo un tovagliolo e rimuovo un inesistente alone lasciato dal bicchiere. «Dov’è stavolta?»

    «Washington. Ieri ha testimoniato contro l’Americano». Sento improvvisamente la gola secca. «È andata bene. Dovrebbe essere a casa fra stasera e domani». Fa una smorfia; so già quello che sta per dire.

    «E io, quando verrò convocata?». Sento il sangue defluirmi dal viso, non appena penso che dovrò rivedere quella gente.

    Mark vuota il bicchiere. «Cole sta facendo di tutto per tenerti fuori. Noi speriamo che ti permettano di testimoniare da qui, in video-chiamata, ma se potessi testimoniare di persona sarebbe più efficace».

    «Lo farò», rispondo, e getto via il canovaccio. «Di’ a Frank che verrò a Washington».

    «Non sei obbligata, Sav…».

    «Devo tornare dai clienti. Mi ha fatto piacere rivederti, Mark. Per favore, porta i miei saluti a tutti». Faccio per allontanarmi, ma mi afferra per un braccio e mi blocca.

    «Vieni a cena da noi, a casa, domani sera».

    Scuoto il capo. «Mi dispiace, devo lavorare».

    «E allora vieni a pranzo».

    «Vedrò cosa posso fare». Gli do un buffetto su un braccio e mi allontano per tornare a occuparmi dei clienti.

    «Hai fatto un ottimo lavoro stasera», commenta Jake qualche ora dopo, sistemandosi il borsello a tracolla. «Posso accompagnarti?»

    «Volentieri». Usciamo dal locale e veniamo travolti da un’aria gelida: piccoli fiocchi di neve cadono dal cielo. Mi avvolgo la sciarpa intorno al collo. «Da quant’è che lavori per Zack?».

    Jake si incammina nella mia stessa direzione. «Da circa tre anni. Non ho parenti qui, perciò mi ha preso sotto la sua ala. Da quanto ho capito ha fatto la stessa cosa con te». Confermo con un cenno del capo. Mi sento a mio agio con lui, è un tipo molto gentile e affabile. «In realtà, ho avuto l’impressione che diverse persone ti tengano d’occhio», aggiunge in tono pacato. «Quel tizio che è venuto stasera è il tuo ragazzo?»

    «Soltanto un buon amico», rispondo con un sorriso, pensando che se Mark è passato per il mio ragazzo di sicuro Don mi lascerà in pace la prossima volta che tornerà a bere.

    «Menomale, perché so che si vede con Mel». Alzo lo sguardo. «Anche lei è mia amica. Come stanno le cose, Savi? C’è Mark, Zack e quel tizio enorme che pare essere la tua ombra».

    «Keith», intervengo scoppiando a ridere. «Lui è come un fratello maggiore».

    «Ok. Dunque, cosa si nasconde dietro quest’esercito di uomini? Ti sei cacciata in qualche guaio?». La sua domanda mi spiazza.

    «Hai notato parecchie cose, considerando che ci conosciamo da, quanto, nove ore?».

    Tira su il colletto del giaccone per ripararsi dal freddo. «Lo faccio sempre. Amo osservare la gente». Si ferma e mi guarda. «Voglio solo che tu sappia che se hai bisogno di parlare, io ti ascolto». Indica un edificio con un cenno del capo. «Abito qui». Appena mi accorgo che siamo davanti al mio palazzo sorrido.

    «A che piano sei?».

    Impallidisce. «Oh, ehm… non intendevo…».

    Mi rendo conto che ha frainteso la domanda e sogghigno. «Te l’ho chiesto soltanto perché anch’io abito qui, al quinto piano».

    Getta indietro la testa e scoppia a ridere. «Sto al 5

    G

    ».

    «Io al 5

    H

    ». Gli porgo la mano. «Felice di conoscerti, caro vicino di casa».

    Prendiamo le scale, lamentandoci della lentezza dell’ascensore, e arrivati

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