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Il mio baby sitter milionario: Harmony Jolly
Il mio baby sitter milionario: Harmony Jolly
Il mio baby sitter milionario: Harmony Jolly
E-book171 pagine2 ore

Il mio baby sitter milionario: Harmony Jolly

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Info su questo ebook

Ora stiamo oltrepassando ogni limite! Daniel Riverton si è trasferito da poco nell'appartamento di un amico, perché il suo attico sta subendo l'ennesima ristrutturazione, ma mai avrebbe immaginato che si sarebbe dovuto confrontare con il caos costante e continuo che arriva dall'appartamento sopra il suo: urla, strepiti, scalpiccio di piedini che corrono dappertutto... Ha già telefonato una volta per lamentarsi e la voce sensuale che gli ha risposto gli aveva assicurato che la cosa non si sarebbe ripetuta. Ma ora il tonfo pesante che ha appena sentito non presagisce nulla di buono. Sarà il caso che vada a controllare? Se fosse successo qualcosa? Al massimo aiuterò la persona a cui appartiene quella voce da urlo a mettersi a letto.
LinguaItaliano
Data di uscita10 mag 2019
ISBN9788858997390
Il mio baby sitter milionario: Harmony Jolly
Autore

Cara Colter

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Il mio baby sitter milionario - Cara Colter

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Rescued by the Millionaire

    Harlequin Mills & Boon Romance

    © 2014 Cara Colter

    Traduzione di Alessia Di Giovanni

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2015 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5899-739-0

    1

    Uno scalpiccio di piedini.

    Daniel Riverton era steso sul sofà e guardò il soffitto sbuffando, considerando affettuosa questa espressione. Sarebbe potuta benissimo uscire dalla bocca della madre che, nonostante avesse grandemente contribuito a renderlo cinico, sperava le avrebbe dato un nipotino, un giorno.

    La madre...

    Gli aveva lasciato ventidue messaggi, quel giorno.

    Chi accidente le aveva insegnato a mandarli?

    È urgente. Ti prego, chiamami. Mi stai evitando?

    Almeno quello scalpiccio di piedini lo stava distraendo dalla madre...

    Non che lui avrebbe mai usato quell’espressione con affetto. Chiunque avesse abitato nell’appartamento sotto al 602 di Harrington Place negli ultimi quattro giorni avrebbe attribuito a quel rumore un aggettivo qualsiasi fuorché tenero.

    Soprattutto alle tre del mattino, quando i padroni dei suddetti piedini avrebbero dovuto essere a letto.

    Da quanto intuiva, i bambini si erano svegliati proprio quando lui era rientrato a casa dopo una lunga giornata impegnativa trascorsa cercando di evitare le chiamate della madre e curando gli affari della sua società, la River’s Edge Enterprises. Quel giorno aveva lavorato quattordici ore, era uscito a cena con gli amici ed era tornato a casa per godersi il più semplice dei piaceri: una bella notte di sonno.

    Alle due del mattino, però, quei piccoli mostriciattoli avevano cominciato a saltare sul letto da qualche parte sopra la sua testa, così Daniel si era spostato sul sofà in salotto. Ma lo scalpiccio lo aveva seguito sin lì. Il lampadario sopra di lui, di cristalli Swarovski, stava tremando e sobbalzando in modo inquietante.

    L’amministratrice condominiale, la signora Bulittle, non aveva gradito le sue lamentele.

    «Sì, signor Riverton, è un edificio solo per adulti, ma agli inquilini è permesso ricevere dei bambini in visita.»

    Il tutto pronunciato quasi come se fosse lui lo scocciatore, anziché la vittima di quel chiasso; come se avesse detto che nessuno al mondo dovesse aver figli, tanto meno godersi il proprio appartamento o avere ospiti minorenni.

    Ospiti temporanei, grazie al cielo. Harrington Place era un vecchio edificio, circondato da lillà e inserito in un quartiere non particolarmente suggestivo. Ciononostante risultava in una posizione molto ricercata nella Calgary sudoccidentale, proprio sopra il basso monte Royal.

    Dall’edificio, risalente agli anni Settanta, erano stati ricavati degli appartamenti ed evidentemente nessuno aveva mai pensato di insonorizzare quelle stanze.

    Ma poi era possibile proteggersi da quel chiasso?

    Scacciò quella domanda. A caval donato non si guarda in bocca, ricordò a se stesso. Le tre del mattino erano l’orario migliore per citare frasi scontate e guardare in bocca a cavalli donati.

    Gli era sembrato fantastico quando Kevin Wilson, il proprietario del 502, era partito per realizzare un reportage fotografico di tre mesi nello stesso momento in cui Daniel aveva cominciato a riarredare il suo loft, completamente insonorizzato.

    Inoltre voleva nascondersi da sua madre.

    Daniel era proprietario dell’edificio da cui aveva ricavato il suo loft, proprio sopra al suo ufficio, ed era l’unico inquilino in tutto il palazzo, cosa di cui sarebbe stato ancora più grato quando fosse tornato a starci.

    Si era convinto a riarredare la sua abitazione mentre frequentava Angelica, una interior design. Daniel sapeva che la loro coppia non sarebbe andata da nessuna parte e così lei. Avevano entrambi un lavoro che richiedeva tutta la loro attenzione e lo scalpiccio di piedini non rientrava certo nei loro piani, ma lui apprezzava le sue scelte in fatto di arredamento che decisamente non prevedevano lampadari di cristalli Swarovski.

    Il lavoro che Angelica stava facendo per lui era durato qualche settimana più della loro relazione. Era stata una fine affettuosa, come molte delle sue rotture.

    Quando si era lamentato per la terza volta del rumore, la signora Bulittle aveva ispirato rumorosamente col naso e aveva commentato: «Non è che il signor Wilson sia sempre stato un inquilino silenzioso...».

    Daniel era quasi sicuro di aver colto un tono compiaciuto nella sua voce, cosa possibile visto che l’amministratrice abitava proprio sotto il 502, al 402.

    Non dubitava che anche lei avesse passato qualche notte insonne, visto che proprio Daniel aveva partecipato a parecchie feste a casa di Kevin.

    Lui e Kevin sì che avevano delle vite invidiabili! Trentenni di successo, scapoli e ben decisi a restare tali. Ed entrambi grazie alle insistenze delle loro madri a mettere su famiglia.

    Daniel, dove sei andato a stare mentre sistemi il tuo loft? Non riesco a raggiungerti. È questo il modo di trattare tua madre?

    Mamma, sto bene, sono solo occupato.

    A quelle parole aggiunse due cuoricini. Gli piaceva messaggiare! Poteva fingere intimità senza essere per forza coinvolto. Per alleviare il lieve senso di colpa dovuto al fatto che la stava evitando, le mandò dei fiori, ringraziando le sue stelle fortunate perché il suo matrimonio con Pierre l’aveva fatta trasferire a Montreal. E se avesse abitato ancora a Calgary? Probabilmente si sarebbe accampata fuori del suo ufficio...

    Kevin era un fotografo famoso a livello internazionale, Daniel il capo della River’s Edge. La sua società produceva software e aveva sviluppato alcune delle migliori tecnologie usate per estrarre il petrolio di Alberta.

    Negli ultimi anni Daniel aveva applicato la sua grande ambizione e il suo spirito imprenditoriale investendo in giovani società dal grosso potenziale. Non era certo abituato a essere congedato da un’amministratrice di condominio che, non senza una certa soddisfazione, gli aveva detto: «Le darò il suo nome e il suo numero, così potrà parlare direttamente con lei».

    La lei in questione era Patricia Marsh.

    Quando Daniel l’aveva chiamata, aveva dovuto urlare per farsi udire sopra lo schiamazzo in sottofondo. Lei sembrava infastidita, esausta, e si era scusata mille volte. Le nipoti erano andate a farle vista. Venivano dall’Australia e non si erano ancora abituate al cambio di fuso orario.

    Gli aveva promesso che le cose sarebbero cambiate e aveva una di quelle meravigliose voci rauche che avrebbero ispirato fiducia in persone anche meno stremate di lui. Daniel aveva chiuso la telefonata cortesemente, più per educazione che per altro.

    Peccato che nessuna delle promesse fosse stata mantenuta e ora si dispiaceva molto del suo tono cortese.

    Era il quarto giorno, e la quarta notte, nella zona di guerra quando sopra la sua testa ci fu una tregua improvvisa. Invece di esserne sollevato, però, Daniel notò che il suo mal di testa persisteva, così come la tensione alle spalle.

    Quindi i bambini in visita stavano facendo una piccola pausa... Desiderò apprezzare quel silenzio, ci provò con tutte le sue forze. Chiuse gli occhi, smanioso di tornare a dormire.

    Doveva chiudere l’affare Bentley l’indomani, sarebbe stata la conclusione di molti mesi di duro lavoro. Doveva essere ben sveglio e rilassato. Aveva bisogno di dormire. Ma, anziché riposarsi, contemplò il silenzio con profondo sospetto, come un soldato che aspetta che ricomincino a sparare.

    Cinque minuti, poi dieci. Poi quindici. Dopo mezz’ora di beato silenzio, prese un profondo respiro e permise a se stesso di rilassarsi. Il nodo sulla fronte si sciolse leggermente, così come le spalle.

    L’indomani si sarebbe trasferito in hotel fino alla fine della visita dei bambini della sua vicina, decise. Era stato in un albergo carino vicino a Bow River, qualche anno prima, quando aveva passato una serata con un’affascinante dirigente donna. Avevano delle lussuose e tranquille suite. Al Prince Island, poi, avevano persino delle piste da jogging. Poteva correre, la mattina, prima di andare in ufficio...

    I suoi occhi si chiusero. Ah... che bello.

    Trixie Marsh aprì gli occhi di scatto e, per un attimo, sentì la totale soddisfazione di aver riposato. Poi il momento passò.

    Il suo appartamento era buio. Era seduta? Era completamente disorientata.

    Le gemelle! Non aveva più dormito bene da quando erano arrivate le nipoti di quattro anni.

    Quando Abby, sua sorella gemella, le aveva annunciato da un giorno all’altro che sarebbe venuta a farle visita, lei aveva pregustato l’idea di passare del tempo con Molly e Pauline. Aveva immaginato di dipingere e mangiare gelatine insieme alle piccole, andare al parco, raccontar loro le favole della buonanotte... Aveva intravisto la vita che aveva sempre sognato per se stessa.

    La vita che aveva condotto da piccola: circondata dalla sua famiglia e dalle risate, da un senso di sicurezza e appartenenza.

    E così era sempre stato fino a quando i suoi genitori erano morti in un incidente stradale l’anno del suo diploma. Da allora sembrava che, più inseguiva ciò che aveva avuto una volta, più il passato si appannava come un’immagine sfocata.

    Le nipoti, infatti, preferivano scarabocchiare sulle pareti di casa sua, sulla faccia delle persone... e sul musetto del suo gatto. E sì, a loro piaceva mangiare le gelatine ma anche lanciarsele da una parte all’altra dell’appartamento.

    Inoltre non la ascoltavano mai, stavano sveglie tutta la notte e l’uomo che abitava sotto di lei... non era quel Daniel Riverton, vero?... si era lamentato del baccano. Con una voce così sexy che le aveva fatto sobbalzare il cuore...

    «Basta!» si disse e la parola risuonò per la stanza, visto che era notte e il suo appartamento in quel momento era silenzioso.

    Le sembrava di avere qualcosa in bocca. Come se Freddy, il suo gatto persiano a pelo lungo, si fosse rannicchiato vicino alla sua faccia. Lo spostò.

    Fu allora che si accorse di essere in trappola.

    Non muoveva le braccia. E neppure le gambe.

    Improvvisamente la investì un’ondata di panico.

    «Zia» le aveva detto Molly, volgendo gli enormi occhi castani nella sua direzione. «Questo è il nostro gioco preferito. Nostra mamma ci permette sempre di farlo. Tu ti siedi sulla sedia e io e Pauline ti giriamo intorno legandoti con la carta igienica.»

    Le era sembrato un gioco abbastanza innocuo. E anche calmo. Quello che non aveva previsto era l’effetto ipnotico delle nipoti che si muovevano silenziosamente e concentratissime attorno a lei, la lingua tra i denti.

    Quello che non aveva previsto era il livello della sua stanchezza, il sollievo dato da quel lieve momento di pausa e che un materiale così morbido potesse stringere come l’acciaio. Non c’era solo carta igienica. Sentiva come se le avessero infilato anche del cotone in bocca.

    Cercò di alzarsi, in ansia.

    Niente: era legata alla sedia.

    Infinite ipotesi cominciarono ad attraversarle la mente. E nessuna aveva un lieto fine. Sarebbe morta. Lo sapeva. Tutta la sua vita le passò davanti agli occhi: lei e Abby che crescevano con i loro abiti abbinati, che aprivano regali di Natale sotto l’albero, che cucinavano i biscotti con la loro madre, al cottage... e poi qualcuno che bussava alla porta.

    Mi dispiace, è successo un incidente.

    Poi Abby che si sposava e si

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