La notte delle follie: Harmony Collezione
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Catherine Spencer
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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La notte delle follie - Catherine Spencer
successivo.
1
Edmund la notò non appena lei entrò nella sala da pranzo. Non per la sua bellezza, che pure era notevole, ma perché in una sala gremita di gente appariva profondamente sola.
Anche lui era solo, ma ne era contento.
Non si poteva dire lo stessa cosa di lei. Gli occhi che fissavano il menu erano assenti, il viso privo di qualsiasi espressione. Per qualche ragione misteriosa, era così assorta nei propri pensieri che forse, se l'albergo avesse preso fuoco, non se ne sarebbe accorta.
Non ti riguarda, si disse Edmund facendo cenno al cameriere di portargli il conto. Hai abbastanza problemi per conto tuo, senza doverti addossare quelli di una perfetta sconosciuta.
Tuttavia si attardò al proprio tavolo, prendendo nota di alcuni particolari della donna.
Non portava anelli. L'intricata pettinatura da cerimonia era in stridente contrasto con la felpa e i pantaloni di tela.
Mentre parlava al cameriere teneva una mano appoggiata sul mento, come per fermarne in qualche modo il tremore.
Non c'erano dubbi: qualcosa non andava.
E lo sapeva anche il cameriere. Evitava di guardarla negli occhi, non le spiegava il menu con il solito sussiego e sembrava ansioso di allontanarsi da lei, prima che qualche strano virus lo contagiasse. L'evidente sconforto di quella sconosciuta era un affronto all'albergo, il cui slogan era ambiente romantico e non donne sull'orlo di una crisi di nervi!
Lei alzò la testa e il suo sguardo spaventato incontrò per un attimo gli occhi di Edmund, che si ritrovò suo malgrado a sorridere con fare cospiratorio.
Non lasciarti abbattere, dolcezza, sembrava dirle, hai diritto di stare qui come chiunque altro.
Lei si raddrizzò sulla sedia e tornò a fissare il vuoto, impettita.
Edmund non poté fare a meno di ammirare il suo spirito. Le donne che era solito frequentare affrontavano i momenti di crisi rifugiandosi sul lettino dell'analista o in una beauty farm, dove per qualche migliaio di dollari stress e cellulite sparivano con un unico colpo di spugna.
Ma non quella donna. Sembrava un tipo battagliero, di quelli che affrontano i propri guai lottando.
Almeno finché non arrivò il suo drink. Se gli occhi non lo tradivano era scotch, per giunta doppio. Lei fissò il bicchiere per qualche minuto con l'aria sospettosa di un bambino messo di fronte a una medicina disgustosa, ma, a detta di tutti, efficace.
Edmund al contrario non la considerava una buona idea. Cercando di catturare di nuovo lo sguardo di lei, scosse la testa. Non farlo! Non risolverai niente!
Se mai aveva posseduto qualche potere medianico, quella volta fallì, perché lei alzò il bicchiere e ingollò metà del contenuto in un solo sorso.
Era chiaro dal modo in cui prese a tossire che lei e i superalcolici non andavano d'accordo, e l'effetto fu immediato e devastante. Il liquido bruciante sembrò sciogliere la cortina di ghiaccio dietro la quale si era rifugiata fino a quel momento e grossi lacrimoni scesero a rigarle le guance.
Deglutì più volte, cercando di riguadagnare un po' di compostezza, ma il danno era fatto e, una volta libere, le lacrime presero a scorrere come un torrente in piena e il suo corpo fu scosso dai singhiozzi.
Edmund rimase interdetto. Non aveva molta simpatia per le lacrime femminili, ma non poteva nemmeno starsene lì seduto a guardarla senza fare nulla. Il resto dei presenti non avrebbe mosso un dito, ne era certo.
«Metta il drink della signora sul mio conto» ordinò al cameriere, e alzandosi si diresse verso di lei.
Stava dando spettacolo! Dopo tutte le sofferenze che aveva patito quel giorno, questa era davvero l'umiliazione finale. Ma fermare quelle stupide lacrime andava al di là delle sue forze, e i rumorosi singhiozzi non potevano sfuggire a nessuno.
Anche se troppo cortesi per fissarla apertamente, tutti i presenti le lanciavano rapide occhiate, dal ragazzino alla sua destra, all'uomo seduto due tavoli più in là, quello che poco prima aveva cercato di tirarla su con un sorriso mellifluo e un'alzata delle poderose spalle.
Verme! Se non fosse che stava annegando nel proprio fazzoletto, l'avrebbe volentieri fulminato con lo sguardo. Come minimo lui le avrebbe pagato il conto e proposto di andare ad ammirare il tramonto!
E una parte di te lo vorrebbe, sussurrò una vocina nella sua mente. Qualunque uomo che ti dedicasse anche solo un minuto di pietà sarebbe meglio del rifiuto di questa mattina.
Jenna lo vide con la coda dell'occhio mormorare qualcosa al cameriere, poi alzarsi e passarle accanto, evidentemente ansioso di sfuggire a sua volta a quella penosa scenata.
I singhiozzi della donna aumentarono.
Un attimo dopo però, una mano, calda, ferma e senza dubbio maschile, le toccò la spalla, scese lungo la schiena e la invitò ad alzarsi. Poi una voce profonda e autoritaria le sussurrò all'orecchio.
«D'accordo, dolcezza, basta così. Che ne dici di continuare lo show fuori di qui?»
Dolcezza... Avrebbe dovuto offendersi per quella confidenza, e in condizioni normali l'avrebbe insultato senza pensarci due volte.
Da quella mattina, però, lei non era più la stessa. In quel momento lui era l'unico aiuto che aveva e quando le offrì il braccio, anziché respingerlo seccata, Jenna vi si aggrappò come un naufrago al tronco che galleggia sui flutti.
Fuori, la brezza fresca della sera le sferzò il viso e le restituì un po' di lucidità. «Grazie» borbottò, ma la sua gola era ancora così chiusa dalle lacrime che ne uscì un suono simile a un ras-sie.
«Prego» tagliò corto lui, guidandola giù per le scale dell'ingresso. «Resisti fino alla spiaggia. Lì ci saranno solo i gabbiani a sentirti, e saranno così impegnati nelle loro strida che non si accorgeranno nemmeno di te.»
Attraversando una vasta striscia di sabbia bianca, raggiunsero la battigia deserta. Due ragazzi con un cane si distinguevano appena, molto lontano da lì. Se non fosse stato per l'uomo silenzioso a qualche metro da lei, Jenna avrebbe creduto di essere sola.
Poteva urlare fino allo sfinimento, ma a cosa le sarebbe servito, in fondo?
Gli si avvicinò e camminò al suo fianco, grata che lui non sentisse il bisogno di rompere il silenzio con qualche vuota frase di circostanza. Al contrario, fissò lo sguardo verso il sole morente, le mani in tasca, e rallentò il passo per adattarlo a quello di lei.
A poco a poco le lacrime si asciugarono e il groppo che Jenna si portava in gola da quella mattina si sciolse insieme all'aria salmastra di quella sera di maggio.
«Grazie» ripeté a quel punto. «Non so cosa avrei fatto senza il tuo intervento.»
Lui annuì. «Sono lieto di essere stato d'aiuto. Vuoi parlarne?»
«Io... no. Non credo.»
«Sono un buon ascoltatore.»
«Ho fatto un errore, ecco tutto.»
Lui alzò le spalle con noncuranza. «Quindi sei fallibile come tutti noi. Non fartene una colpa.»
«Un errore enorme» puntualizzò lei.
«C'è sempre una soluzione, in un modo o nell'altro.»
«Non questa volta.»
Lui le lanciò un'occhiata prima di tornare con lo sguardo all'orizzonte incendiato dagli ultimi raggi del sole. «È così grave? Hai ucciso qualcuno?»
Non fu una domanda felice.
«Avrei dovuto!» ribatté lei in tono impetuoso. «Se avessi avuto una pistola, l'avrei fatto!»
«Oh-oh!»
Lei si voltò a guardarlo di scatto. «E questo che cosa significa?»
«Quando una donna reagisce in questo modo a una semplice domanda ipotetica significa che o si tratta di un uomo, oppure è psicotica. Se la seconda ipotesi fosse quella giusta, ti saresti avventata sul cameriere col coltello in pugno. Invece hai cercato di fare buon viso a cattivo gioco... e ce l'avresti fatta se non avessi bevuto lo scotch.»
«Non sono un'alcolizzata» replicò lei indispettita. «Almeno non di solito. Ma questa sera...»
«Questa sera avevi bisogno di qualcosa che attutisse il dolore.»
«Sì.»
«Quindi si tratta di un uomo?»
«Sì.»
«Ne deduco che la vostra... relazione sia finita e che sia stato lui a terminarla.»
«Già.» Le sfuggì un singhiozzo così disperato che sembrò privarla di tutta l'energia rimasta.
Lui si voltò a guardarla e la studiò con occhio critico. «Anche se hai il viso arrossato e gli occhi gonfi di lacrime, sei una donna graziosa. Direi bella, anzi. Non dovresti avere difficoltà a trovare un uomo. Come mai ti sei legata a un cretino?»
Jenna ripensò agli occhi scuri di Mark, così diversi da quelli di un blu penetrante dell'uomo che le stava di fronte. Riandò con la mente al sorriso da ragazzino di Mark, insolitamente infantile per un finanziere del suo calibro.
«Mi sono innamorata di lui» spiegò alla fine con voce rotta.
«Molto più di quanto si possa dire di lui, mi pare! Se vuoi la mia opinione, hai fatto un vero affare, perdendolo.»
«Non mi serve la tua opinione!» sbottò lei. Aveva sopportato abbastanza quel giorno, senza che quel... quell'individuo le facesse stupide ramanzine e le offrisse un cerotto quando le sanguinava il cuore!
«Credevo che un pizzico di buonsenso potesse aiutarti, ma se preferisci annegare nel tuo mare di miseria...» Alzò le spalle con tale lentezza ed enfasi che non dovette nemmeno finire la frase.
In un lampo, però, Jenna si vide con gli occhi di lui, e non era una bella immagine. Una donna isterica e piangente, che ingollava un doppio scotch e perdeva il controllo in una sala gremita di gente, non era nella posizione di prendersela con l'unica persona che le avesse offerto un po' di comprensione.
«Sono stata abbandonata all'altare» confessò sentendo il dolore e il senso di vuoto riemergere con tutta la loro forza devastante.
«Quando?»
«Questa mattina.»
«Accidenti!» Lui emise un breve fischio. «Non mi meraviglia che tu sia in questo stato.»
«Forse. Ma questo non mi dà il diritto di essere scortese con te o di approfittare del tuo tempo. Di sicuro nei tuoi progetti per la serata non rientrava la necessità di fare da balia a una sposa abbandonata.» Jenna raddrizzò le spalle e fece del suo meglio per apparire controllata e in grado di reggersi sulle proprie gambe. «Per favore, non sentirti in dovere di stare qui assieme a me. Starò benissimo da sola.» Ma il recente pianto rese la sua voce più tremula di quanto avesse voluto.
«Sciocchezze!» replicò lui con decisione. «Sei stata piantata nel giorno che sarebbe dovuto essere il più felice della tua vita, e non dovresti rimanere sola. Ci sarà pur qualcuno, un familiare, un amico, che possa venire a tenerti compagnia, no?»
«No! Non voglio che... che si sappia dove sono.»
Lui fece un passo indietro e la guardò stupito. «Mi stai dicendo che dopo essere stata piantata in asso in quel modo, sei semplicemente scomparsa avvertire nessuno?»
«Proprio così» gli confermò Jenna reggendo il suo sguardo in una posa di sfida.
«Ma... la tua famiglia, gli amici? Saranno preoccupati. Oppure non ti è sembrato importante?»
Quel tono di critica le causò un breve senso di colpa, però al contempo la mise sulla difensiva. «Che cosa avresti fatto al mio posto? Avresti invitato tutti gli ospiti al ricevimento per piangere sulla spalla di ognuno?»
Lui alzò gli occhi al cielo. «Sei sempre così... eccessiva? Non potevi trovare una semplice via di mezzo mostrando un po' di considerazione per i