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Dalla parte dell'assassino
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Dalla parte dell'assassino
E-book247 pagine3 ore

Dalla parte dell'assassino

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Info su questo ebook

Brusco, cinico, disilluso. Con il vizio del fumo e la passione segreta dei tarocchi. Innamorato della moglie, intrappolato nelle indagini. E questo caso, per il commissario Achille Schietroma del Tuscolano X, è particolarmente ingarbugliato. C'è un serial killer che lascia in giro cadaveri eccellenti, c'è la stampa troppo addosso alla Polizia che sembra non avere elementi per incastrarlo, c'è un misterioso Maestro con la passione per i libri antichi... Un unico indizio: la sete di vendetta può avere risvolti inaspettati e pericolosissimi. Pietro De Sarlo, con “Il veleno è nella coda”, ha dato vita a un giallo intrigante, dal ritmo serrato e con un protagonista, Schietroma, che ci conquisterà con tutte le sue contraddizioni.
LinguaItaliano
Data di uscita1 ott 2020
ISBN9788869600913
Dalla parte dell'assassino

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    Anteprima del libro

    Dalla parte dell'assassino - Pietro De Sarlo

    PIETRO

    DE SARLO

    DALLA PARTE

    DELL’ASSASSINO

    www.altrimediaedizioni.com

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    Titolo dell’opera:

    Dalla parte dell’assassino

    © 2020 Altrimedia Edizioni

    ISBN: 99788869600913

    © Altrimedia Edizioni è un marchio di

    Diòtima srl - servizi e progetti per l’editoria

    www.altrimediaedizioni.com

    Prima edizione digitale: Ottobre 2020

    Quest’opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore.

    È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata.

    Questo romanzo è opera della fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono il prodotto dell’immaginazione dell’autore o, se reali, sono utilizzati per conferire veridicità alla narrazione e quindi in modo fittizio. Pur traendo ispirazione da fatti di cronaca ogni riferimento a fatti o persone viventi o scomparse è puramente casuale.

    A Chiara e a tutti i nostri ragazzi

    PROLOGO

    Questo fetente con la zimarra che il Padreterno ha voluto mettere sulla mia strada è la prova evidente che ho una missione da compiere. E sacrosanta pure.

    Tocca a me l’ufficio di mandare questo stronzo direttamente all’inferno. Non ho altra scelta. Dovrò solo stare attento a non lasciare tracce e a non avere incertezze. Non ho più la forza dei miei venti anni, ho avuto necessità di un’arma docile che passi inosservata e non richieda sforzi. L’esperienza e la manualità, che ho grazie alle occasioni della vita che mi hanno insegnato a produrre veleno, sono state una ulteriore conferma che opero per mandato divino. Chissà se l’aculeo conserva intatta la sua forza anche quando viene usato due volte di seguito. Troverò il modo di appurarlo, prima devo rispedirlo da dove è venuto questo immondo essere. Se la missione è sacrosanta, qualcuno lassù nel mondo dei Giusti guiderà la mia mano indicandomi la giusta via.

    Il chiostro ora è in penombra e le suorine sono immerse nei Vespri. Si canteranno le lodi del Signore mentre il demone venuto in terra con abiti da sacerdote sarà finalmente spazzato via dalla faccia della terra. Ti prego Signore, non far tremare la mia mano.

    Eccolo. È lui, non ho dubbi. Guardatelo: arriva con quel suo fare umile e superbo allo stesso tempo. Avanza con la mano tesa in avanti a far mostra del suo Sacro Anello Sacerdotale, sempre pronto per essere baciato.

    So come fare ma le gambe sembrano cedermi. Forse l’età o il timore di aver sbagliato i calcoli o la costruzione del mio congegno. Mi avvicino, mi sforzo di sorridere per rassicurarlo o forse per rassicurare me stesso. Non sospetta nulla. Mi sorride a sua volta, io mi inchino davanti a lui come tante volte ho fatto dinanzi a tanti preti per chiedere conforto e perdono. Prendo la sua mano protesa con la mia destra. «Sia lodato Gesù Cristo» dico e sento la mia voce tremare. Mentre sollevo appena la mano viscida e sudata da baciare lui risponde: «Sempre sia lodato», godendo per l’omaggio servile che chiede a tutti i suoi genuflessi interlocutori. Prima ti porge la mano con aria umile, poi quando cedi all’omaggio sottomesso, il suo volto tronfio s’irradia di superbia. La sua arroganza e la sua sicumera gli impedisce di vedere il mio tremore e la mia incertezza.

    Arriva anche per lui il momento di fare i conti. Quando mi sorride tolgo la sicura al mio congegno incastonato sull’anello che si apre con un lieve scatto. L’ago intinto nel veleno giustiziere si libera. Devo solo stare attento che l’aculeo non spinga dov’è l’anello sacerdotale.

    Una stretta di mano e il sottile ago entra con facilità. Non pensavo fosse così semplice. Ora è dentro, inesorabile, in quella stessa mano che ha decretato vita e morte, fortune e disgrazie. Il viso trionfante si trasforma in una smorfia di incredulità. Si porta le mani al collarino e avanza verso di me. Gli allungo nuovamente la mia come per aiutarlo ma lo trafiggo di nuovo. Finalmente, si affloscia all’indietro. L’ago entra di nuovo fluidamente… sono stupito della facilità con cui la mia creatura dona la morte. Tengo la presa come una morsa e accompagno la caduta. Il corpo si adagia dolcemente a terra.

    È così che muore un uomo? Posso liberare l’anello con la mia mano da quel viscido contatto. Devo fare piano, non voglio che l’ago si rompa. Sono svincolato e l’ago è integro, il Signore mi ha dato un altro segno del suo volere. Ho solo lasciato un piccolo graffio e un paio di minuscoli puntini rossi, più piccoli di quelli di un morso di vipera.

    Sudo, il corpo del prete pesa. Mi mancano i miei venti anni e la mia forza di allora. Ho tempo, le suore hanno da poco iniziato le preghiere e non usciranno prima di mezz’ora e nel convento non c’è nessun altro. Trascino il corpo e lo infilo nella buca dove un tempo veniva scaricato il carbone. Prima spingo la testa e poi, con fatica, il resto e il cadavere precipita giù. Ancora nessuno nel chiostro, mi faccio il segno della croce e recito una preghiera per la mia anima e per quella della mia adorata che mi ha preceduto in cielo.

    Lunedì 3 luglio 2017

    Carteggio

    L’appartamento aveva l’odore e l’aspetto di un autentico museo: un imponente collezione di quadri tappezzava quasi ogni angolo delle pareti; per guadagnare spazio il padrone di casa aveva fatto chiudere alcune finestre con lavori in muratura all’interno, lasciando però gli infissi all’esterno. In bell’ordine, in un ambiente protetto da aria condizionata e ventole e filtri per il continuo ricambio dell’aria, c’erano incunaboli, manoscritti e opere d’arte di ogni genere. Da una Summa Diana in carta pergamena ai primi libri stampati nel 1500 dalla tipografia Baseggio di Venezia, passando per Praxis rerum criminalium di Joos de Damhouder del 1556 con preziosi disegni e immagini di delitti e torture.

    Il Maestro aveva l’appuntamento per il primo pomeriggio, giusto il tempo di atterrare a Fiumicino e di arrivare in quella casa. Dal libraio. Si era presentato con il suo vero nome: il conte Ulderico Cigotti Von Hebel, un nome che ai più non diceva molto, ma che incuteva profondo rispetto. Faceva intuire quello che era realmente: l’ultimo rampollo di una dinastia nobiliare, nonché figlio di un diplomatico triestino e della principessa Von Hebel, una delle più antiche famiglie tedesche. Sulla guancia destra una lieve cicatrice, segno distintivo guadagnato alla Mensur, della associazione studentesca della Corps Borussia Tübingen, università dove si era laureato in Storia e letteratura germanica.

    Circa sessant’anni, figura slanciata e atletica, il Maestro era un uomo dal comportamento sempre misurato, glaciale, non lasciava trapelare nessuna emozione tranne un’insistita attitudine a toccarsi quella cicatrice. Con lui la sua compagna Jacqueline, una sinuosa ed elegante quarantenne titolare di una galleria d’arte a Zurigo. A chiudere il gruppo il tutto fare della coppia Ulrich Rindermann, conosciuto dal Maestro nell’adolescenza a Berlino Est, quando il padre era l’ambasciatore italiano nella capitale.

    L’incontro con il libraio, con una figura di imponenti dimensioni ma che pareva districarsi in quegli ambienti a lui familiari come una libellula, sembrava rispondere a un rituale preciso: tutti i convenevoli si consumavano tra quadri e altre opere d’arte che campeggiavano ovunque finché non entrarono in una sala con un massiccio tavolo intarsiato in mogano, circondato da sedie cattedratiche e adorne di preziosi intagli. Il Maestro non sembrava colpito da quanto aveva fin lì visto. Ai quattro angoli della sala altrettanti leggii illuminati da piccole abat-jour con luci che non emettevano alcun calore. Altre piccole abat-jour si trovavano sparse sul tavolo: si potevano agevolmente spostare, in modo da favorire la condivisione e la visione di preziosi documenti. Il tutto in una temperatura a dir poco fresca.

    Il libraio fece accomodare i suoi ospiti su un lato del tavolo: il Maestro al centro, alla sua destra Jacqueline e alla sinistra Rindermann.

    «All’inizio non volevo crederci» esordì con un sorriso, «sembrava una burla. Non volevo neanche perdere tempo per visionare quello che mi era stato portato direttamente dal proprietario dalla Svizzera. Questo signore era venuto a Roma per turismo e aveva casualmente visto la mia libreria di testi antichi. Quindi era entrato e mi aveva mostrato le fotocopie del carteggio. Signori miei, poco c’è mancato, leggendo le copie, che mi venisse un mancamento».

    Così dicendo si toccò il papillon che aveva al collo della camicia di flanella, quasi come se il malore appena evocato si fosse ripresentato. Intanto Jacqueline, non preparata a quella frescura nel torrido luglio romano, starnutì. Al libraio sembrò di cogliere un riflesso preoccupato sul volto di Jacqueline che si era girata appena verso il Maestro e un sorriso sprezzante sul volto di quest’ultimo. Questione di attimi, restò interdetto ma poi tutto sembrò normale di nuovo e pensò di essersi sbagliato. Si alzò, aprì l’anta di un armadio e fornì ai propri ospiti delle mantelline tirolesi in panno leggero.

    «Chiedo scusa, dimentico spesso di avvisare i miei ospiti della necessità di mantenere l’ambiente a temperatura costante, riducendo al minimo la polvere e gli odori. Per questo mi sono attrezzato con delle mantelline che faccio poi lavare a ogni uso.»

    Una volta che gli ospiti le ebbero indossate, proseguì: «Lo confesso: ho avuto la tentazione di sfruttare la situazione e di acquistare il carteggio da quegli sprovveduti per pochi euro, ma la mia reputazione nell’ambiente ne avrebbe risentito. Un affare troppo importante per restare oscuro nei meandri della mia collezione. Avrei dovuto per coscienza rendere pubblico il ritrovamento e quindi gli incauti proprietari lo avrebbero saputo e sicuramente mi avrebbero denunciato. Ho però fatto un buon accordo e, dico il vero, se avessi avuto le disponibilità avrei comperato e tenuto per me il prezioso cimelio».

    Il libraio era un fiume di parole inarrestabile, il Maestro ascoltava impassibile senza muovere un muscolo del viso guardandolo gelido, l’attenzione del suo uditorio era comunque massima.

    Rindermann si fece avanti sulla sedia, si toccò i radi testimoni di quella che un tempo era stata una rossa e folta capigliatura raccolti in un ciuffo sulla fronte e ai lati delle tempie. Tutto il suo modo di fare trasmetteva uno stato d’ansia che in lui doveva essere costante. Poi si mise a posto gli occhialetti da miope e stringendo gli occhi, dopo aver lanciato una furtiva occhiata al Maestro come a chiedere il permesso di parlare, disse: «Ha verificato l’autenticità?»

    «Dicevo che l’accordo con il proprietario si basa sulla verifica della stessa. Sono andato a Zurigo e ho preso in custodia il carteggio. Su un frammento abbiamo fatto tutti i test necessari, dal carbonio 14 fino alle più raffinate tecniche di indagine. Poi ho fatto fare una perizia calligrafica, che vi metto a disposizione, e, non contento, ho fatto analizzare al microscopio elettronico il solco prodotto dalla pressione della penna sul foglio.»

    Il Maestro inarcò le sopracciglia chiedendo in maniera appena percettibile: «Solco?»

    «Ogni carta ha una sua elasticità. Appena si scrive, la pressione esercitata dalla penna o dal pennino sul foglio crea una depressione che, con il passare del tempo e in funzione delle caratteristiche di elasticità della carta, si azzera. Tutto torna e possiamo affermare senza ombra di dubbio che il carteggio è autentico!»

    Il libraio, praticamente rotolando attorno e poi sopra il tavolo, dispose le perizie su un leggio, dando modo a tutti di esaminarle.

    Chiuso l’esame, prese dalla cassaforte il famoso carteggio. Per farlo mise dei guanti di lattice fino. Tra due fogli di carta di un normale quaderno, c’era la busta del carteggio e tra altri due fogli il carteggio vero e proprio. Il libraio, con gesti delicati e accorti, pose tutto su un leggio libero.

    «L’unico problema di questo documento è la sua estrema fragilità dovuta alla scarsa cura con cui è stato conservato. Ha preso acqua e umido, e si è impregnato in alcuni punti del colore della pelle di una borsa dove era stato dimenticato per decenni.»

    In un silenzio d’estasi, Rindermann guardava il tutto a bocca aperta. Il Maestro e Jacqueline, no.

    «Credo che questo articolo all’asta possa essere battuto per non meno di quattrocentomila sterline. C’è poi il valore storico del pezzo e l’esame che tutte le università del mondo vorranno fare. Credo inoltre che il Governo irlandese vorrà intervenire e appropriarsene per esaminarlo prima che sia visto da altri, se non addirittura secretarlo, vista la portata di quello che c’è scritto.»

    «Cinquecentomila e chiudiamo subito», al Maestro bruciava ancora quella lettera di James Joyce venduta da Sotheby’s a duecentododicimila sterline che gli era sfuggita per una riunione urgente e concomitante all’asta del Fondo da lui amministrato.

    Jacqueline conservò l’attenta, algida e silente impassibilità mostrata fino a quel momento: seduta, con la schiena dritta e le mani affusolate poggiate sul tavolo, quasi fosse in attesa di attaccare un concerto per pianoforte. Nel frattempo Rindermann continuava a stringere e aprire gli occhi e a toccarsi di tanto in tanto gli occhiali.

    Il libraio parve riflettere e chiedersi se poteva spingere di più sulla trattativa. Ma il Maestro non ammetteva repliche, e lui l’aveva capito sin da subito, e se poi non avesse chiuso?

    «Va bene» disse, con un mezzo ghigno, «ma, prima di concludere, devo sentire la proprietà. Nel frattempo darò incarico a un notaio di fiducia di redigere un regolare atto».

    Suonò in quel preciso istante il cellulare del Maestro e calò il silenzio più assoluto.

    «Wie er gestorben ist?» e poi ancora nel silenzio «Von welchem Geheimarchiv sprichst du¹

    Il Maestro si alzò, fece un impercettibile segno di saluto con la mano al libraio e disse in tono gelido: «Allora intesi. Non mi deluda», e si avviò fuori seguito da Jacqueline e Rindermann. Appena usciti prese a tormentarsi la cicatrice sulla guancia destra.

    Quella morte inaspettata non ci voleva.

    Ich muss mich sofort damit befassen, rimuginò, und sofort.²

    Cadavere eccellente

    «Ma da quand’è che non piove? Oggi è solo il tre luglio, lo capite o no che se non piove un po’ si finisce tutti all’ospedale!» esclamò d’un fiato il commissario Achille Schietroma mentre appena aperta la porta dell’ufficio osservava sconsolato la sua scrivania dove in bell’ordine erano schierate la sigaretta elettronica – che sua moglie gli aveva regalato per il cinquantanovesimo compleanno, qualche giorno prima – lo Zippo e il fedele pacchetto di Marlboro.

    «Ma quando arriverà il momento» riprese subito dopo «lascio que- sto commissariato Tuscolano X e mi metto a bagnomaria. Allora sì».

    Poi si avvicinò alla scrivania, aprì un cassetto e tirò fuori un mazzo di tarocchi. Prese una carta a caso: l’Appeso.

    «Minchia, sarà una giornata di merda!» pensò.

    Sedutosi, si mise a osservare davanti a lui la pila di varie pratiche di fianco a quella delle persone scomparse o ricercate per qualsiasi motivo: stupri, violenze, rapine. Una delle segnalazioni riguardava un prete. Ci mise un poco per capire se si trattasse di un ricercato per pedofilia o di una segnalazione di scomparsa. Lesse la scheda, rimanendo perplesso. Si trattava di un prete importante, un monsignore, con incarichi in opere pie, l’accusa di pedofilia non era mai stata provata. A quanto pare le suorine di un convento lo avevano atteso invano per i vespri del sabato. Quando non si era presentato neanche la domenica, ne avevano parlato con i superiori che, dopo qualche ricerca, avevano denunciato la scomparsa alle autorità.

    L’esame delle varie scartoffie e circolari lo avviliva, voleva resistere alla tentazione di fumare rinviando a ogni pratica alla pratica successiva l’accensione della sigaretta. Dopo un paio d’ore, mentre era sempre più preda di malinconici pensieri legati alla decisione di smettere di fumare per quella tosse costante che lo assaliva continuamente, entrò con forza nell’ufficio l’ispettore Luigi Gianturco.

    «Commissario, il cellulare…»

    «Ah, sì, dov’è?»

    «No, mi scusi, commissario. Il cellulare non l’avete sentito? Ho provato a chiamarla più volte.»

    «Gianturco, sai qual è il problema?» e prima che l’ispettore potesse aprire bocca, guardò la sigaretta elettronica e bofonchiò: «Che non si accende con lo Zippo! Questo è il punto! Eh già, dovrebbero farle accendere con lo Zippo. Perché fumi?»

    «Commissa’, io non fumo né ho mai fumato.»

    «Bravo! Ma non dicevo a te. Era una domanda impersonale, retorica, rivolta a me stesso. Tu invece perché non hai mai fumato?»

    Gianturco si prese un momento per riflettere. «Perché il fumo puzza, la bocca la senti come un posacenere, ti viene la tosse…»

    «Ma a te chi t’ha chiesto niente?» lo interruppe il commissario, seccato. «Sei entrato e che vuoi? Dimmi che è successo! Il cellulare? E che c’entra! Sbrigati, che ho la scrivania traboccante di mappazze e fa presto a fare ora di pranzo.»

    E poi, tornandogli in mente il prete scomparso, Schietroma chiosò: «Secondo me se lo trovano morto è meglio. Ci toglie ogni dubbio. Magari lo santificano pure. Conviene a lui e al contribuente. Come si dice: se ne vanno sempre i migliori! E poi porta pure iella» disse alternando lo sguardo tra la sigaretta elettronica e il pacchetto di Marlboro. Poi, prese la segnalazione riguardante il prete innominabile che aveva lasciato in bella vista sulla scrivania, la ridusse in mille pezzi e buttò il tutto nel cestino della carta.

    «Allora?»

    Luigi Gianturco era un bel giovane sui trentacinque anni, capelli ricci e neri, come gli occhi. Napoletano sveglio e paziente. Da quando aveva preso servizio al Tuscolano, un anno prima, si era rapidamente abituato allo straparlare del commissario.

    «In via Isarnico, dietro al mercato di Cecafumo, qua vicino, ci sta un uomo morto disteso in mezzo alla strada.»

    «E che c’entro io? Sono innocente: lo giuro!» celiò il commissario.

    «Sarà per l’Appeso… pensaci tu che sei giovane e devi fare carriera, e lasciami lavorare in pace» poi, ripensandoci su, continuò: «Sii preciso: ammazzato o semplicemente morto. Fai la solita procedura e poi mi dici».

    «Già fatta, se no manco mi presentavo. Ho mandato la pattuglia di servizio e l’ambulanza: il medico ha riferito che il decesso è avvenuto per cause poco chiare. Probabile asfissia. Ho inviato anche la Scientifica e il procuratore Annamaria De Silva, bella donna ma un po’ pasticciona, dovrebbe essere già sul posto a far casino» e poi aggiunse «se posso: è molto meglio se date un’occhiata anche voi. Tanto è qua dietro, proprio sulla via per andare a casa vostra».

    Malvolentieri Schietroma prese la giacca e, tenendola con un dito appesa dietro la spalla, si avviò seguendo Gianturco fuori dalla stanza.

    Arrivati sul posto, l’agente di servizio li lasciò passare.

    «Qualcuno ha toccato qualcosa qui?» urlò il commissario e, sottovoce, l’agente lo rassicurò: «Commissario, tranquillo, il procuratore De Silva non è ancora arrivata».

    «Il procuratore non è arrivato, oppure la procuratora non è arrivata! Comunque bene così» interloquì Schietroma in vena di polemiche prima di cominciare la perlustrazione del luogo del delitto.

    Una giacca giaceva vicino all’uomo riverso bocconi sull’asfalto, per metà sullo stretto marciapiede e per l’altra metà sulla strada. Le gambe erano in una posizione innaturale, come se fossero rimaste bloccate a mezz’aria. I pantaloni blu, dello stesso colore e tessuto della giacca, erano di

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