Baci sotto il sole greco
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Rebecca Winters
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Anteprima del libro
Baci sotto il sole greco - Rebecca Winters
978-88-3051-954-1
1
9 agosto, New York City
Il medico, un uomo anziano e barbuto, dall'espressione bonaria, rivolge alla sua giovane paziente un sorriso incoraggiante.
«Mia cara, da otto mesi il tuo cancro è scomparso. Oggi sono in grado di confermare che è definitivamente in remissione. Avevamo già discusso del tempo che ti sarebbe occorso per guarire e questo risultato conferma la nostra opinione. Purtroppo nessuno di noi può prevedere la fine della propria esistenza.»
«Lo so» mormorò lei, mentre il medico le illustrava le aspettative di vita per le pazienti con la sua patologia. Avendo già letto tutto sull'argomento, Zoe lo ascoltò distrattamente.
In ospedale il motto era: Affronta un giorno alla volta e gioisci quando ne ricevi in dono uno di più.
Tutti gli esami a cui l'avevano sottoposta avevano dato un esito negativo, tuttavia il tremito interno e la paura, compagna inseparabile di chi era colpito da quel male, non sarebbero passati facilmente. Ai successivi test di controllo, avrebbe temuto invariabilmente che il cancro si fosse rifatto vivo.
Il terapista del centro le aveva dato un libro da leggere per imparare a convivere con la malattia in remissione. Molti pazienti dichiarati guariti, paventavano una recrudescenza del male e cadevano in depressione. Essendo un esempio vivente di tale condizione, Zoe avrebbe potuto scrivere quel capitolo senza difficoltà.
Quel giorno però era piena di sollievo e così felice che stentava a credere di essere fuori pericolo, almeno momentaneamente. Un anno prima le avevano detto che era arrivata a uno stadio terminale, ma ora...
«Mi conferma che è davvero scomparso?» domandò all'oncologo.
Il medico annuì. «Credimi, ragazza mia. Non avrei ragione di mentirti.»
Sì, per quel giorno gli avrebbe creduto, ma i dubbi sarebbero riapparsi.
«Sono contento di constatare che non ti senti più tanto stanca e debilitata. Il tuo aspetto è diverso. Sembri più forte sia fisicamente che psicologicamente. Se lo desideri, puoi essere dimessa dal centro oggi stesso.»
Era la notizia che aspettava. Aveva fatto dei piani e non c'era tempo da perdere.
«Mi aspetto e spero che d'ora in avanti tu possa condurre una vita normale.»
Normale... come avrebbe potuto vivere normalmente con la paura che il cancro tornasse? Ma Zoe sorrise.
«Come potrò ringraziarla per tutto quello che ha fatto per me?»
«È ciò che hai fatto per te stessa che conta. Hai lottato con forza, senza mai arrenderti. Sei un esempio per gli altri pazienti del nostro nosocomio. Penso che tutti gli amici che ti sei fatta qui, sentiranno la tua mancanza.»
Gli occhi le si colmarono di lacrime. «Sentirò anch'io la loro» assicurò.
«Ne dubito.»
Zoe incrociò le braccia sul petto. «Suppongo che il mio conto ospedaliero sia astronomico. Le prometto che anche se dovessi impiegare tutta la vita, rimborserò fino all'ultimo centesimo.»
«Il tuo conto è stato saldato dalla Fondazione di beneficenza Giannopoulos, quindi di questo non devi preoccuparti.»
«Lo so» rispose Zoe. Aveva già deciso di ringraziare di persona i membri della famiglia Giannopoulos e un giorno l'avrebbe fatto. «Comunque tutti quelli che lavorano qui sono stati degli angeli, lei soprattutto. Non so che cosa ho fatto per meritare tante attenzioni.»
Quando era stata ricoverata, aveva letto gli avvertimenti dati a tutti i degenti e la prima volta che era entrata nella cappella, chiamata Chiesa degli Apostoli Agii in Grecia, aveva letto l'iscrizione.
In memoria di Patroklos Giannopoulos, deceduto circa quindici anni fa per un linfoma e di sua moglie Irana Manos che sopravvissero all'epidemia di malaria che colpì Paxos nel 1960.
In memoria del fratello di Irana, anche lui sopravvissuto alla malaria ed emigrato a New York per iniziare una nuova vita.
«Anch'io sono qui grazie alla Fondazione Giannopoulos di New York, creata per quei greci stabilitisi in America e ammalatisi di linfoma che non avevano i mezzi per curarsi» le ricordò il medico. «A questo mondo ci sono delle persone splendide e generose. Hai un posto dove andare, mia cara?»
«Sì. Padre Debakis, della Chiesa greca ortodossa della Santa Trinità, si è occupato di tutto. Lo conosco da quando ero una ragazzina e mi è sempre rimasto vicino durante le mie traversie. Devo molto a lui e a Iris Themis. Iris fa parte del consiglio umanitario presso la Santa Trinità e mi ricoverò nell'ostello per i senza famiglia, in attesa che trovassi un lavoro e un posto in cui vivere. Basterà che le telefoni in ufficio.»
«Ottimo. Come sai, tra sei mesi dovrai fare un controllo che comprenderà l'esame del sangue e una visita medica completa. In ogni caso, se mai avessi dei problemi, puoi contattarmi in qualsiasi momento.»
La prospettiva dei controlli futuri la terrorizzava, ma non poteva pensarci in quel momento. «Grazie per tutte le sue cure e gentilezze. Non saprà mai quanto è stato importante per me» concluse, abbracciandolo.
Uscita dallo studio, Zoe imboccò il corridoio che portava al reparto convalescenti. La sua stanza era al secondo piano. Essendo rimasta sola al mondo, quella camera era stata la sua casa per dodici mesi.
Quando vi era entrata per la prima volta, aveva creduto che non sarebbe uscita viva da là. All'inizio il suo ragazzo le aveva telefonato spesso, ma l'azienda tecnologica per cui lavorava era stata trasferita a Boston e quando lui era partito le telefonate si erano rarefatte sempre di più. Pur comprendendolo, Zoe ne aveva sofferto. Se un uomo che proclamava di amarla alla follia, era capace di abbandonarla nel momento più drammatico della sua vita, non poteva aspettarsi che un altro accettasse la sua situazione.
Sebbene amici di famiglia e vecchi vicini di casa le avessero telefonato spesso, i suoi veri amici erano diventate le persone ricoverate come lei. Con tutti loro, greci americani, era nata una confidenza e un cameratismo che le rendeva doloroso lasciarli.
Lì, tra quelle mura, le era passata davanti tutta la sua vita.
Zoe si sedette sul bordo del letto e telefonò a Iris. La donna le disse che mezz'ora dopo si sarebbero incontrate nel reparto convalescenza. Un giorno lei e padre Debakis sarebbero stati tra i beati in paradiso.
Non sarebbe mai riuscita a eguagliare la loro generosità, pensò Zoe, ma aveva deciso di aiutare il suo prossimo come molta gente aveva aiutato lei. Il suo desiderio più vivo sarebbe stato lavorare per la Fondazione Giannopoulos. Se fosse stato necessario, si sarebbe messa in contatto con Alexandra Kallistos, la direttrice del centro, ma i pochi contatti avuti con lei, l'avevano turbata. La donna era stata fredda e scostante. Che avesse quel carattere, o che non le importasse di lei, Zoe non era riuscita a capirlo.
Quella mattina l'aveva incrociata nell'ingresso e la signorina Kallistos non l'aveva nemmeno salutata. Probabilmente la criticava perché occupava un letto destinato a chi aveva più bisogno di lei. Siccome era orfana, il suo terapista aveva dichiarato che lei doveva rimanere lì ed era riuscito a evitare che fosse dimessa, cosa di cui gli sarebbe stata grata in eterno.
Alexandra Kallistos aveva un ufficio all'interno dell'ospedale e tutto il personale, dai medici alle infermiere, dai terapisti agli analisti, ai volontari e alle donne delle pulizie dovevano rivolgersi a lei.
Indubbiamente la direttrice, una greco americana, era un modello di efficienza, ma a Zoe sembrava che mancasse di quell'umanità necessaria a far sentire gli ammalati tanto a loro agio da potersi confidare con lei.
Attraente, occhi scuri, nubile, sulla trentina. Portava i capelli bruni sparsi sulle spalle. Indossava abiti eleganti che esaltavano la sua figura, ma era scostante.
Forse il suo giudizio era troppo severo, tuttavia il pensiero di rivolgersi a lei per essere assunta, metteva Zoe a disagio.
Magari era meglio che fosse padre Debakis a intavolare quell'argomento.
10 agosto, Atene, Grecia
Negli uffici del complesso Giannopoulos di Atene, sede centrale della compagnia che possedeva insieme ad Akis, il fratello minore sposato, Vasso Giannopoulos stava finendo di revisionare i conti per l'acquisto di un altro negozio ad Alexandroupolis quando la sua segretaria privata lo chiamò.
«Sì, kyria Spiros?»
«La signorina Kallistos è in linea da New York. Chiama dall'ospedale e desidera parlare con suo fratello, o con lei. Vuole che gliela passi, o preferisce che le dica che la richiamerà più tardi? So che non desidera essere disturbato.»
«No, no. Le parlerò.» L'ospedale Giannopoulos e il centro di convalescenza si trovavano ad Astoria. Ma perché la direttrice lo chiamava, sapendo che il giorno dopo si sarebbero visti?
«Linea due.»
Vasso sollevò il microfono. «Alexandra? Sono Vasso.»
«Scusa se ti disturbo, Vasso, ma volevo parlarti prima che salissi sull'aereo. Sei stato gentile a rispondermi.»
«Non dirlo nemmeno.»
«Data la notorietà del centro Giannopoulos per le cure del linfoma che tu e tuo fratello avete aperto qui a New York, i media ci tengono d'occhio. È la quarta volta che un'importante stazione televisiva mi contatta. Il direttore vorrebbe mandare qui i suoi tecnici per filmare la struttura e intervistare qualche dipendente. Soprattutto desidererebbe intervistare te e tuo fratello per dedicarvi una trasmissione. Gli ho spiegato che te lo avrei riferito. So che hai già rifiutato in altre occasioni, ma poiché sarai qui, vuoi che ti fissi un appuntamento?»
Vasso non ebbe bisogno di pensarci. «Rispondi a quel signore che non siamo interessati.»
«Come vuoi. Quando pensi di arrivare?»
«Al più tardi verso le due del pomeriggio. Grazie di avermi telefonato. Yassou.» Vasso riappese ed entrò nell'ufficio. «Salve, fratello. Mi fa piacere che tu sia tornato. Ho appena parlato con Alexandra. Una stazione televisiva di New York vorrebbe fare un documentario su di noi.»
«Di nuovo?» Akis scosse la testa. «Questi giornalisti non si arrendono mai.»
«No. Le ho detto di rifiutare.»
«Bene. Quando pensi di partire per New York?»
«Sto per uscire. Devo incontrare alcuni nostri distributori domattina. Poi mi recherò all'ospedale per controllare i registri.»
«Nel frattempo finirò l'inventario per le regioni orientali. Raina mi darà una mano. È un'eccellente contabile.»
«Come va la sua nausea mattutina?»
«Ormai non le dà più noia.»
«Mi fa piacere saperlo.»
«Prima che tu parta, vorrei che mi dicessi com'è andata la serata con Maris.»
«Così così.»
Akis scosse la testa. «Peccato. Speravamo che fosse quella buona per convincerti a rinunciare al celibato.»
«Temo di no. È graziosa e interessante, ma non è quella giusta.» Vasso gli batté una mano sulla spalla. «Ci vediamo tra un paio di giorni.»
Frequentava Maris da poco tempo, ma aveva già capito di dover rompere con lei. Tuttavia il commento del fratello l'aveva turbato. Per molto tempo lui e Akis erano rimasti scapoli. Adesso che Akis si era sposato, gli sembrava che la sua vita fosse vuota. Suo fratello era così felice con la moglie e il bimbo in arrivo che stentava a riconoscerlo, ma non si sarebbe buttato in una relazione impegnativa solo per emularlo.
12 Agosto, New York City
«Ben arrivato, Vasso.»
«Come stai, Alexandra?»
«Bene.» La direttrice si alzò. «È un piacere vederti.»
«Prima di venire da te, ho visitato l'ospedale e il centro di convalescenza e ho trovato tutto in perfetto ordine. Congratulazioni per il modo con cui gestisci il centro medico possiamo esserne orgogliosi.»
«Grazie. So quanto hai da fare. Se vuoi controllare qui i registri, posso ordinare che ti portino un pasto.»
«Ho già mangiato» rispose Vasso. «Guarderò i libri contabili mentre tu farai la pausa per il pranzo. Se mi accorgerò di qualche errore, ne discuteremo al tuo ritorno in ufficio.»
«Va bene. Prima che me ne vada, voglio parlarti di una giovane donna che ieri ha presentato domanda di assunzione. Le ho detto che non aveva fatto gli studi necessari per svolgere un lavoro al centro. Ieri mi ha telefonato padre Debakis della Chiesa della Santa Trinità ad Astoria. Conosce la persona in questione e la giudica molto capace. Voleva sapere a chi rivolgersi per combinare un colloquio con lei. Se desideri parlargli, troverai il suo numero nella mia agenda.»
«Gli parlerò subito. Grazie per avermelo detto.»
«Allora vado via. Sarò di nuovo qui tra un'ora.»
«Prenditi tutto il tempo che vuoi» rispose Vasso. «Sappi che mio fratello e io ti siamo