La mia quinta tentazione: Harmony Destiny
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Anteprima del libro
La mia quinta tentazione - Dixie Browning
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Her Fifth Husband?
Silhouette Desire
© 2005 Dixie Browning
Traduzione di Olimpia Medici
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2006 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3051-348-8
1
Sasha si prese una piccola pausa dal lavoro e si lasciò scivolare sulla sedia a sdraio, gustandosi la luce rossa del tramonto e la brezza tiepida che veniva dal mare. Forse la sua professione non le garantiva delle entrate molto regolari, ma d’altra parte le concedeva delle soddisfazioni che un impiegato, sepolto in un cubicolo di cemento senza finestre, non poteva neanche immaginare.
Il rumore del traffico in lontananza si confondeva con quello della risacca, creando un effetto ipnotico e cullante. «Solo cinque minuti» mormorò.
Solo cinque minuti. Poi si sarebbe rimessa in piedi, avrebbe dato un’ultima occhiata alla lista, per controllare che non mancasse niente, e si sarebbe diretta al complesso commerciale in costruzione dove la aspettava il suo nuovo cliente.
In qualità di decoratrice di interni si occupava soprattutto di uffici e sedi di rappresentanza - la clientela abituale era costituita da studi legali, immobiliari o medici. Di tanto in tanto si occupava anche di qualche appartamento o villetta nei tanti comprensori turistici che costeggiavano gli Outer Banks, ma la sua passione erano i lavori di grandi dimensioni. Adorava progettare le sedi di ditte importanti, con un grande numero di uffici, sale riunioni e spazi comuni, e solitamente le limitazioni di budget le stimolavano la creatività.
Respirò profondamente, soddisfatta. Un colpo di vento le scompigliò i capelli e lei li rimise a posto con un gesto lento e stanco. Se ne avesse avuto la forza, avrebbe voluto togliersi le scarpe e affondare i piedi nella sabbia. Ma quell’operazione prevedeva che si mettesse seduta e si chinasse in avanti per slacciare le cinghiette delle décolleté con il tacco alto che le stringevano le caviglie. Quella mattina avrebbe fatto meglio a mettersi dei semplici mocassini.
«Vanità il tuo nome è Sasha» borbottò. Il fatto era che le scarpe con il tacco alto erano terribilmente più sexy di quelle piatte, così si sentiva indotta a indossarle anche quando doveva visitare qualche cantiere ed era costretta a salire e scendere rampe di scale ripide e polverose.
A dire la verità, a casa un paio di mocassini ce li aveva, ma non li metteva quasi mai. Quando usciva, cercava sempre di apparire impeccabile, nel caso in cui il fato la portasse a conoscere qualche potenziale cliente. Le amiche, conoscendo le origini di quella mania, parlavano di Sindrome di Cenerentola.
E Sasha non aveva mai negato. Sotto al trucco perfetto, ai capelli rosso fiammante perfettamente acconciati e all’abbigliamento sempre all’ultima moda - per non parlare dei gioielli, la sua vera passione - Sasha Combs Cassidy Boone Lasiter era ancora la buona vecchia Sally June Parrish, la prima figlia di un povero coltivatore di tabacco che era diventato pastore protestante.
«Rilassatevi, piedini» sussurrò, domandandosi se le scarpine di cristallo di Cenerentola fossero scomode come quelle che indossava lei. «Quando arriviamo a casa vi metto in libertà. Promesso.»
Al sole, ora che la canicola pomeridiana era passata, si stava benissimo. Quello era il momento della giornata che Sasha amava di più anche perché, da rossa naturale, o meglio quasi naturale, in estate si ricopriva di lentiggini.
Si concesse un altro minuto. Poi sarebbe ritornata dentro e avrebbe finito di controllare la lista. L’impresa di pulizie era passata la settimana prima, ma quel posto puzzava ancora di fumo di sigarette. Come se non bastasse, uno dei copriletto era sgualcito, come se qualcuno fosse stato sul punto di iniziare il lavoro, ma avesse dovuto interromperlo a metà. Probabilmente per preparare a regola d’arte un letto matrimoniale king size occorreva una squadra di diverse persone ben addestrate.
A ogni modo la gestione delle pulizie non la riguardava. Sasha aveva semplicemente fatto una lista delle cose che dovevano essere sostituite. I cuscini delle poltrone, alcuni tappeti e una serie di piatti e bicchieri che qualche inquilino aveva probabilmente portato in spiaggia e dimenticato in riva al mare. E ancora una sedia con una gamba rotta, una lampadina bruciata, e due sgabelli con il sedile in cuoio che sembravano essere stati usati come bersaglio in una gara di tiro con l’arco. Di solito di quelle cose si occupavano direttamente i padroni di casa, ma in questo caso i proprietari del cottage si erano rivolti a Katie McIver, che da quelle parti amministrava diverse proprietà, e le avevano chiesto di trovare qualcuno che potesse fare l’inventario al posto loro, in modo da rimettere in sesto l’appartamento prima dell’inizio della bella stagione.
Sasha aveva già lavorato con Katie. Certo, quello era solo un lavoretto da poco, ma spesso da una cosa piccola ne nasceva una più grande e, in ogni caso, lei non era nella posizione di rifiutare nessuna proposta. Nel caso del cottage dei Jamison, se i proprietari volevano far rendere il loro investimento avevano bisogno di qualcuno che selezionasse con cura i possibili clienti e controllasse, nei limiti della legalità, le loro credenziali. Gli ultimi affittuari, per esempio, avevano dato la cera alle tavole da surf in una delle due docce, lasciandola in uno stato davvero pietoso.
Sasha si massaggiò le tempie, facendo molta attenzione a non usare le lunghissime unghie finte che le rendevano le mani più affusolate. Il mal di testa che era riuscita a evitare per tutto il giorno era sul punto di esplodere e lei sperava che qualche attimo di relax avrebbe evitato il peggio. Ma, a quanto pareva, non c’era più niente da fare.
Un altro minuto, decise di concedersi con una certa indulgenza. Poi sarebbe rientrata e avrebbe finito il giro di controllo. Aveva anche notato una macchia di vino rosso su uno dei copriletto, che evidentemente era sfuggita agli addetti alle pulizie.
Pensa a qualcosa di bello. Un cubetto di cioccolato fondente che si scioglie sulla lingua. Alan Jackson che ti sussurra una canzone d’amore all’orecchio. Una carta di credito che non si esaurisce mai.
Se ne stava sdraiata sull’enorme terrazza affacciata sul mare di un bellissimo cottage - sempre che una villa con sei camere, sette bagni con idromassaggio e una piscina si potesse ancora chiamare cottage - e la sua maledettissima cervicale le impediva di godersi lo spettacolo.
Stava ancora cercando di rilassarsi, quando sopra alla testa le passò un’ombra. Sasha aggrottò le sopracciglia. Un’ombra di chi o cosa? A quanto le aveva detto Katie, il cottage sarebbe stato vuoto fino al weekend del Memorial Day.
Mosse lentamente la testa e si guardò intorno. Forse si era trattato solo di un pellicano. Dopotutto, anche se non era nata in quello stato, Sasha sapeva che prima dell’arrivo dei costruttori di cottage e villette, quelle spiagge erano popolate solo da uccelli marini, granchi e pescatori. Cercò di rilassarsi di nuovo.
Chiuse gli occhi e in pochi secondi sentì le palpebre appesantite dal sonno. Stava per addormentarsi quando accadde di nuovo. Anche con gli occhi chiusi, ebbe l’impressione che un’ombra le fosse passata velocemente sopra la testa. Corrugò la fronte e si guardò intorno.
Tutto immobile.
Più incuriosita che spaventata, decise di fare un esperimento. Richiuse gli occhi e si passò una mano sulla faccia, per controllare se era effettivamente possibile vedere un’ombra a occhi chiusi.
Era possibile. Con la mano sulla fronte le palpebre in controluce erano quasi nere, mentre se ci batteva il sole acquistavano un colore simile all’ambra.
Ma allora che cosa le era passato sopra la testa? Un aereo? Difficile. Non era ancora la stagione dei voli panoramici lungo la spiaggia e poi avrebbe sentito il rumore delle eliche.
Si mise a sedere sul bordo dello sdraio. Intorno non c’era niente che avrebbe potuto proiettare un’ombra. Niente uccelli, niente aerei. Neanche un supereroe che passava di lì per caso.
E insieme all’oggetto misterioso era scomparsa anche l’ultima possibilità di rilassarsi.
Sasha stava ancora combattendo con la sedia a sdraio per cercare di rimettersi in piedi, quando sentì un tonfo attutito seguito da un’imprecazione appena percettibile. Il cuore prese a batterle più velocemente. Alzò la testa per dare un’occhiata in casa, ma i vetri oscurati riflettevano la luce del sole, impedendole di vedere cosa stava succedendo all’interno. Sentì scorrere un brivido di paura lungo la schiena.
Aveva richiuso la porta di servizio, quando era entrata? Con tutte le cose a cui doveva pensare, qualche volta capitava che le sfuggisse qualche dettaglio. Magari Katie aveva visto la sua macchina parcheggiata fuori ed era venuta a salutarla. O magari quelli delle pulizie si erano dimenticati qualcosa in casa - o erano tornati per finire il lavoro, cosa che avrebbe giustificato il copriletto macchiato e l’odore di sigarette.
Comunque l’ombra che era passata in cielo continuava a rimanere inspiegabile.
Sasha si aggrappò ai braccioli dello sdraio. «Maledizione, chi c’è lì dentro?» urlò. «Vi avverto che sono molto stanca. I piedi mi fanno male e ho la testa che scoppia, quindi smettetela con gli scherzi e venite fuori.»
Come tutte le ville dei dintorni anche Driftwinds era dotata di un sofisticato sistema di allarme anti-intrusione. Ma lei, ovviamente, si era dimenticata di metterlo in funzione. Le era sembrato semplicemente superfluo. Possibile che un ladro decidesse di penetrare in casa proprio l’unico giorno in cui non era disabitata?
Si mise in piedi e, cercando di non fare rumore, andò verso il bordo della terrazza. Nel parcheggio c’era solo la sua cabrio rossa. Questo metteva fuori gioco sia Katie sia l’impresa di pulizie. Si girò lentamente e lanciò un’occhiata alla scala esterna, aspettandosi di veder comparire qualche losco individuo. Respirò profondamente e cercò di riacquistare la calma.
Cerca di ragionare, si disse scuotendo la testa.
Cos’è che continuavano a ripeterle le sue amiche? Cerca di essere realistica. Uno dei suoi difetti peggiori era di lasciar correre un po’ troppo l’immaginazione.
In questi casi per evitare il panico era bene fare il punto della situazione.
Allora, quali erano i dati inconfutabili a sua disposizione?
Primo: un martello pneumatico le stava mandando in frantumi la testa.
Secondo: le erano appena finite le mestruazioni e tutti gli ormoni che aveva ancora in circolo non contribuivano certo a renderla più lucida.
Terzo: con ogni probabilità si era immaginata tutto quanto.
Bene. Sospirò rumorosamente e fece un giro completo sulla punta dei piedi, per ritornare all’interno. Proprio in quel momento vide