Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Scambio di anime (eLit): eLit
Scambio di anime (eLit): eLit
Scambio di anime (eLit): eLit
E-book327 pagine4 ore

Scambio di anime (eLit): eLit

Valutazione: 5 su 5 stelle

5/5

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

LA RAGAZZA DEGLI SPIRITI - Mi chiamo Kaylee e riesco a prevedere la morte di qualcuno. Quando questo accade, sono letteralmente costretta a urlare, un grido che suona terribile alle orecchie umane ma si rivela un canto melodioso per le anime. Immagino capirete come questo dono renda un po' complicata la mia vita di adolescente, ma non me ne sono più preoccupata quando Nash, il ragazzo più carino della scuola, ha puntato i suoi bellissimi occhi proprio su di me. Un normale appuntamento tra noi è del tutto fuori questione però, anche perché Nash sembra conoscermi meglio di quanto sia possibile a un estraneo. Il mio disagio aumenta di giorno in giorno e raggiunge il culmine quando alcune belle ragazze iniziano a morire senza alcuna ragione apparente. E solo io so chi sarà la prossima...
LinguaItaliano
Data di uscita31 mag 2017
ISBN9788858970546
Scambio di anime (eLit): eLit

Leggi altro di Rachel Vincent

Correlato a Scambio di anime (eLit)

Titoli di questa serie (2)

Visualizza altri

Ebook correlati

Paranormale, occulto e soprannaturale Young Adult per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Scambio di anime (eLit)

Valutazione: 5 su 5 stelle
5/5

1 valutazione0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Scambio di anime (eLit) - Rachel Vincent

    successivo.

    1

    «E dai!» sussurrò Emma alla mia destra, le parole le uscirono di bocca avvolte in una piccola nuvola bianca. Continuava a fissare la malandata superficie d'acciaio della porta davanti a noi, come se la sua impazienza avesse il potere di aprirla. «Se n'è dimenticata, Kaylee. Me lo sarei dovuto aspettare.» Dalle labbra perfettamente truccate di Emma, che intanto saltellava nel tentativo di riscaldarsi, continuavano a uscire nuvolette bianche. Indossava una camicetta scollata, di colore rosso acceso, che aveva preso a prestito da una delle sue sorelle e che a stento riusciva a contenere le sue curve.

    Sì, ero un po' invidiosa; io di curve ne avevo poche e non avevo nemmeno sorelle da cui prendere in prestito abiti sexy. Ma, in compenso, sapevo esattamente che ora era. Mi era bastata una semplice occhiata al cellulare per sapere che mancavano ancora quattro minuti alle nove.

    «Verrà.» Con un movimento leggero della mano lasciai scivolare il cellulare nel taschino della mia camicia. Emma bussò per la terza volta.

    «Siamo in anticipo, dalle qualche minuto.»

    La mia nuvoletta non aveva ancora finito di dissolversi, quando si udì un cigolio metallico. La porta si schiuse lentamente davanti a noi, inondando il vicolo freddo e buio con intermittenti flash di luce fumosa e col battere ossessivo dei bassi. Traci Marshall, la più giovane delle sorelle maggiori di Emma, era in piedi, con la mano appoggiata alla porta per tenerla aperta. Indossava una maglietta nera aderente e scollata, una specie di tratto distintivo della famiglia, come se non bastassero i lunghi capelli biondi.

    «Era ora!» sbottò Emma, lanciandosi in avanti nel tentativo di passare oltre la sorella. Ma Traci stampò il palmo della sua mano libera contro lo stipite della porta bloccandoci l'accesso.

    Mi salutò con un accenno di sorriso, poi guardò sua sorella con espressione corrucciata.

    «Anch'io sono contenta di vederti. Ripetimi le regole.»

    Emma alzò al cielo i suoi grandi occhi nocciola e prese a sfregarsi le braccia nude con le mani. Avevamo lasciato le giacche nella mia macchina, e lei aveva la pelle d'oca. «Niente alcol, niente pasticche, niente divertimento.» L'ultima parte la venne fuori come un borbottio, e io soffocai una risata.

    «Che altro?» domandò Traci, sforzandosi in modo evidente di mantenere uno sguardo che per lei era insolitamente severo.

    «Arriviamo insieme, rimaniamo insieme, ce ne andiamo insieme» aggiunsi io, recitando le frasi che eravamo costrette a ripetere ogni volta che lei ci faceva entrare di nascosto. In realtà, era capitato solo altre due volte prima di allora, e quelle regole erano davvero patetiche, ma sapevo per esperienza che se non avessimo mostrato di accettarle non saremmo entrate.

    «E...»

    Emma proseguiva nei suoi tentativi di riscaldarsi, i robusti tacchi picchiettavano sul cemento. «Se ci beccano, noi non ci conosciamo.»

    Difficile da credere. Le Marshall erano fatte con lo stampino, uno stampino alto e dalle forme generose che mi faceva vergognare delle mie modeste curve.

    Traci annuì, apparentemente soddisfatta, e tirò via la mano dallo stipite della porta. Emma si fece avanti, ma la sorella la bloccò sotto il cono di luce che proveniva dalla lampada fissata sopra la porta d'ingresso e la squadrò aggrottando le sopracciglia. «Questa non è la camicetta nuova di Cara?»

    Emma le rivolse uno sguardo torvo e si divincolò dalla stretta della sorella «Non se ne accorgerà nemmeno.»

    Traci si mise a ridere e ci indicò l'ingresso del club da cui provenivano le luci e i suoni che si diffondevano nel vicolo fino alle uscite posteriori degli uffici circostanti. Una volta entrate, lei fu costretta a urlare per farsi sentire, a causa della musica troppo alta. «Goditi la vita finché dura, perché da un momento all'altro ti ci seppellirà in quella camicetta.»

    Imperturbabile, Emma avanzò danzando attraverso l'ingresso del locale e fino alla sala principale; le braccia protese in alto, i fianchi che si muovevano a ritmo. Io la seguii. Ero in preda alla febbre del sabato sera fin dal momento in cui avevo intravisto i primi corpi in movimento.

    Cercammo di farci strada tra la folla, e ne fummo inghiottite. Ci dissolvemmo nel pulsare delle battute, nel calore e negli abbracci di partner casuali che ci attiravano a sé. Ballammo a lungo, insieme, da sole o in coppie improvvisate, finché non mi ritrovai col fiatone e fradicia di sudore. Feci segno a Emma che andavo a prendere qualcosa da bere, lei annuì senza smettere di ballare mentre io mi facevo strada tra la gente accalcata.

    Dietro il bancone del bar, Traci stava lavorando accanto a un altro barista, un tizio grosso e scuro che indossava una maglietta nera aderente, entrambi erano illuminati da una strana luce blu che proveniva da un neon posizionato al di sopra delle loro teste. Mi fiondai sul primo sgabello libero e l'uomo in maglietta nera appoggiò le mani aperte sul bancone di fronte a me.

    «La servo io» disse Traci, toccandogli il braccio. Lui annuì e si spostò verso il cliente successivo. «Che vuoi?» mi domandò Traci, mentre si tirava indietro una ciocca ribelle di capelli di colore azzurro chiaro.

    Sorrisi, appoggiando i gomiti sul bancone. «Whisky e coca?»

    Scoppiò a ridere. «Ti darò la tua Coca-Cola.» Versò una bevanda gassata in un bicchiere con ghiaccio e lo fece scivolare verso di me. Spinsi un biglietto da cinque dollari sul bancone e ruotai sullo sgabello per poter guardare la pista da ballo e individuare Emma tra la folla. Ballava stretta tra due ragazzi che indossavano magliette della confraternita dell'Università del Texas di Dallas e braccialetti fluorescenti che ne attestavano la maggiore età e accordavano loro il permesso di bere alcolici. Tutti e tre ridevano all'unisono.

    Emma aveva lo stesso magnetismo di un campo di elettricità statica prodotto da un tessuto di lana.

    Senza smettere di ridere, mi scolai la Coca e appoggiai il bicchiere sul bancone.

    «Kaylee Cavanaugh.»

    Il suono del mio nome mi fece sobbalzare. Mi voltai verso sinistra, e il mio sguardo incontrò gli occhi color nocciola più ipnotici che avessi mai visto. Per alcuni secondi non potei fare a meno di fissarli, e mi persi in un incredibile tumulto di toni marrone scuro e verde brillante che sembravano vorticare al ritmo del battito del mio cuore, anche se quasi sicuramente si trattava soltanto del riflesso delle luci che lampeggiavano al di sopra delle nostre teste. Alla fine fui costretta a battere le palpebre, e quella momentanea perdita di contatto visivo bastò a farmi tornare in me.

    Solo a quel punto mi resi conto di chi fosse la persona che stavo guardando.

    Nash Hudson. Merda. Sentii l'impulso di guardare verso il basso. Giusto per controllare se per caso l'inferno stesso si fosse gelato e i miei piedi fossero rimasti intrappolati in un pavimento di ghiaccio. In qualche modo avevo lasciato la pista da ballo per ritrovarmi in una sorta di spazio parallelo dove le pupille galleggiavano su oceani di colori e Nash Hudson sorrideva a me, e a me sola.

    Sollevai il bicchiere, sperando di trovarci un ultimo sorso per bagnarmi la gola che era diventata improvvisamente secca, mentre mi domandavo se dopotutto Traci non l'avesse corretta sul serio la mia Coca. Il bicchiere era completamente vuoto, proprio come in realtà mi aspettavo.

    «Un altro drink?» chiese Nash. Decisi che potevo anche rispondere. In fondo, sia che stessi sognando o che fossi finita in un episodio di Ai confini della realtà, non avevo niente da perdere a parlare con lui, giusto?

    «Sto bene così. Grazie.» Azzardai un sorrisetto timido. E lui mi corrispose. Gli angoli delle labbra perfettamente disegnate gli si piegarono all'insù. E il mio cuore quasi esplose.

    «Come hai fatto a entrare?» Inarcò un sopracciglio. Era più divertito che realmente incuriosito. «Sei passata da una finestra?»

    «Dalla porta sul retro» sussurrai. Mi sentii avvampare. Naturalmente lui sapeva che ero una studentessa del terzo anno delle superiori, troppo giovane persino per un club con ingresso consentito ai diciottenni come il Taboo.

    «Cosa?» Sorrise, e mi si avvicinò per riuscire ad ascoltarmi nonostante la musica alta. Sentii il suo respiro sul collo e le mie pulsazioni aumentarono tanto rapidamente da farmi girare la testa. Aveva un odore così buono...

    «Dalla porta sul retro» ripetei, parlandogli all'orecchio. «La sorella di Emma lavora qui.»

    «C'è anche Emma?»

    Gliela indicai sulla pista, dove lei era arrivata a ballare con tre ragazzi alla volta, e pensai che per quella sera non avrei più rivisto Nash Hudson. Ma, sorprendentemente, lui la degnò appena di uno sguardo e poi tornò a guardare me. Quei suoi incredibili occhi brillavano di una luce maliziosa.

    «Tu non balli?»

    Improvvisamente, la mia mano attorno al bicchiere vuoto cominciò a sudare. Quello era un invito a ballare? O voleva semplicemente che lasciassi libero lo sgabello per la sua ragazza?

    No, un attimo. Lui aveva scaricato la sua ultima tipa la settimana precedente, e gli squali erano già a caccia di carne fresca. Anche se adesso di squali attorno a lui non ne vedo... In realtà, non riuscivo a individuare nessuno del suo solito giro, né accanto a lui né sulla pista da ballo.

    «Sì, ora vado» risposi, e di nuovo scorsi nei suoi occhi mulinelli di colori cangianti, dal verde al marrone e ritorno, con occasionali varianti blu, del colore delle luci intermittenti del club. Sarei rimasta a fissarli per ore. Ma probabilmente lui avrebbe pensato che mi stessi comportando in modo strano.

    «Andiamo» disse prendendomi la mano. Rimase ad aspettare che scendessi dallo sgabello, poi lo seguii sulla pista. Un nuovo sorriso sbocciò sul mio volto e il cuore, carico di aspettative, mi si strinse in petto. Conoscevo Nash da qualche tempo, Emma era uscita con alcuni dei suoi amici, ma io non ero mai stata oggetto delle sue attenzioni. Non avevo mai nemmeno preso in considerazione la possibilità che una cosa del genere potesse accadere. Nell'universo del Liceo Eastlake io ero una delle lune orbitanti attorno al pianeta Emma, costantemente coperta dalla sua ombra, e felice di esserlo. Nash Hudson era una stella: troppo abbagliante da guardare, troppo rovente da toccare, e saldamente al centro del suo sistema solare.

    Ma sulla pista da ballo mi dimenticai di tutto il resto. La sua luce splendeva solo per me ed era così calda...

    Ci ritrovammo a pochi passi da Emma, ma, con le mani di Nash su di me e il suo corpo attaccato al mio, a malapena ci feci caso. La prima canzone finì, e iniziammo a ballare quella successiva ancora prima che io mi rendessi conto del cambiamento del ritmo.

    Qualche minuto dopo, intravidi Emma oltre la spalla di Nash. Era al bar, insieme a uno dei ragazzi con cui l'avevo vista ridere. Per quello che riuscivo a vedere, Traci aveva servito loro due drink. Appena sua sorella le voltò le spalle, Emma afferrò il bicchiere del suo amico, che conteneva un liquido scuro con una fetta di lime sul bordo, e se lo scolò in tre sorsi. Il ragazzo della confraternita sorrise, e poi la spinse di nuovo tra la folla.

    Annotai mentalmente che non avrei dovuto permettere a Emma di guidare la macchina al ritorno, poi lasciai che i miei occhi tornassero a guardare Nash, l'oggetto del mio desiderio di quella sera. Ma per un attimo la mia attenzione fu catturata dal biondo fragola di una testa poco familiare che apparteneva all'unica ragazza in tutto il locale in grado di competere in bellezza con Emma. Anche lei era circondata dai ragazzi e, sebbene non potesse avere più di diciotto anni, di sicuro aveva bevuto molto più della mia amica. Senza dubbio era bella e attraente, ma guardarla mentre ballava mi provocò una strana sensazione, un nodo in gola e un senso di oppressione all'altezza del petto che mi impedivano di respirare. C'era qualcosa che non andava in lei. Non sapevo bene perché, ma ero assolutamente certa che c'era qualcosa che non stava andando per il verso giusto.

    «Va tutto bene?» urlò Nash, appoggiandomi una mano sulla spalla. Improvvisamente mi resi conto che mi ero fermata, mentre gli altri intorno a me continuavano a muoversi al ritmo della musica.

    «Sì!» Mi scrollai di dosso il disagio, e realizzai con sollievo che guardare Nash negli occhi mi consentiva di scacciare quella sensazione di strana inquietudine e mi infondeva un senso di profonda e misteriosa calma.

    Ballammo ancora a lungo. Mi sentivo bene con lui, sempre di più. Quando ci fermammo per bere qualcosa, sentii il sudore colarmi giù per la nuca e inumidirmi le braccia.

    Con una mano mi tirai su i capelli per rinfrescarmi, con l'altra feci un cenno di saluto a Emma e cominciai a seguire Nash fuori dalla pista. Quasi mi scontrai con la tipa biondo fragola.

    Lei nemmeno se ne accorse, ma, nello stesso istante in cui la vidi, avvertii di nuovo quella sensazione. Un forte disagio, come un sapore amaro in bocca, solo che lo sentivo in tutto il corpo. E questa volta la sensazione era accompagnata da un'insolita tristezza. Un senso di generale malinconia che sentivo specificamente connesso a quella persona. Che però non avevo mai visto prima.

    «Kaylee?» Nash urlava più forte della musica. Era in piedi accanto al bar, e teneva nelle mani due bicchieri di acqua frizzante, resi scivolosi dalla condensa. Mi avvicinai a lui e presi quello che mi offrì. Ero un po' spaventata perché questa volta nemmeno guardandolo fisso negli occhi riuscivo a rilassarmi completamente. Avevo un nodo in gola che non si allentava e rischiava di mandarmi per traverso l'acqua fresca di cui avevo tanto bisogno.

    «Qualcosa non va?» Eravamo a pochi centimetri l'uno dall'altra, grazie anche alla calca che ci spingeva contro il bancone del bar, ma lui dovette di nuovo chinarsi su di me per farsi sentire.

    «Non lo so. È una ragazza, quella con i capelli rossi laggiù...» Gliela indicai, «... mi mette a disagio.» Bene, che cazzata. Non avrei dovuto lasciarmelo scappare. Detto ad alta voce, suonava così patetico.

    Nash diede un'occhiata alla ragazza, poi si voltò verso di me. «A me sembra a posto, ammesso che abbia un passaggio per tornare a casa...»

    «Sì, è vero.» Ma subito dopo, quando la musica che stava ballando terminò, la ragazza uscì dalla pista e, muovendosi con una certa grazia nonostante fosse visibilmente ubriaca, si diresse verso il bar. Verso di noi.

    Il mio battito aumentava a ogni suo passo. Strinsi il bicchiere tra le mani fino a che le nocche mi diventarono bianche. E quella specie di malinconia, che iniziavo a conoscere bene, si trasformò in un opprimente senso di angoscia. In un oscuro presagio.

    Cominciai ad ansimare, atterrita da una terribile certezza.

    No, un'altra volta no. Non volevo che Nash Hudson mi vedesse mentre andavo completamente fuori di testa. Tutta la scuola avrebbe saputo di quella figuraccia e io avrei potuto dire addio alla già scarsa posizione sociale che mi ero guadagnata.

    Nash posò il suo bicchiere e mi scrutò in volto. «Kaylee, stai bene?» Fui in grado solo di scuotere la testa, incapace di rispondere. Non stavo per niente bene, ma non riuscivo a dare una spiegazione che avesse anche solo un briciolo di coerenza. Improvvisamente, dentro di me cominciò a montare il panico. E i possibili pettegolezzi sul mio conto, che fino a un attimo prima mi erano sembrati potenzialmente devastanti, precipitarono nel mio personale disastrometro fino al grado di banale contrattempo. Il mio respiro si fece affannoso e sentii un urlo formarsi nelle profondità del mio petto. Mi chiusi la bocca con le mani per reprimerlo, digrignai i denti fino a farmi male. La tipa biondo fragola raggiunse il bancone del bar alla mia sinistra, ci dividevano soltanto uno sgabello e il suo occupante. Il barista prese il suo ordine, lei si voltò di lato mentre aspettava da bere. I suoi occhi incontrarono i miei. Accennò un sorriso, poi si voltò a guardare la pista da ballo.

    Intuii quello che stava per succedere e l'orrore mi travolse con la forza di un'onda devastante. Un nodo mi serrò la gola. Soffocai un urlo di terrore. Il bicchiere mi scivolò dalle mani e si frantumò sul pavimento. La tipa biondo fragola gridò e fece un balzo all'indietro quando schizzi di acqua fredda colpirono lei, me, Nash e l'uomo seduto sullo sgabello alla mia sinistra. Ma io a malapena mi accorsi dell'acqua e della gente che mi guardava.

    Vedevo solo la ragazza, e l'ombra oscura e traslucida che l'aveva avvolta.

    «Kaylee?» Nash mi prese il viso e lo tirò su in modo che lo guardassi negli occhi. La sua espressione era molto preoccupata, le sue iridi ruotavano vorticosamente sotto le luci lampeggianti. Guardarle mi faceva girare la testa.

    Avrei voluto dirgli qualcosa. Qualsiasi cosa. Ma se avessi aperto la bocca, l'urlo represso sarebbe venuto fuori e chiunque non mi stesse già guardando, si sarebbe voltato per farlo. Tutti avrebbero pensato che ero pazza.

    E magari avrebbero avuto ragione.

    «Cosa c'è che non va?» domandò Nash, avvicinandosi a me, incurante del bicchiere rotto e del pavimento bagnato. «Hai le convulsioni?» Ma io continuavo semplicemente a scuotere la testa per impedire al lamento che tentava di farsi strada dentro di me di manifestarsi liberamente. Era la mia sola possibilità di esorcizzare l'immagine di un letto angusto in una bianca camera sterile che aspettava il mio ritorno. All'improvviso arrivò Emma. Con il suo corpo perfetto, il suo viso bellissimo e il suo gran cuore. «Starà bene.» Emma mi tirò via dal bar mentre il barista si stava facendo avanti con una scopa e un secchio. «Ha solo bisogno di un prendere un po' d'aria.» Fece un cenno a Traci che ci guardava preoccupata, agitandosi freneticamente, e mi strattonò per un braccio attraverso la folla. Con la mano libera mi coprii la bocca e scossi la testa furiosamente quando Nash provò a prendermela per tenerla tra le sue. Avrei dovuto preoccuparmi di quello che poteva pensare. Del fatto che di sicuro non avrebbe voluto avere più niente a che fare con me, ora che lo avevo messo in imbarazzo pubblicamente. Ma non riuscivo a mantenere la concentrazione abbastanza a lungo da preoccuparmi di qualcosa che non fosse la tipa biondo fragola che era al bar. L'unica che ci aveva guardato andare via attraverso un velo di oscurità che solo io riuscivo a vedere.

    Emma mi guidò oltre i bagni, fino alla porta sul retro. Nash ci tallonava. «Cosa le succede?» domandò.

    «Niente.» Emma si fermò, si voltò a guardarci e sorrise a entrambi. Per un istante, la gratitudine prese il sopravvento sul terrore oscuro che mi opprimeva. «Ha un attacco di panico, ha bisogno solo di un po' d'aria fresca e di tempo per calmarsi.»

    E invece si sbagliava. Non era di tempo che avevo bisogno, quanto piuttosto di spazio. Di distanza tra me e la fonte del mio panico. Sfortunatamente non ce n'era a sufficienza nell'intero club per farmi stare abbastanza lontana dalla ragazza al bar. Anche se avevamo raggiunto la porta sul retro, il senso di terrore era più forte che mai. L'urlo represso mi bruciava la gola e, se avessi lasciato andare la mascella, se ne avessi perso il controllo, il mio grido avrebbe rotto i timpani di tutti quelli che c'erano al Taboo. Avrebbe sovrastato il volume della musica martellante, e magari avrebbe fatto saltare le casse e mandato in frantumi le finestre.

    E tutto a causa di una tipa biondo fragola che non conoscevo nemmeno.

    Il solo pensiero di lei mi procurò un tale senso di devastazione interiore che le mie ginocchia cedettero. Il mio mancamento colse Emma alla sprovvista, e l'avrei tirata giù con me se non ci fosse stato Nash ad afferrarmi.

    Lui mi sollevò completamente da terra e mi prese in braccio cullandomi come una bambina, poi seguì Emma fuori dall'uscita posteriore del club tenendomi al sicuro tra le sue braccia. L'interno del locale era piuttosto buio, ma il vicolo lo era completamente. E diventò anche silenzioso, una volta che la porta si chiuse sbattendo dietro di noi. La carta di credito di Emma, messa al posto giusto, impedì alla serratura di bloccarsi. Il silenzio gelido avrebbe dovuto calmarmi, tuttavia il frastuono nella mia testa aveva raggiunto il culmine. L'urlo che reprimevo mi rimbalzava nella testa, risuonando, echeggiando e accentuando la pena che sentivo nel cuore.

    Nash mi mise giù nel vicolo, ma a quel punto i miei pensieri avevano perso ogni capacità di elaborazione o comprensione della realtà. Sentivo sotto di me una superficie liscia e secca. Solo più tardi mi sarei resa conto del fatto che Emma aveva trovato un cartone su cui Nash mi aveva infine adagiata e messa a sedere.

    Mentre Nash mi portava in braccio, i jeans si erano sollevati lasciandomi scoperte le caviglie che in quel momento sentivo a contatto diretto con il cartone freddo e sporco di terra.

    «Kaylee?» Emma si inginocchiò accanto a me, il suo viso era a pochi centimetri dal mio, ma non riuscii a capire una parola di quello che disse dopo aver pronunciato il mio nome. Sentivo solo i miei pensieri. Un solo pensiero in verità. Un delirio paranoico che si manifestava, come diceva il mio ultimo terapeuta, con tutta l'autorevolezza di un fatto certo.

    Poi la faccia di Emma sparì. Vedevo solo le sue ginocchia. Nash disse qualcosa che non riuscii a capire. Qualcosa sul bere...

    Sentii di nuovo la musica, Emma se ne era andata. Mi aveva lasciata da sola con il ragazzo più affascinante con cui avessi mai ballato, l'ultima persona al mondo a cui avrei voluto mostrare in che modo mi capitava di dissociarmi dalla realtà.

    Nash si inginocchiò e mi guardò, i mulinelli verde-marroni vorticavano di nuovo freneticamente nei suoi occhi anche se ora non c'erano più le luci del club a lampeggiare sulle nostre teste.

    Me lo stavo immaginando. Per forza. Li avevo visti danzare con la luce poco prima e ora la mia mente traumatizzata aveva focalizzato la sua ossessione sugli occhi di Nash. Proprio come era accaduto con la tipa biondo fragola. Giusto?

    Ma non c'era tempo per pensare alla mia teoria. Stavo perdendo il controllo. Le ondate di dolore che si susseguivano minacciavano di annientarmi schiacciandomi contro il muro con una forza invisibile, come se Nash nemmeno fosse lì. Non riuscivo a respirare profondamente, ora la mia gola emetteva un gemito acuto, nonostante avessi le labbra chiuse. La vista mi si oscurò ancora più di quanto fosse il vicolo, anche se non lo avrei mai creduto possibile, come se al mondo intero fosse stato sovrapposto uno strano filtro grigio.

    Nash continuava a guardarmi con un'espressione preoccupata. Poi si voltò di lato per sedersi accanto a me, anche lui con la schiena appoggiata al muro. Ai lati della mia grigia visione, vidi qualcosa strisciare silenziosamente. Un ratto o qualche altro animale saprofago attirato dai cassonetti del club? No. Quello che avevo visto era più grande di un roditore, a meno che non mi trovassi nella palude del fuoco di Bottondoro, e i tratti erano troppo poco definiti a causa della mia scarsa capacità di concentrazione.

    Nash prese la mia mano nella sua e io mi dimenticai di qualsiasi cosa avessi visto. Mi accarezzò i capelli, tirandoli dietro un orecchio. Non riuscivo a capire granché di quello che mi sussurrava, ma a poco a poco mi resi conto che non mi interessava ascoltare le sue parole. Quello che davvero era importante per me era la sua vicinanza. Il suo respiro sul mio collo. Il calore del suo corpo. Il suo profumo. La sua voce che si espandeva nella mia testa, proteggendomi dalla violenza dell'urlo che ancora rimbalzava contro le pareti interne del mio cranio.

    Per quanto potevo capire, mi stava tranquillizzando soltanto con la sua presenza, la sua pazienza e le parole sussurrate di quella che sembrava una ninna-nanna per bambini.

    E funzionò. Le mie ansie si placarono e il mondo si liberò di quelle tinte fosche e sgranate per tornare ai suoi toni naturali. Le mie dita si rilassarono e allentarono la loro presa intorno alla mano di Nash. I miei polmoni si dilatarono completamente e presi un respiro, affilato e gelido. All'improvviso, sentii freddo a causa del sudore che mi si era ormai asciugato sulla pelle.

    La paura era ancora lì, negli angoli più oscuri della mia mente, nei punti bui ai margini del mio campo visivo. Ma ora ero in grado di gestirla. Grazie a Nash.

    «Stai meglio?» mi domandò quando voltai la testa per guardarlo. I mattoni contro la mia guancia erano freddi e ruvidi.

    Annuii. E in quell'istante un nuovo terrore si impadronì di me: andavo incontro a una totale, devastante, ineluttabile mortificazione, tanto più terribile quanto duratura. L'attacco di panico non poteva dirsi certo superato, ma l'umiliazione mi avrebbe comunque accompagnato per il resto della vita.

    Avevo perso completamente il controllo davanti a Nash Hudson. La mia vita era finita, neanche la mia amicizia con Emma sarebbe stata sufficiente a riparare un danno sociale di quella portata.

    Nash allungò le gambe. «Ti va di parlarne?»

    No. Avrei voluto nascondermi sotto terra,

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1