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Dietro la notte
Dietro la notte
Dietro la notte
E-book250 pagine3 ore

Dietro la notte

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Info su questo ebook

Un’entità misteriosa dev’essere controllata a vista da almeno cinque soldati, in un anonimo appartamento, a Torino.
A causa del malore di uno dei militari, essa riesce a fuggire, lasciandosi dietro una scia di indizi piuttosto bizzarri che il Maggiore incaricato di catturarla deve decifrare: un uomo a cui cadono le chiavi, a una certa ora di un certo giorno; un altro che dimentica le sigarette; un altro ancora che si addormenta con la sigaretta accesa; l’incidente automobilistico di una ragazza.
Nel frattempo, la gente in città sembra in preda a un nervosismo crescente e una medium percepisce che sta succedendo qualcosa di sconvolgente.
Un ragazzo con aspirazioni politiche, afflitto da una delusione sentimentale, si convince che gli eventi gli sono ostili e un altro viene ossessionato da pensieri in cui immagina di fare del male agli altri.
Le loro vite si intrecceranno con le indagini dell’esercito, portando a un imprevedibile e rocambolesco epilogo.
LinguaItaliano
Data di uscita6 ott 2020
ISBN9788869632495
Dietro la notte

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    Anteprima del libro

    Dietro la notte - Massimiliano Irenze

    Massimiliano Irenze

    DIETRO LA NOTTE

    Elison Publishing

    © Elison Publishing

    Tutti di diritti riservati

    [email protected]

    www.elisonpublishing.com

    ISBN 9788869632495

    «Buongiorno, Maggiore! Come andiamo?»

    «Buongiorno, Fausto. Non c’è male. Come sono queste mele? Posso tastarle?»

    «Certo. Lei può fare tutto!»

    L’ufficiale, compiaciuto, prende in esame la frutta, afferrandola e riponendola nella cassetta. Dopo un’attenta selezione, porge le mele scelte al negoziante.

    «Mi incarterebbe queste, per favore?»

    «Agli ordini, Maggiore. Ecco qua! Facciamo anche un piccolo sconto, va bene?»

    «Grazie mille.»

    «Grazie a lei, torni quando vuole.»

    Effettuata la transazione e preso il sacchetto, l’uomo esce dal negozio ed entra in un portone, lì a fianco. S’infila in ascensore e guarda l’ora. Le 15,33.

    Poco dopo, esce sul pianerottolo e, mentre sta per infilare la chiave nella serratura, un rumore di passi che scendono per le scale richiama la sua attenzione. Sbircia la tromba delle scale e vede la mano sulla ringhiera, con la manica color militare.

    «Soldato!»

    L’uomo sulle scale si ferma.

    «Sì… mi dica pure… signore.»

    «Dove stai andando? Non dovete essere mai meno di sei!»

    «Mi hanno dato il cambio.»

    «Ma non è ancora l’ora del cambio.»

    «È arrivato in anticipo.»

    «Perciò mi confermi che sono sempre in cinque, là dentro, più la guardia in corridoio?»

    «Già. Glielo confermo.»

    «Mmm. D’accordo.»

    Il soldato continua a scendere. Il Maggiore ne vede sempre solo la mano; vorrebbe strigliarlo per la mancanza di rigore nel rispetto degli orari e delle procedure, ma non vuole farsi sentire da tutto il condominio. Lo farà a tempo debito.

    Infila la chiave nella serratura.

    Ripensa alla prima risposta del milite: Sì… mi dica pure… signore. «Che razza di risposta è? perché non ha risposto sissignore, come dovuto?»

    Si volta indietro, la mano dell’uomo sul corrimano non si vede più.

    Apre la porta. Ha un cattivo presentimento. Non c’è la guardia in corridoio. Posa per terra il sacchetto con la frutta e s’incammina verso il fondo. Man mano che si avvicina a quella fatidica porta blindata, foderata di quarzo, con sgomento, nota che è socchiusa. Impugna la propria pistola di ordinanza. Apre la porta con movimenti molto lenti e circospetti. Legato alla sedia di quarzo, giace un corpo senza vita. A terra ci sono quattro soldati.

    «Era lui, maledizione! È scappato! Ma dov’è la guardia?»

    Comincia a controllare le stanze, senza più l’accortezza nei movimenti che aveva prima, sostituita da un ansioso affanno, finché non sente dei gemiti arrivare dal bagno. Reimpugna l’arma e vi si dirige con gli occhi sbarrati. La porta è spalancata e lui irrompe sulla soglia, puntando deciso l’arma verso l’ipotetica minaccia. A terra, rantolante, c’è un sesto soldato. Gli hanno sparato e perde sangue all’altezza dello stomaco.

    «Maggiore…» dice con un filo di voce «È tutta colpa mia… quando mi hanno scelto per questa cosa segretissima… ero lusingato e stupito al tempo stesso… avevo sempre fatto pasticci… sempre profilo basso e niente aspirazioni… era il mio karma, mi dicevo… poi vengo scelto per questa roba ultra segreta… ho detto: forse cambia il vento… ma dentro di me sapevo che prima o poi avrei rovinato tutto… sono una frana, signore, mi dispiace».

    Singhiozza.

    «Che diavolo è successo, soldato?».

    Il Maggiore abbassa l’arma e si accosta al milite.

    «Non mi sentivo bene… dovevo venire in bagno con urgenza… ho chiamato la guardia più volte, perché mi sostituisse… ma quello stronzo era in balcone a fumare… sapevo bene che non dovevamo rimanere in meno di cinque a far la guardia a quella cosa… sapevo che c’era il rischio che quattro menti potesse manipolarle e sopraffarle, mentre cinque no… ricordo tutto ciò che ci hanno insegnato a quel corso… ma la guardia non sentiva e io me la stavo per fare addosso… ho cercato di pensare velocemente… oddio, immaginavo già le prese in giro… mi avrebbero ricordato questa cosa nei secoli, i miei maledetti compagni… lo avrebbero detto a tutti… sarei diventato il cagone… ho pensato: c’è il rischio che quattro menti non bastino, ci hanno detto così, ma sarà un eccesso di zelo… sarà per prudenza… quattro menti sono tante, ho pensato».

    Il soldato piange sommessamente.

    Il Maggiore lo fa sfogare un po’, poi lo incalza «Dopo che è successo?»

    «Ho detto agli altri: fanculo, appena rientra ditegli di sostituirmi e… ho aperto quella dannata porta, precipitandomi qui in bagno… gli altri mi urlavano dietro, ma io avevo già cominciato a farmela nelle mutande e non sentivo più nulla… non capivo più nulla.» Riprende a singhiozzare. «Giunto qui, ho sentito la guardia rientrare, attirata dalle urla… poi non ho sentito più niente… sono rimasto in tensione e ho avuto paura… ho sentito dei passi avvicinarsi… mi sono risollevato i pantaloni, in fretta e furia… poi la porta si è aperta e il soldato Sciarra mi ha fissato qualche secondo, in modo strano, con uno sguardo assente. Stavo per dirgli qualcosa, ma lui mi ha sparato ed è andato via, come un automa.»

    I due rimangono qualche momento in silenzio.

    «Non era il soldato Sciarra.» Afferma il Maggiore. «Non lo era più.»

    Resta qualche momento a pensare, mentre il soldato continua a gemere dal dolore.

    «Hai combinato un bel casino, soldato.»

    «Mi dispiace, signore.»

    Il Maggiore solleva la mano del soldato dalla ferita e la osserva.

    «Sopravvivrò, signore?»

    «Credo di no.» Gli dice col tono più gentile che riesce a trovare. «Cerca di essere coraggioso, soldato. Affronta il grande salto con dignità. Io sarò qui con te.»

    Il milite chiude gli occhi e contrae il volto nello sforzo di reprimere il panico, facendo segno animosamente di sì con la testa, poi torna a un singhiozzare sommesso. Infine, come in risposta a un singulto interiore, la sua mano si allunga meccanicamente a cercare quella del Maggiore.

    L’ufficiale, superata un’iniziale reazione istintiva di pudore, accetta la stretta della mano e rimane a fianco del soldato mentre, a poco a poco, osserva la vita scivolare via dai suoi occhi.

    Poi si solleva e compone un numero con il cellulare.

    «Buongiorno, Capitano.» Cerca di farsi forza, anche se la notizia che deve dare è un dichiarato fallimento. «La bianca è andata in buca insieme a tutte le altre.» Afferma, guardando il soldato appena deceduto. «Ora è rotolata via da qualche parte, portandosi dietro la 3.»

    Dopo aver ascoltato la risposta del superiore, prosegue: «D’accordo, Capitano. Sarò lì quanto prima.»

    ***

    È bambino, Claudio, in una sala gremita di parenti. Sta cantando e loro sono entusiasti; accompagnano il suo cantato per incoraggiarlo.

    ‘Tu scendi daaalle stelleee

    Oh, reee del cieeelo…’

    Ma, cantando, Claudio mette a fuoco la vista e per un attimo si rende conto che quelli non sono i parenti.

    Cosa diavolo sono quelli!

    «Ah!» L’uomo si sveglia sudato.

    Un incubo.

    Si volta a guardare l’ora sulla radiosveglia e il terrore, ancora fresco, evocato dal brutto sogno, si rianima ancor più agghiacciante: sono le 3,33.

    Questo orario è noto come l’ora del Diavolo. Si narra che Gesù morì alle 15,33 e che l’orario opposto, le 3,33, rappresenti il momento legato al malvagio. Durante tale minuto, i confini tra la nostra dimensione e quella degli spiriti si assottiglierebbero e si potrebbe essere preda di contatti o addirittura possessioni demoniache.

    Con uno scatto, Claudio si getta sull’interruttore e accende la luce, guardandosi intorno con gli occhi sbarrati e i sensi all’erta. Nessuno.

    Si alza dal letto e comincia a camminare circospetto per il corridoio, prendendo con sé il bastone della scopa, pur sapendo che, se davvero si trattasse di entità sovrannaturali, quel bastone potrebbe pure metterselo in quel posto, per quello che gli servirebbe.

    Guarda con ansia in ogni angolo recondito della casa, accendendo a mano a mano tutte le luci. Niente. Non c’è nessuno.

    Attiva la televisione, a basso volume, per sentire altri esseri umani, per ricordarsi che la società gli è tutto intorno e che non può succedergli nulla. Assurdo pensare che qualcuno possa farti del male mentre dormi nella tua sicura e confortevole casa, incastonata in mezzo a mille altre, tutte piene di gente. Con razionalizzazioni come queste, riesce a riportare la calma in se stesso.

    Strano, però, che io mi sia svegliato proprio a quell’ora. Pensa.

    Sorseggia una tisana che si è appena preparato e guarda fuori dalla finestra. È una notte serena. Giù, nel giardinetto, c’è addirittura una signora che porta il cagnolino a fare i bisogni. Questo lo conforta ancora di più. Quella donna si sente al sicuro, a quell’ora del mattino, là fuori. A maggior ragione, lui, in casa sua, non corre alcun pericolo.

    Qualche decina di metri più in là, sulla strada, ogni tanto sfila qualche veicolo, col suo pigro rombo notturno, rompendo il silenzio per qualche secondo e cullando l’oscurità con il suo lieve sfumare, allontanandosi. Poi uno scooter e infine un taxi.

    Non è come una volta. La vita ormai non si interrompe più, di notte. C’è un sacco di gente che sta sveglia o lavora, durante queste ore.

    Tempi duri per gli spiriti maligni. Pensa ironicamente.

    Passa anche una jeep militare.

    Addirittura l’esercito. Lo vedi, Claudio? Siamo proprio al sicuro.

    Finito di bere la tisana e calmato il proprio stato d’animo, l’uomo ritorna a letto.

    ***

    «La prego, Mamma Rosa, me lo dica. Mi chiederà di sposarlo?»

    «Mmm.»

    «La prego, non mi tenga così sulle spine!»

    «Mi scusi, ma ci sono delle interferenze. Non riesco a concentrarmi.»

    «Come sarebbe delle interferenze? Ma io ho pagato!»

    DRIIIIN!

    Il campanello dello studio.

    Mamma Rosa, dopo aver aperto un cassetto della scrivania, prende dei soldi e li porge alla ragazza.

    «Ecco i suoi soldi.»

    «Ma… ma…»

    DRIIIN! Suona ancora il campanello.

    «Mi spiace, ma oggi non riesco ad aiutarla. Torni un altro giorno.»

    La cliente tituba ancora un attimo, poi prende i soldi e li mette in borsa, rialzandosi.

    «Quando crede che… sì, insomma, quando è che potrà aiutarmi?»

    «Riproviamo dopodomani.»

    DRIIIIN!

    «Un momento!» Urla verso l’ingresso, poi rivolgendosi alla cliente: «Esca dal retro. Preferisco che i miei clienti non si incrocino.»

    Uscita la cliente, Mamma Rosa si reca ad aprire la porta d’ingresso, davanti alla quale un ragazzo la fissa con aria disorientata.

    «Io… lei… buongiorno… sono…»

    «Lo so chi sei! Sei Roberto Corci.»

    «Come fa a saperlo?»

    «Beh! Sono una medium! O credevi che fossi una ciarlatana quando Silvana ti parlava di me?»

    «Io, ecco…»

    «Ma sì, non scusarti. In tanti lo pensano. Vieni, accomodati.»

    Il ragazzo entra, scrutando intorno l’ambiente dello studio. Mamma Rosa fa cenno verso la sedia di fronte alla scrivania e Roberto si siede.

    «Allora, dimmi pure.»

    «Beh, non so proprio da dove cominciare. Prima che Silvana morisse, avevo le mie ossessioni e andavo da una psicologa, per questo. Poi, quando ci sono state le indagini per l’omicidio di Silvana, la psicologa ha detto ai poliziotti che, secondo la sua analisi psicologica, avrei anche potuto essere io l’assassino. Non gliel’ho perdonato. Dopo tutte le volte che le avevo descritto, senza veli, il mio amore per Silvana, non avrebbe dovuto farmi questo. Proprio da lei non me l’aspettavo. Le avevo aperto il cuore e donata, con estrema fatica, la mia fiducia. Non ci sono più andato. Né da lei, né da altri strizzacervelli. E dire che uno a cui viene uccisa la fidanzata è forse ancor più bisognoso di un ascolto psicologico, ma sentivo che non mi sarei mai più fidato di nessuno. Mi sono detto che avrei imparato a convivere con le mie fisse e bom! Come fanno in tanti, del resto. Per un po’ è andata bene, ma ora, signora Macrì, io non so cosa mi prende.»

    «Chiamami pure Mamma Rosa e dammi del tu, se non ti mette a disagio.»

    «No, certo. Mamma Rosa, dopo un periodo in cui mi sentivo tutto sommato bene, sento di essere andato incontro ad un grande peggioramento. Forse, non so, è il contraccolpo per ciò che è successo a Silvana.» Il ragazzo arrossisce. «Io immagino di fare cose orribili alle persone.»

    «Lo so.»

    «Ma giuro che non le farei mai!»

    «Lo so.»

    «Lei mi sta leggendo i pensieri?» Chiede, imbarazzato.

    «Non lo faccio apposta, Roby, per me è come guardare la stanza. Non posso tapparmi gli occhi, se così si può dire.»

    «Mio Dio, lei vede…»

    «Sì, vedo cosa immagini di farmi, qui, ora, ma so anche che non hai nessuna intenzione di farlo. Non riesci proprio a darmi del tu, eh?»

    «Sì, scusami. Cosa accidenti mi sta succedendo? Io ho il terrore di rimanere da solo con chicchessia, per paura di fare del male. Non controllo questi pensieri. È il trauma per la morte di Silvana?»

    «No, Roby.» I sensi di Mamma Rosa sembrano acuirsi e cercare qualcosa di più difficile da vedere. «Tu hai sempre avuto la tendenza ai pensieri ossessivi, ma ora è successo qualcosa. Qualcosa di molto strano. Qualcosa di grosso. Ci sono parecchie interferenze.»

    «Qualcosa? In che senso è successo qualcosa? Cosa intendi per interferenze?»

    «Non lo so, Roby, non lo so. Ma non riguarda solo te. Le interferenze sono tutte intorno. È successo qualcosa di molto inquietante, che riguarda tutti.»

    ***

    «Sai quelle mattinate che cominciano di merda e continuano anche peggio?» Andrea è al bar, a prendere un caffè.

    «Che ti è successo?» Chiede Christian, il barista, sorridendo.

    «Nulla di trascendentale. Tante piccole cose che vanno storte. Nel buio, stamattina, c’era un lembo di coperta raggomitolata ai piedi del letto. Ci sono inciampato sopra, ruzzolando a terra insieme ad una sedia che era lì vicino. Tanto dolore e qualche livido, ma avrei anche potuto sbattere la testa e lasciarci la pelle.»

    «Beh, ti è andata bene allora.»

    «Non è finita. A parte la fetta biscottata caduta sul mio pantalone proprio dalla parte coperta di Nutella, mentre davo una sciacquata alle stoviglie, con l’intenzione di lavarle poi stasera, si sono assestate in maniera tale che sotto il getto d’acqua ci finisse la superficie di un coperchio rivolta proprio verso di me. Mi è arrivato addosso un getto come se mi spruzzassero con uno zifone.»

    «Ah! Ah! Ah! Da non crederci.»

    «Sì, cazzo. E mentre venivo qui, per poco non tamponavo una jeep militare.»

    «Cavoli.» Interviene un altro cliente al bancone «Scusa, ma non ho potuto fare a meno di sentire e ho avuto le mie belle disavventure anch’io, stamattina. Lavoro in un negozio di scarpe, qui vicino e toccava a me aprire la saracinesca, stamattina, ma mi si è spezzata la chiave nel lucchettone e così sono andato dal fabbro di zona e indovina un po’? Chiuso per ferie. Pertanto ho chiamato il titolare che mi ha detto di venire qui a fare colazione con calma, che avrebbe chiamato lui qualcuno.»

    «Beh, dunque alla fine non ti è andata così male.» Commenta il barista.

    «No. A pensarci bene, no.» Sorride.

    «E non è neanche venerdì 17 o una di quelle ricorrenze sfigate.» Continua a borbottare, Andrea, rimuginando sulle proprie sventure.

    «Siamo superstiziosi?» Chiede il barista.

    «Non so, è uno di quei giorni in cui gli eventi si incastrano in modi strani che è come se volessero comunicare qualcosa. Come se ci fosse dell’energia ostile nell’aria, hai presente?»

    «No. Non ho presente.» Sorride il barista.

    Il commesso del negozio di scarpe lo osserva pensieroso: «Sì, è la stessa sensazione che ho avuto io.»

    ***

    «Allora, Maggiore Stella, mi ragguagli.»

    Il Maggiore e il Capitano stanno in piedi, in mezzo a un ampio prato, scelto appositamente per esser certi di non essere ascoltati da nessuno. Hanno lasciato, come da accordi, entrambi i cellulari nelle rispettive auto, spenti fin dalla partenza per evitare venisse tracciata la propria posizione e il percorso effettuato.

    «Un episodio grottesco, Capitano. Se non fosse così grave la situazione, ci si potrebbe ridere sopra. Un soldato, Campiello, ha avuto un episodio incontenibile di cagarella e la guardia, Bonvi, che in quel momento era sul balcone a fumare, non ha sentito i suoi disperati richiami per il cambio. Così che, sentendo che stava cominciando a farsela addosso e per paura di essere ridicolizzato dalla truppa, il soldato Campiello ha preso l’iniziativa di uscire dalla stanza per correre in bagno, incurante delle urla dei compagni. Come temuto, rimasti in quattro, i soldati sono stati sopraffatti psichicamente e la loro personalità è stata annientata da quella cosa, che poi ha ucciso Campiello, prendendo possesso del corpo del soldato Sciarra.»

    «Stramaledizione! Cosa abbiamo?»

    «Fortunatamente, a loro insaputa, durante il corso, li avevamo narcotizzati e, con una veloce operazione chirurgica, avevamo installato loro un microdispositivo al quarzo nel cervelletto. I nostri uomini stanno provvedendo a rimuoverlo e presto avremo modo di scoprire se vi sono rimaste impresse informazioni.»

    «Mi avevano accennato che il quarzo ha proprietà particolari per ciò che riguarda le entità come quella.»

    «Già. È una loro risorsa, ma anche il loro punto debole. Loro interagiscono con il quarzo come se fosse vivo, anzi, come fosse un prolungamento di sé e in esso rimane traccia delle loro interazioni mnestiche e delle informazioni scambiate con esso; un po’ come il principio delle impronte delle dita sulla superficie, i loro pensieri lasciano macchiato il quarzo. Ma il quarzo è anche, appunto, il loro limite. Isola il loro potere, per quello ne avevamo foderato le pareti e la porta della stanza. Inoltre, non riescono a rilevarne la presenza se non lo vedono. Questo ci ha dato l’idea dei microdispositivi nei cervelli dei soldati.»

    «Ma come avviene la sporcatura del quarzo?»

    «Se è vero che cinque menti non riesce a sopraffarle, questo non le impedisce di tentare continuamente contatti psichici con gli interlocutori. Quando interagisce, è come se provasse a entrare fisicamente dentro la testa delle persone. Allora ci è venuto in mente il quarzo. Se il minerale registra queste incursioni e l’entità non può vederlo quando è nascosto alla vista oculare, allora piazzare il quarzo nei cervelli degli uomini di guardia avrebbe potuto potenzialmente lasciare traccia delle interazioni, permettendo l’accesso ad alcune informazioni di cui l’entità è in possesso.»

    «Buona idea. Quando sapremo qualcosa al riguardo?»

    «Credo entro qualche giorno. Devono rimuoverli chirurgicamente dai tessuti cerebrali, senza danneggiarli, e poi sottoporli ad alcune trasformazioni per decodificarli e farli diventare dati fruibili da parte delle nostre tecnologie. È un’operazione molto complessa. Non è detto che si

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