Storie
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Anteprima del libro
Storie - Antonio Siclari
Siclari
Storie
Antonio Siclari
978-88-31682-31-2 - Storie
© 2020 Antonio Siclari
La riproduzione, anche solo parziale, di questo testo, a mezzo copie fotostatiche o con altri strumenti, senza l’esplicita autorizzazione dell’Autore, costituisce reato e come tale sarà perseguitato.
Questo libro è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono il prodotto dell’immaginazione dell’autore o usati in chiave romanzesca e qualsiasi somiglianza con fatti, località o persone reali, esistite o esistenti, è puramente casuale.
1 edizione – giugno 2020
Il cielo è una tavola azzurra
che culla i miei pensieri.
La gioia e la serenità
nascono da greggi di pecorelle
che vagano senza padrone
ed i miei pensieri volano,
sulle forme di nuvole di cotone.
(Federica Musicò)
Per Martina e Giulia,
con tutto il mio amore
L’ultima spiaggia
Nella stanza regna il silenzio ed ormai, dopo tre mesi, mi sono abituato a questo tipo di compagnia cinica.
Oggi deve essere una bellissima giornata, lo posso capire dalle miriadi di raggi finissimi che penetrano dalla finestra della mia stanza d’ospedale. La luce del sole rende ancora più bianche queste stupide mura dentro le quali sono rinchiuso da novanta giorni senza speranza, senza futuro, senza sogni da realizzare. Posso solo fantasticare e viaggiare con la mia mente in luoghi che prima nemmeno avrei pensato, che nemmeno avrei considerato, ma solo ora posso capire come possano essere importanti le piccole cose della vita, la mia inutile, forse, vita.
Entra l’infermiera. Mi solleva il braccio e infilza nella mia pelle, diventata ormai insensibile, una flebo. Ho già perso il conto di quante me ne abbiano fatte, non so neanche cosa mi ci mettano dentro questo corpo che ormai non mi appartiene, che sento come una piuma. Sono dimagrito tantissimi chili, non ne conosco l’esattezza, ma credo siano davvero tanti. L’infermiera ha finito, ora se ne andrà e mi lascerà nuovamente da solo con me stesso e con la flebo che inietta il suo veleno che deve distruggere l’altro veleno, quello che è in me.
La vita in questo ospedale è impossibile per un uomo, specialmente per uno come me, abituato a tutti gli svaghi che la vita possa offrire, per uno come me che ha i soldi ma che ora non sa che farsene, perché in questi casi non servono.
La mia è una normale camera d’ospedale: un letto, il televisore, un bagno e una piccola scrivania per scrivere quelle poche lettere quando ne ho la forza.
Nel lungo corridoio, troppo silenzioso, le porte sono tutte contrassegnate con un cartellino rosso, d’allarme, in quelle camere non regna un uomo, regna l’Aids. E io muoio giorno dopo giorno senza sapere il perché.
Ho sempre visto la vita con occhi molto diversi da ora. La gente cambia solo in determinate circostanze; io l’ho fatto perché adesso ho solo da perdere la mia piccola vita. Ho capito tantissime cose del mio passaggio terreno in questa circostanza, d’altronde, in questa stanza così luminosa e silenziosa, c’è tempo solo per pensare e continuare a frustrarsi da soli senza che nessuno ti ascolti, qui puoi udire solo i passi delle infermiere o deboli lamenti degli altri ammalati.
Ho capito la superficialità della mia vita passata, le mie azioni senza senso, tutto quello che facevo era senza senso e senza scopo, vivevo una vita banale senza preoccuparmi né degli altri né del futuro di me stesso.
Come ho detto prima, i soldi non mi sono mai mancati, grazie alla fortuna di essere nato in una delle famiglie più agiate della città. Mia madre oltre ad aver ereditato una cospicua parte di eredità da mio nonno, esercitava la professione di notaio, mentre mio padre era direttore di un’importante banca. Io ero l’unico figlio ad essere nato dalla loro unione. Il bene che mi volevano e che ancora mi vogliono, è assolutamente morboso. Ero sempre accontentato, bastava che aprissi bocca per far sì che quello che io desideravo diventasse realtà.
Ho sempre avuto un rapporto intimo col denaro, naturalmente perché l’avevo, ma amavo spenderlo, comprare, divertirmi, facevo tutto in fretta, come diceva sempre mia madre, forse, inconsciamente, prevenivo che non avrei vissuto abbastanza da fare tutto nel modo più calmo.
Ecco che ritorna il dolore. Sento il mio corpo leggero ma nello stesso tempo pesante come una roccia. La testa va per i fatti suoi, non ne vuol sapere di stare ferma e lasciarmi in pace. Devo cercare di stare calmo altrimenti tutto peggiora e l’infermiera con la mascherina non impiegherà che un secondo ad entrare e iniettarmi un calmante ed io non voglio questo. Ce la posso fare, lo so.
Il silenzio è sempre più pesante, si ingigantisce e mi schiaccia. Ho sempre odiato il silenzio, la monotonia e, adesso, devo imparare a convivere con essi. Non pensavo minimamente di fare questa fine! Giro il capo lentamente verso il box di vetro che è alla mia destra. Tra poco sarà l’ora delle visite. Certamente verranno mia madre e mio padre per primi, forse anche per ultimi. In questo periodo, le uniche visite che ricevo sono quelle dei miei genitori. Sono le uniche persone al mondo che ti restano vicine in tutte le circostanze. Dovevo arrivare al punto di morire per capirlo. All’inizio, ho ricevuto anche la visita di qualche amico e parente, ma a poco a poco si sono disintegrati nel nulla, non ho nemmeno loro notizie. Erano le persone che prima stavano giorno e notte con me, mi seguivano in capo al mondo. Ma non era me che loro vantavano e volevano, erano i miei stupidi soldi, i miei dannati e sporchi soldi, quei pezzi di carta che fanno girare il mondo: credevo fosse l’amore a farlo! E che dire delle mie varie relazioni sentimentali! All’epoca mi sentivo inondare dall’orgoglio ogni qualvolta riuscivo a portarmi a letto una ragazza. Pensavo a quanto fossi figo, ma io avevo quante ragazze volessi solo perché erano affascinate dal mio mondo d’oro, ed ora, riflettendo profondamente, credo che io non sia stato mai in grado di conquistare veramente una ragazza per quello che ero, per quello che era Massimo. Massimo non era niente, oggi, ancora di più.
Squilla il citofonino posto sul mio comodino. Apro gli occhi lentamente, quasi assopito. Un’occhiata all’orologio e noto che sono le cinque del pomeriggio. E’ l’orario delle visite. Mi volto a destra e la figura dei miei genitori è nitida. Mia madre è sempre elegantissima quando viene a trovarmi, lo