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Illusioni nella notte (eLit): eLit
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Illusioni nella notte (eLit): eLit
E-book301 pagine4 ore

Illusioni nella notte (eLit): eLit

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Info su questo ebook

Wings in the night 3
Signore delle ombre,
padrone delle illusioni
schiavo di una passione fatale...


Bionda e delicata d'aspetto, ma in realtà di carattere forte e determinato, Shannon Mallory è alle prese con un caso difficile e doloroso: il brutale omicidio di Tawny, la sua migliore amica. Le modalità fanno pensare a un maniaco che si atteggia a vampiro, e tutti gli indizi portano a Damien Namtar, illusionista di fama mondiale che tuttavia si rivela ben presto il principale alleato della giovane investigatrice privata. Sempre più uniti da un sentimento di cui non vogliono ammettere l’esistenza, i due si troveranno ad affrontare una minaccia mortale che giunge dal passato di Damien, dalla sua ricerca dell’immortalità, quando ancora il mondo era giovane.
LinguaItaliano
Data di uscita29 giu 2018
ISBN9788858988701
Illusioni nella notte (eLit): eLit
Autore

Maggie Shayne

RITA Award winning, New York Times bestselling author Maggie Shayne has published over 50 novels, including mini-series Wings in the Night (vampires), Secrets of Shadow Falls (suspense) and The Portal (witchcraft). A Wiccan High Priestess, tarot reader, advice columnist and former soap opera writer, Maggie lives in Cortland County, NY, with soulmate Lance and their furry family.

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    Anteprima del libro

    Illusioni nella notte (eLit) - Maggie Shayne

    Titolo originale dell'edizione in lingua inglese:

    Twilight Illusions

    Silhouette Shadows

    © 1994 Margaret Benson

    Traduzione di Gigliola Foglia

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    © 2009 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5898-870-1

    1

    È una vecchia storia,

    una che può ancora essere raccontata,

    su un uomo che ha amato

    e perduto...

    Shannon prendeva appunti, maledicendo in cuor suo la pila da lettura, decisamente poco efficace quando si doveva scrivere nel bel mezzo di un teatro buio come la pece. Imprecò contro i braccioli dei sedili, scomodissimi e troppo stretti per reggere il bloc-notes, soprattutto quando i due deficienti seduti di fianco a lei sembravano convinti di avere diritti esclusivi su di essi. Sospirò, spinse via l’avambraccio carnoso alla propria sinistra e sibilò: «Le dispiace? Sto cercando di lavorare».

    La rabbia andava bene. Avrebbe distolto la sua mente dalle immagini che vi erano impresse a fuoco. Tawny, con capelli e occhi castani che si addicevano al suo nome, un viso da bambola di porcellana e un sorriso capace di rischiarare una stanza. I suoi sogni di diventare una stella, il suo modo troppo drammatico di esprimersi, il suo animo temerario, la sua caparbietà... Shannon voleva ricordare la vivace attrice in ascesa di giorno, call girl di notte, la migliore amica di sempre, non il pallido corpo nudo riverso sulle lenzuola stazzonate con gli arti spalancati e lo sguardo fisso e vacuo. Non i due rivoli gemelli di sangue scarlatto, sottili come tela di ragno, che serpeggiavano sul suo collo bianco come carta.

    Il tipo nella poltroncina accanto borbottò e si scostò il più possibile da lei. Shannon continuò a scrivere, solo vagamente consapevole dell’applauso che dilagava, del suo graduale acquietarsi, del senso di aspettativa nella folla. La profonda, melodica voce dell’uomo al centro del palco annunciò che avrebbe avuto bisogno di un volontario dal pubblico. Un improvviso tramestio e le offerte chiassosamente espresse dalle spettatrici la distrassero solo un istante, prima che regolasse la fioca luce da lettura e continuasse a scrivere.

    Le donne qui stanno praticamente sbavando. Sarebbe facile per lui attirarne una ovunque volesse. Ma ancora nessuno ha saputo dirmi dov’era lui la notte di mercoledì scorso...

    La penna si bloccò sul notes e una nube d’aria gelida parve avvilupparla. Alzò lo sguardo e fissò un punto della sala, a tre sedili di distanza. Lui era lì, un’alta sagoma in ombra avvolta in satin nero. Un istante più tardi l’occhio di bue lo raggiunse, illuminandogli i capelli fino a trarne riflessi blu e facendo apparire la sua pelle d’avorio ancor più pallida. Il suo braccio era steso, la mano allungata verso di lei. E i suoi occhi, enormi e tondi come quelli di un gufo, che parevano contenere la saggezza degli dei e il dolore di mille inferni, si misero a fuoco su di lei, tenendola prigioniera.

    «Lei, signorina.»

    Shannon desiderò che il cuore smettesse di galoppare. Non c’era ancora uno straccio di prova che quell’uomo fosse un perverso assassino. Soltanto una serie di curiose coincidenze e i suoi personali sospetti. «Io cosa?»

    Le labbra di lui si incurvarono verso l’alto. Il suo sguardo cadde sul blocco per appunti, la luce da lettura e la penna con cui lei si era giostrata per tutta la sera, poi si sollevò di nuovo verso gli occhi di lei. «Qual è il suo nome?»

    «Sha... Shannon, ma io...»

    «Un applauso per l’adorabile Shannon, la nostra coraggiosa volontaria!»

    Lo disse a voce alta, indicando la giovane donna con uno svolazzo della mano e un incresparsi del mantello lucido. L’occhio di bue gli obbedì, immergendola all’istante in una pozza di lucentezza al calor bianco che tuttavia non riuscì a scacciare il gelo minaccioso che la pervadeva. Shannon strizzò gli occhi mentre l’applauso si gonfiava. La mano di lui si chiuse sulla sua, grande, calda, dura. La tirò, neanche troppo gentilmente. Bloc-notes, pila, borsetta, tutto quanto rovinò a terra mentre lei veniva trascinata in piedi.

    Diede uno strattone per liberare la mano, ma la presa di lui era salda come il miglior paio di manette mai inventato. La tirò su, al suo fianco. Le proteste di Shannon si persero nel rumoreggiare della folla e della musica d’accompagnamento. L’uomo la trascinò su per i gradini all’estrema destra della sala e poi sul palcoscenico. Lei poteva combatterlo e fare la figura dell’idiota, oppure fare buon viso a cattiva sorte. Decise per la seconda opzione, pur pensando che avrebbe voluto dare un bel calcio all’ego sovradimensionato di quel bastardo vanesio.

    Lui la guardò negli occhi, e di nuovo le sue labbra si incurvarono in un qualcosa che non arrivò al punto di qualificarsi come un sorriso. Era piuttosto il genere di espressione da Io so che cosa stai pensando e lo trovo divertente.

    Lei gli scoccò un’occhiataccia, sostituendo mentalmente i suoi occhi neri con quelli castano dorato di Tawny... spalancati, vitrei, per sempre ciechi.

    La presa di lui sul suo polso si allentò. La guardò accigliato e la sua mano scivolò a serrare quella di Shannon. Si fermarono al centro del palco. Dietro di loro, un tendaggio di velluto rosso si sollevò silenzioso come un fantasma. Shannon lanciò un’occhiata alle proprie spalle e vide una lastra di vetro trasparente appoggiata in equilibrio sugli schienali di due seggiole.

    «L’adorabile Shhannnon...» disse lui, trascinando le consonanti del suo nome fino a farlo suonare come un incantesimo, «... sta per aiutarmi a sfidare le leggi stesse della natura, di Madre Terra...»

    Shannon cercò di non permettere alla rabbia di cedere il posto alla marea d’inquietudine che cresceva dentro di lei e che avrebbe potuto facilmente trasformarsi in paura. Assassino o no, quell’uomo non poteva farle del male davanti a migliaia di spettatori. Raddrizzò la schiena. «Se crede che le permetterò di segarmi in due, se lo scordi» sibilò, muovendo appena le labbra. Gli lanciò un’occhiata in tralice, lo vide torcere le labbra, sentì la mano di lui serrarsi sulla propria.

    «... della gravità stessa» proseguì lui.

    Parlava con una cadenza ipnotica, ciascuna parola pronunciata lentamente, la bocca che pareva accarezzare ogni sillaba prima di emetterla. Era impossibile non concentrarsi sulle sue labbra mentre parlava.

    «Da questa parte, Shannon.» Una coltre di nebbia si alzò dal pavimento, attorcigliandosi intorno alle loro gambe, avvolgendole a tempo con la musica, ammesso che quella potesse dirsi musica. Lenta, sensuale, con un ritmo incalzante... Lui la condusse al tavolo improvvisato, vi agitò un braccio sopra, poi le prese la mano e la guidò su per un paio di scalini di legno mentre la musica montava, ogni suo movimento in perfetta sincronia con il ritmo erotico e seducente. «Sdraiati, Shannon. E preparati a essere trasportata via.»

    Lei rabbrividì, chiedendosi se quell’uomo parlasse sempre in quei toni lenti e misurati o soltanto quando era in scena. Si distese sul vetro freddo, senza mai lasciare con lo sguardo il viso di lui. Perfino i suoi respiri e il battere delle sue palpebre erano l’epitome della grazia, come se anch’essi fossero stati studiati da un coreografo. Le girò attorno una volta, un braccio proteso, il mantello che turbinava mentre lui si muoveva. Poi, con uno scatto delle dita verso la gola, si strappò il mantello dalle spalle, lo fece roteare verso l’esterno e lo drappeggiò sopra di lei, coprendola tutta fino al mento.

    La stoffa era celestiale, satin dentro e fuori. Shannon avrebbe voluto strofinarsela contro la guancia. L’aroma che le invase la mente era muschiato e potente, diverso da qualunque altro odore avesse mai sentito in precedenza.

    La mano di lui le toccò la fronte, calando verso il basso. I suoi polpastrelli le chiusero gli occhi. Lei si irrigidì, pensando ancora una volta a Tawny.

    «Rilassati, Shannon. Non muoverti. Lascia che i tuoi muscoli si sciolgano al mio comando. Spezza i legami della terra. Liberati dalle costrizioni della gravità.»

    Lei sospirò forte, ricacciando indietro le lacrime rabbiose che l’immagine dell’amica le aveva fatto salire agli occhi. Decisamente, Damien Namtar sapeva come mettere in piedi uno spettacolo, si disse. Naturalmente, non sarebbe stato il mago più famoso del mondo se non ne fosse stato capace. Damien l’Eterno. Shannon avrebbe alzato gli occhi al cielo se fossero stati aperti. Era più probabile che fosse Damien il Maestro dell’Illusione Ottica. Ma forse avrebbe imparato qualcosa su di lui se avesse prestato attenzione. Magari sarebbe riuscita a smettere di pensare a Tawny abbastanza a lungo da trovare un indizio su chi l’avesse uccisa.

    Ma come? Per l’amor di Dio, come?

    Si concentrò, giacendo immobile come le era stato ordinato. Non voleva rompere quel marchingegno e cascare sul palcoscenico.

    Non accadde nulla. Shannon udì un ansimo collettivo dal pubblico e aprì un occhio. Damien stava vicino ai suoi piedi, reggendo una sedia in una mano protesa. Lei aggrottò lievemente la fronte. Che fosse la seggiola che prima reggeva quell’estremità del vetro? Ma il suo corpo era ancora orizzontale.

    Lui mise giù la sedia e avanzò di qualche passo fino alla sua testa, fermandosi per posarle di nuovo quella mano lieve come piuma sugli occhi, chiudendoli un’altra volta. Lei però li riaprì di scatto. Aveva pagato per vedere quel dannato spettacolo. Certamente non poteva vederlo con gli occhi chiusi, e non aveva intenzione di perdersi quello che si sarebbe potuto rivelare un indizio.

    Lui adesso era ritto alla testa del letto improvvisato, e guardava in giù verso di lei. Imbronciò le labbra quando vide che i suoi occhi erano aperti, ma Shannon non li richiuse. Lo sguardo di Damien si fece intenso, indagatore, penetrante. Poi lui si chinò, e Shannon capì che stava sfilando l’altra seggiola da sotto la lastra di vetro. Quando si raddrizzò impugnava la sedia, la fece roteare e la lanciò in fondo al palcoscenico.

    Quando poté vederlo di nuovo, aveva in una mano un cerchio di plastica. Lo fece scorrere sopra e sotto di lei, poi attorno al suo corpo, avanti e indietro, per dimostrare che nessun cavo la teneva sollevata.

    Anche il cerchio fu gettato da parte. Lui si chinò sopra il suo viso. «Concentrati con me adesso, Shannon. Non c’è niente di cui aver paura.»

    Con un’espressione divertita, le tirò il mantello sopra la testa. Così imparava a non tenere gli occhi chiusi, lei immaginò che stesse pensando.

    Lo udì mormorare parole in una lingua che non riconobbe. Poi avvertì una strana vibrazione. Sentì il vetro sotto la schiena muoversi, scivolare di lato... Istintivamente fece per afferrarlo con la mano sinistra, ma quella di lui afferrò la sua e la tenne ferma. Le sue dita ghiacciate erano circondate dalla mano calda e aggraziata di Demien, e lei per poco non la strinse, per poco non girò il palmo contro il suo per intrecciare le dita con quelle di lui. Idea bizzarra. Fortunatamente lui la lasciò andare prima che avesse il tempo di far seguire al pensiero i fatti.

    Shannon sentì il vetro sgusciare via sotto di lei. La musica svanì mentre il rullare dei tamburi si faceva più forte, incalzante. Restò dov’era, distesa a mezz’aria al di sopra del palco. Come diavolo...

    Il mantello si stava muovendo adesso, il raso che strusciava contro il denim dei suoi jeans mentre le scivolava giù dal corpo. Damien stava lì in piedi, la camicia bianca aperta sulla gola. Lucidi riccioli scuri facevano capolino sul suo torace. Stava a pochi piedi dietro di lei, a braccia distese, le palme verso l’alto, gli occhi chiusi come per concentrarsi. Aveva ciglia incredibilmente lunghe per un uomo. In effetti, tutto in lui era abbastanza incredibile. Shannon conosceva Tawny meglio di chiunque altro, e aveva la sensazione che la sua amica non avrebbe lasciato il teatro quella sera senza almeno offrirgli...

    Mentre lui alzava le mani e i tamburi rullavano frenetici, Shannon parve sollevarsi su un cuscino d’aria. Trattenne il fiato. Galleggiò in alto, sempre più in alto, finché non dovette chiudere gli occhi per evitare di avere le vertigini.

    Poi semplicemente si fermò, molto al di sopra della testa di Damien. Osò dare una sbirciatina di sotto. Lui la stava guardando. Si fece avanti. «Da me, Shannon» chiamò forte, deciso, con una voce profonda con cui sarebbe stato difficile discutere. Poi piegò i gomiti e fece schioccare le dita di entrambe le mani. La musica cessò tutt’a un tratto... e lei cadde. Durò un istante, la sensazione di precipitare a tutta velocità attraverso lo spazio, la certezza che l’atterraggio avrebbe fatto male come l’inferno, l’istinto di urlare a piena gola. Si morse il labbro... e gli cadde tra le braccia.

    Batté le palpebre per lo shock. Lui la fissava, e il suo sorriso era appena più radioso del solito. Le sue braccia inguainate la cullavano tenendola stretta al petto, e quella sensazione le era estranea. Shannon pensò di essere un po’ più vicina a comprendere la morale da gatta di strada di Tawny, dopo quella sera. Damien chinò il capo, le sfiorò la fronte con le labbra. Lei fu certa che le avesse impresso un marchio a fuoco sulla pelle con il solo tocco della sua bocca. Ma era una sciocchezza. Erano la musica, e la nebbia, e la magia, a farle sentire brividi di piacere che correvano su e giù per la spina dorsale, non il tocco di un uomo. Mai il tocco di un uomo.

    Il ruggito della folla quasi l’assordò. Lui distolse lo sguardo, rivolgendolo al pubblico, e Shannon seguì la sua occhiata. Erano tutti in piedi, ogni singola persona, e le loro acclamazioni si alzavano sempre più, vibrando fino alle travi del tetto.

    Ma la sua attenzione vagò di nuovo verso l’uomo che la teneva in braccio. Il suo profilo forte, la linea elegante della mascella, il naso aquilino. E la luce che raccoglieva fulgore dal profondo di quegli occhi di giaietto. Lui amava quella sensazione. Assorbiva l’adorazione della folla come il deserto assorbe la pioggia. Era in estasi, raggiante.

    Il sipario calò davanti a loro e lui la rimise in piedi. Le sue mani le afferrarono le spalle, la fecero voltare di lato e spinsero gentilmente. «Dietro le quinte, Shannon. Osserva da lì.» Un inserviente del teatro si affrettò verso lei e Damien si chinò a bisbigliarle all’orecchio: «Sei stata fantastica». Poi l’uomo la prese per un braccio e la condusse via dal palcoscenico. Le indicò un seggiolino pieghevole e se ne andò di corsa con una cartelletta stretta in una mano.

    Shannon guardò indietro e vide il pesante sipario increspato sollevarsi come fosse privo di peso. Damien era al centro del palco e stava annodando i lacci del mantello sotto la gola. Quando il tendaggio terminò la sua spettrale ascesa, la folla in platea era ancora in piedi ad applaudire.

    Producendosi in un elegante inchino, lui alzò le mani per avere silenzio. «Grazie. Grazie a tutti. Sono spiacente, la bella Shannon non tornerà tra voi. Ho deciso di mangiarmela per cena.»

    Le risa si propagarono per il teatro.

    Damien aprì le braccia, tenendo i lembi del mantello tra le mani. «Addio, amici miei.»

    Un rullo di tamburo le trottò attraverso il cuore. La folla ammutolì. Lui abbassò un braccio e si passò l’altro rapidamente sul viso in tipico stile Dracula. Roteò su se stesso una volta, due, tre, sempre più in fretta.

    Un fragore di cimbali. Il mantello cadde formando una pozza di raso sul palcoscenico. Lui era svanito. Shannon si alzò in piedi, strizzando gli occhi, scrutando la lucida montagnola di stoffa nera. Vide del movimento e si accigliò ulteriormente. Che cosa diavolo era quel piccolo...

    Il pipistrello si lanciò fuori dal nido di satin, svolazzando pazzamente, descrivendo giri folli prima di librarsi verso la folla. Passò a bassa quota, strappando strilli di deliziato orrore, esclamazioni di sorpresa. Poi invertì la rotta e si diresse di nuovo verso il palcoscenico. Virò a sinistra e schizzò proprio davanti al viso di Shannon, scomparendo alla vista.

    Il sipario scese di nuovo e il teatro tremò per gli applausi.

    Il frastuono andò avanti per un pezzo prima di estinguersi lentamente. Shannon udì la gente spostarsi, andarsene. Riscuotendosi dall’incantesimo che il mago aveva brevemente lanciato su di lei, Shannon si riscosse e si guardò attorno. Aveva una missione, anche se le mistiche illusione di quell’uomo gliene avevano fatto perdere il filo per pochi minuti. Incrociò le dita e partì in quella che sperò fosse la direzione giusta. Non aveva ancora finito con Damien Namtar. Aveva delle domande, e non se ne sarebbe andata di lì finché non avesse ottenuto qualche risposta.

    Un tocco sulla spalla la fece voltare. Si aspettava di vedere il mago in persona che le sorrideva ironico, invece era lo stesso uomo dai capelli rossi che l’aveva condotta dietro le quinte. La sua borsetta dondolava da una mano tozza, punteggiata di lentiggini. «Damien ha detto che dovevo darle questa. Ha detto che tutta la sua roba è dentro.»

    «Grazie.» Lei la prese, lo sguardo impegnato a scrutare al di là dell’uomo. «Dov’è? Ho bisogno di parlargli.»

    «Impossibile: se n’è già andato.»

    «Lui è... andato via?» A un tratto si sentì come un pallone che venisse lentamente sgonfiato.

    «È una lunga corsa in macchina fino a quel suo palazzo a Tigris. E sta piovendo.»

    «Palazzo?»

    L’uomo guardò il pavimento, scuotendo lentamente la testa. «Qualcosa del tipo Dove vivono quelli più ricchi di quanto io sarò mai. Sa cosa intendo?»

    Shannon lo sapeva. Aveva visto le foto sulle riviste di intrattenimento, che non ne avevano mai abbastanza del mago milionario famoso in tutto il mondo. Né ne aveva la legione delle sue ammiratrici. Inclinò il capo. «Ho sentito che vive come un eremita. Immaginavo che tenesse segreto dove vive, impedendo ai fan di dargli la caccia.»

    «Tutti sanno dov’è quel posto, ma non c’è pericolo che gli diano la caccia. Ha un sistema di sicurezza come quello di Fort Knox. Nessuno potrebbe entrare là dentro.»

    «Nessuno, eh?» normorò Shannon passandosi la tracolla della borsa sopra la spalla e voltandosi per andar via.

    Damien,

    ancora una volta vi scrivo sperando in una risposta. E questa volta farò uno sforzo per spiegare in modo più esauriente le mie motivazion, e forse alleggerire i vostri sospetti sul mio conto. Io sono un vampiro, come voi, e uno scienziato. Dedico il mio tempo, ormai da oltre due secoli, allo studio della nostra specie, nel tentativo di meglio comprendere le peculiarità della nostra esistenza. Perché siamo qui? A quale scopo? E anche nella speranza di alleviare alcuni degli aspetti meno piacevoli delle nostre vite. Studio anche i Prescelti, gli umani con cui condividiamo un inesplicabile legame psichico. Coloro verso i quali siamo attratti e che istintivamente cerchiamo di proteggere. Coloro che possono essere trasformati e che hanno nel loro sangue lo stesso elusivo antigene che tutti noi avevamo a un certo punto. Dai miei studi ho ricavato un gran numero di informazioni. Ma io ne bramo di più.

    Voi, Damien, mi è stato detto, siete il più potente, il più antico di noi ancora esistente. Si dice che possediate abilità che vanno al di là di quelle di immortali più giovani, e io non ho alcun dubbio che anche la vostra sapienza sorpassi la nostra. Vorrei soltanto incontrarmi con voi, parlarvi, imparare dai vostri vasti eoni di immortalità. La vostra saggezza potrebbe beneficare tutti noi, Damien. Mi piacerebbe moltissimo essere vostro amico.

    Oscuramente vostro,

    Eric Marquand.

    Damien appallottolò la lettera, con le sue frasi studiatamente formali dalle quali, a parer suo, era immediatamente evidente che l’autore non era di quell’epoca, e la lanciò nelle ceneri fredde del suo moderno caminetto di marmo. Quel Marquand avrebbe dovuto imparare a esprimersi come se il suo posto fosse lì, nel presente. Damien aveva sempre pensato che esprimersi come se vi appartenesse fosse la parte più importante dell’adeguarsi a una qualsiasi cultura. Non aveva alcun senso attirare l’attenzione su di sé.

    Fece una smorfia, ricordando l’ultima riga del messaggio: Mi piacerebbe moltissimo essere vostro amico. Amico. La parola lo disgustò. Lui non desiderava né aveva bisogno di essere amico di nessuno. Era sopravvissuto una volta a quel dolore debilitante, e non aveva nessuna intenzione di ripetere l’errore.

    Quell’Eric Marquand, quell’infante d’un immortale, quel vampiro che si diceva uno scienziato, non avrebbe appreso molto da lui, comunque. Marquand aveva probabilmente acquisito più conoscenze sui non-morti nei suoi meri duecento anni di esistenza, di quanto avesse fatto Damien in quasi seimila. Damien era esistito in solitudine. Non desiderava alcun contatto con altri della sua specie, e men che meno con i Prescelti.

    I Prescelti lo spaventavano come l’inferno. Quell’irresistibile istinto che provavano tutti i vampiri, di vegliare su di loro, di tenerli cari... lo scuoteva fino all’osso. Minacciava la sua vita solitaria. Lui non voleva aver caro nessuno. Mai più. L’unica maniera di evitare l’attrazione mentale di quei rari umani era evitarli, e ciò era esattamente quello che Damien era sempre riuscito a fare.

    Fino a quella sera.

    Aveva percepito la sua presenza tra il pubblico dall’istante in cui aveva messo piede sul palcoscenico. L’aveva sentita là, e c’era stata quell’attrazione, magnetica, potente. Un qualche demone l’aveva spinto a vederla, parlarle, toccarla e sentire il potere vibrare tra loro. Aveva già provato quell’impulso in passato, quando era capitato che la sua strada incrociasse quella di un Prescelto. Era sempre riuscito a resistere. Ma non questa volta. Aveva desiderato toccarla, e l’aveva fatto.

    Forse un po’ troppo. Damien manteneva la propria mente deliberatamente chiusa, come quando si serrano le imposte davanti a una finestra. Non aveva desiderio o bisogno di aprirsi ai pensieri e sentimenti di altri. Non glie ne importava, non era minimamente curioso. Ma quella sera, nei brevi momenti di contatto fisico con quella donna, aveva sentito una valanga di emozioni riversarsi dalla mente di lei alla sua, emozioni così potenti che l’avevano scosso. Aveva sentito la sua pena, la sua rabbia. E sopra ogni cosa il suo dolore. Per un secondo non era stato certo se fosse quello di lei o il proprio, che riaffiorava per azzopparlo un’altra volta. Era così simile. L’antico istinto di rendere le cose migliori per lei era tornato in vita, si era fatto strada a forza verso la parte cosciente della sua mente. Lui aveva smorzato quell’istinto divampante con un atto di volontà e fatto uno sforzo maggiore per chiuderla fuori. Ma ci era andato vicino. Ci era andato troppo maledettamente vicino.

    Avrebbe dovuto prestare maggiore attenzione da quel momento in avanti. E avrebbe dovuto evitare ogni ulteriore contatto con quella donna, che lo toccava in un modo in cui nessuno aveva mai fatto.

    Indossava body e calzamaglia di spandex nero. Una maschera di nylon nero, presa da un costume da Cat Woman che aveva comprato una volta per Halloween, le copriva il viso. Si vedevano soltanto occhi e bocca. I guanti che le coprivano le mani erano anch’essi neri, come

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