Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Fiume d'Ossa
Fiume d'Ossa
Fiume d'Ossa
E-book403 pagine5 ore

Fiume d'Ossa

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Quando Sara Mason fa ritorno alla sua città natale, nel delta del fiume Sacramento, scopre che i residenti sono perseguitati da una serie di inquietanti omicidi. 

Sara è tornata per fare pace con il suo passato, decisa a cessare di lottare con il ricordo dei genitori alcolizzati e della sorella più piccola tragicamente affogati nel fiume.

Sarà un macabro ritrovamento sulla sua proprietà a portarla al centro delle indagini, facendo di lei una preda dello sfuggente assassino.

Il desiderio di Sara era tornare a casa... Ma una volta realizzato si ritroverà, suo malgrado, a dover compiere un viaggio rischioso che la porterà dritta in fondo ad un incubo iniziato molti anni prima.

LinguaItaliano
Data di uscita2 giu 2020
ISBN9781071549827
Fiume d'Ossa

Correlato a Fiume d'Ossa

Ebook correlati

Gialli per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Fiume d'Ossa

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Fiume d'Ossa - Mary Deal

    Riconoscimenti

    Un ringraziamento speciale agli amici di una vita lungo il Delta...

    Jim e Glenda Faye Emerson, Courtland, CA

    Donna e Bob Nunes, Rio Vista, CA

    ...per i preziosi approfondimenti offerti nei momenti passati a ricordare i giorni trascorsi lungo il Fiume.

    Foto di copertina realizzata da Faces Studio and Salon, Honolulu, Hawaii

    Capitolo 1

    Il monitor si riempì di lettere rosso sangue, in alto alla pagina delle notizie...

    Identificata la vittima del serial killer.

    Ogni volta che Sara Mason controllava online le notizie riguardanti il Delta del fiume Sacramento, quella parte della sua città natale che non aveva mai avuto la possibilità di conoscere, l'homepage mostrava titoli riguardanti lo psicopatico in fuga.  Lesse con preoccupazione i post su internet, ricordando il terrore generale che aveva causato Zodiac, il famigerato assassino seriale degli anni 60 e 70. Come per Zodiac, le autorità non avevano indizi sull'identità dell'assassino.

    Leggere gli aggiornamenti le causava sempre uno stress nervoso. Poco dopo essersi trasferita nella sua casa, aveva avuto l'impressione che qualcuno, a notte fonda, si aggirasse intorno alla sua proprietà, ma non aveva trovato tracce della sua presenza. Si stava immaginando le cose?

    Le notizie svelavano altro...

    Le fosse dei due scheletri non identificati sono prive di documenti e di oggetti personali, così come è avvenuto nei precedenti siti di sepoltura localizzati. Le ossa di gatti sepolte nelle fosse sono l’unico collegamento con le vittime precedenti, tutte rinvenute insieme ai resti di piccoli animali.

    «Un gatto», disse Sara ad alta voce. Poi un’immagine si materializzò con forza nella sua mente: un vestito rosa e un piccolo coniglietto di peluche.

    I detective dei casi irrisolti hanno identificato uno dei gruppi di resti come quelli di Paula Rowe, una commessa del supermercato all’ingrosso che svolgeva il turno di notte.

    Le indagini precedenti rivelavano che le vittime erano state sepolte con quanto avevano addosso al momento dell’aggressione. L’assassino aveva scavato le fosse in aree remote, nei pressi di fiumi e ruscelli, dove il terreno era umido e morbido da scavare, oltre a rendere più rapida la decomposizione.

    Un profiler della polizia aveva indicato che il sospetto probabilmente viveva non lontano dall’area dove le fosse erano state localizzate. I resti erano stati rinvenuti nei pressi dell’Interstatale 80 in direzione ovest, a Roseville verso nord e ad est del Rancho Cordova lungo il fiume American. L’area interessava l’intera città di Sacramento, oltre alle cittadine circostanti. La maggior parte delle vittime era scomparsa da anni, alcune da decenni. Dato che le fosse scoperte non contenevano scheletri recenti, si presumeva che l’assassino avesse abbandonato l’area, o semplicemente avesse smesso di uccidere, cosa di cui però le forze dell’ordine dubitavano. Di tanto in tanto avevano aggiunto un nome alla lista crescente delle persone scomparse.

    L’articolo su internet parlava anche di un altro argomento...

    Dal momento che le vittime sono sia maschi che femmine e di diverse origini, è difficile determinare un possibile movente, ammesso che le autorità non abbiano per le mani un pazzo sfuggente.

    Se non l’avesse tenuta a freno, l’immaginazione di Sara sarebbe andata fuori controllo. tutte quelle effrazioni nel barrio, dove aveva vissuto a Puerto Rico nelle ultime tre decadi, le avevano insegnato a guardarsi le spalle. Col passare del tempo, l’idea di trovare un luogo più sicuro si era insinuata in lei. Alcune comunità dell’isola caraibica erano semplicemente troppo pericolose e il suo quartiere era diventato una di quelle. Aveva bisogno di un luogo dove sentirsi al sicuro, ma sapeva che non sarebbe mai stata tranquilla laggiù.

    Una volta presa la decisione di ritornare a vivere nella zona dove era nata, la sua prima scelta fu di cercare una casa lungo il fiume, ma non vicina a Rio Vista, dove aveva frequentato il liceo nella Contea di Solano. Molta gente aveva traslocato nel Delta e aveva costruito ville multimilionari lungo il fiume. Quello non faceva per lei.

    Si era stabilita in città prima di Natale, qualche mese prima e aveva comprato una vecchia casa, un regalo che aveva deciso di concedersi. Possedere una magione vittoriana era il sogno di una vita, un sogno che non si era mai sbiadito. Aveva trovato un posto del genere e, con massimo stupore dell’agente immobiliare, aveva immediatamente firmato il contratto di vendita, accettandone l’intero prezzo. Come caparra confirmatoria aveva pagato sull’unghia con un bonifico bancario.

    Dopo aver firmato i documenti aveva sentito il broker dell’agenzia immobiliare di Sacramento vantarsi del colpaccio con un collega nell’ufficio adiacente. «Una ricca bionda di mezza età – una che sembra arrivata dal Porto Rico – ha appena comprato quell’orribile pugno nell’occhio lungo il fiume». Sara non ne fu per nulla offesa, anzi ne sorrise segretamente. Sapeva di portare bene i suoi anni e sapeva anche come avrebbe ristrutturato il vecchio maniero.

    Poco dopo, Sara contattò il Liceo che aveva frequentato, il Rio Vista High School, chiedendo informazioni riguardo le riunioni di classe. Attraverso i registri della scuola riuscì a localizzare Daphine Whelan, la sua migliore amica dell’epoca. Se qualcuno si fosse ricordato di lei, probabilmente avrebbe serbato l’immagine di un’esitante ragazzina dai capelli biondi e lisci.

    «Lo sai che cosa dicono di quella casa?» le aveva chiesto Daphine al telefono.

    «L’agente immobiliare mi ha raccontato di tutto», disse Sara. «ma non credo quasi a nulla.»

    Daphine era decisamente su di giri per il fatto che la sua amica d’infanzia fosse tornata in città. Ma quando la conversazione tornava sulla casa, il suo umore si faceva tetro. «Fai attenzione, va bene? Quel maniaco è ancora a piede libero e il precedente proprietario di casa tua risulta tutt’ora scomparso».

    La maggior parte delle informazioni abbozzate riguardo l’immobile sembravano un misto tra pettegolezzi e dicerie. L’unica solida informazione era giunta dall’agente immobiliare. Orson ed Esmeralda Talbot erano stati i secondi proprietari della decadente villa vittoriana nota come Talbot House. I proprietari originali aveva costruita la casa nel 1928. Dal momento che la casa era una riproduzione in stile vittoriano, non poteva essere censita in nessun registro storico. I Talbot desideravano lasciarsi alle spalle la vita congestionata di città che si respirava nella Baia di San Francisco. Il 1928 era l’anno di nascita di Orson Talbot e questo fu interpretato come un buon presagio che portò la coppia ad acquistare l’immobile. Non passò molto tempo prima che il Signor Talbot svanisse nel nulla.

    «Daph», le aveva detto Sara. «Sgangherata o meno, ho la casa dei miei sogni e non c’è nulla che me ne allontanerà. Aspetta solo di vedere che cosa ne farò».

    Il silenzio di Daphine attraverso il telefono era sembrato un avvertimento.

    Anche se le sue mani rimasero sulla tastiera, Sara si ritrovò ad osservare le foto della sua sorellina appese al muro coperto con una vecchia carta da parati blu a motivi floreali. La piccola Starla era morta da lungo tempo, ma Sara aveva sempre provato una sorta di pace interiore soltanto guardando il viso di sua sorella. Molte volte Sara aveva posizionato foto della sua adolescenza vicino a quelle di Starla. Se fossero nate in anni più vicini, sarebbero potute passare per gemelle.

    «Mi manca la tua risata», disse Sara rivolta verso la foto in primo piano di Starla. Si domandò se i capelli biondi e lucenti di Starla sarebbero rimasti tali, come lo erano stati i suoi. Avrebbe mantenuto la figura alta, slanciata e avrebbero offerto anche a lei di posare come modella? Avrebbe conservato la scintilla nei suoi grandi occhi blu da bambina? Oppure sarebbe scomparsa una volta che Starla avesse saputo dei loro genitori?

    Più tardi, dopo che si fu staccata dal computer e trascinata a letto, Sara si ritrovò assalita da residui di pensieri. Doveva ancora scrollarsi di dosso il bisogno di sicurezza che si era insinuato in lei a Porto Rico e confinarlo in un luogo lontano della sua memoria. Ma per il momento, il suo istinto di conservazione rimaneva all’erta. Le strade erano decisamente migliorate da quando aveva vissuto nella zona. L’intera Sacramento e le regioni del Delta, potevano essere percorse in auto in poco tempo. Se il colpevole aveva lasciato Sacramento, poteva trovarsi ovunque. si rigirò nel letto e cercò di schiarirsi la mente cercando di visualizzare la vecchia magione ristrutturata e rimodellata. Una raffica di vento fece scricchiolare il retro della villa. Era un suono al quale aveva fatto l’abitudine.

    Si raggomitolò e ringraziò i pigiami di flanella, un capo totalmente inutile nei Caraibi. Appena si fu voltata si pietrificò sentendo dei rumori giungere da fuori. Passi. Li aveva già sentiti una volta. Sembravano prodotti da stivali pesanti; venivano dal sentiero sul lato nord. Passavano proprio fuori dalla finestra della sua camera da letto!

    «È un sogno», disse mezza addormentata. «Dev’essere un sogno».

    Ma non poteva restarsene lì se ci fosse stato qualcuno che cercava di entrare. Le avevano detto che a volte dei senzatetto, o dei vandali, si introducevano nella villa. Chiunque fosse stato là fuori doveva sapere che adesso la casa era abitata. Lanciò indietro le coperte e quando fu sul punto di lasciare la stanza, si ricordò che le finestre non erano più sbarrate. Con il vecchio sistema di riscaldamento non ancora in funzione, non c’era praticamente alcuno strato di condensa sui vetri. Nulla poteva nasconderla da un osservatore esterno. Se non fosse stato un senzatetto alla ricerca di un riparo – il pensiero corse all’assassino di cui si erano perse le tracce – non aveva alcuna intenzione di accendere le luci ed esporsi come un pesce in un acquario.

    «Avrei dovuto lasciare le finestre sbarrate», sussurrò a se stessa. La sua camera da letto e il bagno erano le uniche stanze con le tende montate provvisoriamente. Si mise di nuovo in ascolto, ma non sentì nulla. Si abbassò sul pavimento e strisciò attraverso il salotto osservando le finestre in cerca di ombre in movimento. Si sentì paranoica e si domandò se fosse questa la sensazione che provavano i suoi vicini a Porto Rico quando qualcuno si introduceva nelle loro abitazioni. Paranoica o no, era meglio essere cauti. Guardò nuovamente le finestre.

    Nessun movimento.

    Serpeggiò verso il corridoio della sala da pranzo, passando in rassegna le finestre, senza vedere nulla. Superato il camino, raggiunse la dispensa, dove rimase in ascolto appena fuori dalla cucina.

    Nessun rumore.

    Nel portapiatti aveva lasciato ad asciugare un coltello da macellaio. Mantenendosi bassa si avvicinò per afferrarlo.

    Altri rumori... venivano dall’ingresso della casa, sul lato opposto.

    Afferrò il coltello, tornò nella dispensa e trovò il martello, proprio dove lo aveva lasciato quando aveva rimosso delle vecchie mensole.

    Se ci fosse stato qualcuno che camminava nel cortile, forse sarebbe riuscita a vederlo da una delle finestre del piano superiore. Iniziò a percorrere la buia rampa di scale di servizio tra la cucina e la sala da pranzo, un tempo usata come accesso per la servitù al resto della casa. Un gradino scricchiolò e il suono rimbalzò sui muri stretti della rampa.

    Il cuore di Sara batteva come un tamburo. Trattenne il respiro.

    Al primo piano si mosse lentamente da una stanza all’altra, spiando da ciascuna finestra, senza avvicinarsi troppo. Non vide nulla oltre agli alberi che si piegavano verso il cielo scuro della notte e non sentì nulla oltre al vento che fischiava negli angoli e attraverso gli spifferi della magione.

    Percepì il suo isolamento nel dormire in una villa di quattro piani, mostruosamente grande con i suoi mille e ottocento metri quadrati, nei quali i rumori rimbalzavano tra i muri delle stanze vuote.  Finalmente, sedette di nuovo sul suo letto e si assicurò che il cellulare fosse di nuovo sul comodino. Ma che cosa avrebbe potuto fare se si fosse trovata nei guai di sopra e il telefono fosse stato al piano inferiore? Afferrò il telefono e si domandò se chiamare o meno il 911. I rumori dopotutto poteva esserseli immaginati. Ma qualcuno doveva sapere cosa stava accadendo.

    Per un attimo esitò, poi digitò il codice e attese finché qualcuno rispose. «Buck, sono io, Sara».

    Dal telefono giunse uno sbadiglio. «È mezzanotte passata, Sara. Questo povero vecchio non rimane alzato a lavorare fino a tardi come fai tu».

    Era rimasta per un po’ ospite dai suoi amici Buck e Linette, finchè aveva concluso l’atto di vendita. Sospirò. «Buck, ho appena letto qualcosa riguardo allo psicopatico e non riesco a prendere sonno. Mi chiedevo se voi ragazzi foste ancora svegli, verrei...»

    «Non azzardarti ad uscire nel bel mezzo della notte!»

    «Allora credi che quel pazzo possa trovarsi da queste parti?»

    «Voglio solo che tu stia al sicuro. Devi imparare a stare in casa durante la notte quando sei da sola».

    «Forse... Forse sto esagerando».

    «Hai un’arma?» domandò con un altro sbadiglio.

    «Sì», rispose lei, lanciando un’occhiata al coltello e al martello. «Starò bene».

    Finalmente, tornata a letto, il silenzio si fece assordante. Come aveva potuto permettere che qualcuno la spaventasse fuori da casa sua? Per cercare di rilassarsi, come spesso faceva, pensò alla piccola ed innocente Starla, che adorava cantare. Decine di anni prima, Starla aveva sentito alla radio il motivo di un film degli anni 60, Il circo degli orrori, e le era rimasta impressa perché lo collegava al suo nome. Sara immaginò la dolce voce di Starla mentre cantava, «...quando pensi che non ci sia nessuno a guidarti... cerca una stella».

    Sara rabbrividì, ma non era per via della casa senza riscaldamento. «Spero di dormire stanotte», sussurrò. Fece un sospiro e gettò uno sguardo al coltello e al martello sul comodino, strategicamente posizionati per una rapida presa. 

    Capitolo 2

    La preoccupazione di non sapere dove si trovasse l’assassino a piede libero, aveva impedito a Sara di addormentarsi facilmente. La mattina seguente si svegliò tardi e si ritrovò a rincorrere gli impegni, ma alla fine era riuscita ad arrivare all’ultima fatica della giornata.

    I detriti dell’inverno inondavano le tombe. Sara raccolse una manciata di ramoscelli e foglie cadute stringendoli così forte che il legnò si spezzò nelle sue mani. Poi lanciò tutto da parte senza badarci.

    Tre lapidi di marmo giacevano una accanto all’altra nella vecchia e infelice sezione del cimitero Elk Grove a sud di Sacramento, vivide e immutabili, come i suoi ricordi. Osservò l’incisione sulla lapide più grande che recitava:

    MASON

    Quincy Everett e Petra Lou.

    «Entrambi nati nello stesso anno e morti insieme. Due persone notevoli». Disse con una smorfia. «Mi domando spesso se siate in paradiso... o all’inferno». Si accovacciò e toccò la terra davanti ad una lapide più piccola sulla quale era inciso:

    Starla Gay Mason.

    «Ciao sorellina», disse. «Sono qui. È tempo di restituire». Ricordò sua sorella che giaceva nella bara, il corpo integro, ma spaventosamente pallido. Pensava sempre a lei in quello stato, mentre riposava nel suo unico vestito, rosa con dei fiocchi bianchi. All’ultimo minuto Sara aveva infilato il giocattolo preferito di Starla, un peluche a forma di coniglio bianco, sotto il braccio della sorella.

    Sara posizionò il mazzo di tulipani rosa nel vaso portafiori a fianco della lapide e attese finché il groppo che le serrava la gola si sciolse. Dopo essersi trasferita a Porto Rico, in seguito alla morte dei suoi genitori e di sua sorella, immaginava che le sue ceneri sarebbero state disperse nelle acque cristalline del Mar dei Caraibi. Ma adesso che era tornata nella sua città natale, le cose potevano anche cambiare. Aveva sempre trovato difficile pensare a Starla che giaceva nella fredda terra. Non riusciva ad immaginare sé stessa giacere in fianco alla sorella sotto la lapide sulla quale era già inciso il suo nome:

    Sara May Mason

    Dopo l’acquisto delle prime due, la sua lapide era stata un dono pietoso da parte dell’azienda marmista; un dono fatto ad una famiglia che non aveva nulla, la cui unica superstite era un’adolescente che aveva ancora meno.

    Lanciò uno sguardo all’incisione dei suoi genitori. «Le cose sono cambiate», disse. Il loro ricordo la depresse. Sara aveva bisogno di mettersi il passato alle spalle e concentrarsi sulla nuova esistenza che la attendeva.

    Osservò il nome di sua sorella. «L’ho visto di nuovo», disse sorridendo speranzosa. Ripensò all’uomo che recentemente aveva visto in diverse occasioni in un ristorante di Sacramento. La prima volta si era seduto con un gruppo di persone nel divanetto proprio dietro il suo, dove lei sedeva da sola. La sua voce si distingueva ma non era chiassosa. Aveva parlato a proposito di un fratello maggiore che gli aveva insegnato ad andare in bicicletta e, qualche tempo dopo, a guidare la motocicletta, quando era tornato dal Vietnam. Poi aveva parlato di sua sorella come di un genio della finanza. Parlava con affetto dei suoi fratelli e dei suoi parenti. Era evidente che la famiglia fosse tutto per lui. Sara aveva provato a non origliare e si era sentita in colpa ascoltandolo, ma la sua famiglia le era sembrata esattamente di quel tipo di cui lei avrebbe potuto soltanto sognare.

    Il gruppo aveva lasciato il locale prima di lei. Quando erano passati davanti al suo tavolo, l’uomo si era voltato e l’aveva guardata dritta negli occhi. Aveva i capelli scuri, corti, leggermente mossi e uno sguardo concentrato con occhi di uno scintillante blu topazio! I loro occhi si erano incontrati in quel genere di sguardo che creava una connessione ancora prima che le parole venissero pronunciate. Infatti lui aveva rallentato il passo, la sua intensità si era ammorbidita, finché finalmente aveva sorriso e curiosamente la sua espressione triste si era sciolta.

    Sara era tornata a quel ristorante diverse volte e finalmente lo aveva rivisto mentre si allontanava con due uomini. Ma il suo tempismo sembrava non funzionare. In un’altra occasione lei aveva lasciato il ristorante proprio mentre loro vi entravano.

    «Salve», aveva detto una volta l’uomo con gli occhi di topazio.

    «Salve», aveva risposto Sara. L’unica cosa che poteva fare era stata andarsene, perché trovare una scusa per rientrare sarebbe apparso artificioso.

    Durante una gita al negozio di arredamento a Sacramento, lo aveva visto camminare lungo la strada in compagnia. Mentre era ferma al semaforo, domandandosi in che modo avrebbe potuto incontrarlo, lo aveva visto entrare in un negozio dell’isolato successivo. Passandoci davanti aveva notato che l’immobile ospitava agenzie governative.  Era rimasta lì a pensare a quell’uomo finché aveva realizzato di esserne piuttosto presa. Era forse per via dell’amore che lui provava verso la sua famiglia?

    «La prossima volta che lo vedrò al ristorante», disse rivolta verso il nome di Starla, «attaccherò bottone». Ma non lo aveva visto nelle ultime tre settimane. Doveva superare la sua timidezza quando si trattava di conoscere uomini. C’era una parte della sua programmazione infantile che voleva ancora farle credere di non esserne all’altezza. Ma lei sapeva che era sbagliato pensarla a quel modo e aveva promesso a sé stessa che avrebbe superato anche quell’aspetto della sua personalità. Non era mai troppo tardi per cambiare e lei desiderava davvero trovare l’amore un giorno.

    Da quando aveva fatto ritorno al Delta, dubitava che qualcuno l’avesse riconosciuta, anche se un tempo era diventata piuttosto nota tra i locali. Ma a parte la morte dei suoi genitori, che era stata considerata un caso di annegamento nel fiume, la sua vita dell’epoca era stata piuttosto anonima.

    Un’altra immagine che l’aveva accompagnata per più di trent’anni era quella dello sceriffo che la informava dell’incidente. Immagini e fotografie orribili si susseguirono nella sua mente, chiare e limpide, come se risalissero al giorno precedente.

    Era a casa da sola, a lavorare ad un progetto di classe. I genitori dovevano rientrare con Starla, ma erano in ritardo. Quando bevevano erano sempre in ritardo. A sua insaputa, mentre era seduta a fare i compiti, la polizia stava dragando il fiume Sacramento con rampini uncinati a un quarto di miglio oltre l’argine. Avevano ritrovato la vecchia Sedan famigliare sul fondo del fiume, tra i detriti, a quasi sei metri d’acqua dalla superficie. La sua mamma e il suo papà, con ancora le cinture di sicurezza allacciate, probabilmente erano annegati in fretta, essendo intossicati al punto da non rendersi neppure conto che stavano inalando l’acqua del fiume invece che aria. I sommozzatori avevano ritrovato la piccola Starla che galleggiava con gli occhi sbarrati nella sacca d’aria formatasi nell’abitacolo.

    «Sorellina», disse Sara rivolta alla lapide. «Sei stata la mia stella guida durante tutti questi anni». Afferrò altri ramoscelli e foglie secche e li gettò da parte senza badarci verso le lapidi dei genitori. Le punte delle dita si erano arrossate ed erano intorpidite. L’enorme albero lì accanto era poco più che un arbusto quando Sara aveva sepolto la sua famiglia. Sedette con le gambe incrociate sull’erba fredda e osservò di nuovo il nome di Starla. La nebbia iniziava ad infittirsi con il crepuscolo.

    «Ho imparato qualcos’altro», disse. «Non eravamo piccola feccia dalla pelle bianca come ci chiamavano». Avrebbe desiderato poter parlare con sua sorella, come quando giocavano e scherzavano da giovani. I ricordi scorrevano nella sua mente rimescolando i pensieri.

    «Oggi è San Valentino».

    Sara ricordava quella particolare vacanza, nient’altro che una gara tra chi riceveva più letterine di auguri tra i compagni di classe. Lei era fortunata se ne riceveva uno o due. Alla piccola e vivace Starla non era stato concesso neppure di scoprire quanto sarebbe stata popolare.

    «Adesso il tuo nome è famoso».

    Chiuse gli occhi per un po’, poi finalmente li riaprì. «Mandy è morta», disse piano. «Ma tu avrai visto tutto da lassù, non è vero?»

    Sara fu scossa da un brivido e si strinse nella giacca. La brezza le frustava i capelli avvolgendoli intorno al collo. Quando alzò lo sguardo non riuscì più a vedere le incisioni nelle lapidi sulla fila davanti, tanto si era fatta densa la foschia bianca.

    Ricordava la nebbia della valle centrale della California. Il nome scientifico era nebbia di avvezione, ma la gente del posto la chiamava la nebbia di tule. Il fenomeno atmosferico generava nella Valle di San Joaquin. Le piogge e l’irrigazione saturavano l’area agricola e quando una massa d’aria fredda invernale invadeva la valle, l’umidità presente nell’aria diventava più densa e si trasformava in nebbia. La vasta coperta bianca poteva coprire quasi metà dello stato per intere giornate. In certe annate la nebbia durava fino a primavera inoltrata.

    Sara serrò la mascella al ricordo. Aver vissuto in Porto Rico negli ultimi trent’anni non aveva scalfito i ricordi. La nebbia di tule aveva sicuramente reso cieco suo padre già ubriaco e l’auto che procedeva veloce era volata oltre il margine della carreggiata a sud della città di Ryde.

    Si alzò in piedi, poi si piegò di nuovo per spostare altri piccoli detriti dalla tomba di Starla verso quella dei genitori. Afferrò un rametto affusolato di fronte alla sua lapide e lo lanciò insieme agli altri. Quando c’è la nebbia non è sicuro viaggiare per strada di notte.

    «Tornerò», disse.

    Quando si voltò per andarsene, scoprì che il suo SUV bianco era stato completamente inghiottito dalla nebbia. Camminò con cautela nella direzione dove ricordava di aver parcheggiato, le braccia tese in avanti per farsi strada. Quando raggiunse uno sprazzo di visibilità si accorse di aver camminato ben oltre il parcheggio.

    Capitolo 3

    Sara guidava con cautela verso casa. Quando la debbia si spalmava sull’Interstatale 5, nella Central Valley, poteva facilmente causare un tamponamento a catena. Al momento la visibilità era inferiore ai quindici metri.

    Si sporse in avanti per vedere attraverso il parabrezza, poi rallentò, credendo di aver raggiunto il punto in cui doveva svoltare, ma solo per rendersi conto che per poco non aveva svoltato in un fosso.

    «I riflettori», protestò frustrata. «Dove sono quei...?»

    La nebbia si disperse momentaneamente. Le deboli sagome delle lapidi nel vecchio e semi abbandonato cimitero Franklin le apparvero nella luce della sera che andava spegnendosi. Il respiro si fece più leggero; sapeva di aver imboccato la strada corretta.

    Una luce apparve propagandosi in varie direzioni. Continuò a proseguire. C’erano almeno tre persone che camminavano lungo la strada, ridendo a saltando sull’asfalto, infischiandosene del rischio che correvano nel caso fosse sopraggiunta un’auto in velocita. Si fermò per evitare di investirli, quando saltarono nel cono di luce dei fari. Erano adolescenti. Se ne andavano in giro spensierati per il quartiere e non mancarono di lanciare uno sguardo attraverso il finestrino del passeggero, ululando come spiriti ad Halloween. Il tizzone rosso di una sigaretta disegnò un ampio arco prima di cascare a terra e a quel punto Sara accelerò per andarsene.

    Poco dopo una strana ombra le comparve davanti all’improvviso. 

    «Attento!» gridò, affondando il piede sul freno mentre un uomo attraversava la strada a pochi metri dal cofano dell’auto. Sara suonò il clacson a lungo. Il SUV andò in testa coda e Sara percepì le ruote anteriori perdere completamente aderenza all’asfalto.

    L’immagine dell’uomo era sbucata fuori dalla nebbia, investita dai fari per poi scomparire di nuovo nell’oscurità. Dopo una manciata di secondi, un volto si materializzò oltre il finestrino del lato autista, la foschia gli dava un aspetto spettrale, con la bocca e gli occhi sbarrati in uno sguardo perforante. Sara non riuscì a trattenere un urlo. Il suo ginocchio sbatté con forza contro il volante quando sobbalzò sul sedile di guida. Il volto si avvicinò ulteriormente.

    Dall’oscurità giunse la voce di un uomo che gridò: «Ehi! Deve uscire da lì!»

    Il vecchio si allontanò trascinando qualcosa per un manico, forse una zappa, o una pala; poi la nebbia lo avvolse completamente, cancellandone ogni traccia.

    Sara aveva ancora in testa il suono degli pneumatici che sollevavano la ghiaia. «Bene! Proprio fantastico. E adesso da che parte stavo andando?»

    Qualcuno bussò sul finestrino posteriore facendola sussultare di nuovo. Il cono di luce di una torcia mulinò all’interno dell’abitacolo. Erano gli adolescenti che aveva superato poco prima. Uno si materializzò in fianco al finestrino dell’autista e vi bussò. «Ehi, tutto ok?» fece il ragazzo. Quando abbassò il finestrino riuscì a sentire l’odore di marijuana che usciva dalla sua bocca. «Va bene», continuò lui. «Ti rimettiamo in strada».

    Sara fece un sospiro di sollievo quando i ragazzi usando le loro torce elettriche si posizionarono sul lato destro della carreggiata. Prestando attenzione, uno di loro le indicò quanto doveva procedere in retromarcia per poi bussare al finestrino facendole segno di fermarsi.

    Quando capì che le ruote erano di nuovo sull’asfalto, gridò fuori dal finestrino «Grazie! Vi ringrazio, davvero».

    «Ehi», fece il ragazzo. Il suo viso sembrava molto meno minaccioso quando si avvicinò nuovamente. «Quello là è Ike il pazzo. Un tipo a cui piace scavare nei cimiteri».

    «E mandare la gente fuori strada», aggiunse Sara. «Scava nei cimiteri?»

    «Sì, è abbastanza bizzarro», fece il ragazzo. Anche gli altri si avvicinarono rimanendogli alle spalle. «Questo cimitero non è più molto utilizzato».

    «Ha un cane terribile», disse una ragazza dal gruppo. «Una piccola

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1